Quel nudo palcoscenico quasi cinereo, abitato solo da un tavolino di legno sghembo e malmesso, un’asse deposta per terra e una seggiola senza schienale. Sono oggetti privi del loro utilizzo consueto ma fanno parte della precarietà di un’esistenza fragile e sconnessa. Il nero fondale che racchiude uno spazio rettangolare, dove entrano due donne vestite di soli camici scuri: sembrano due operaie di una fabbrica costrette a lavorare ad una catena di montaggio, o anche due recluse di un carcere. Non farebbe nessuna differenza. L’energia è tale da evocare ancestrali tragedie dell’essere umano, venuto al mondo per soffrire, se si da ascolto ad una certo culto religioso e misticistico.
Antonella Bertoni e Patrizia Birolo sono donne laiche ma anche figure capaci di incarnare una presenza fisica e spirituale, quasi eteree nel loro incedere. Si fondono insieme per dare vita ad un rito di reciproco sostegno, fatto di sguardi e complicità a noi indecifrabili, risultato di un affiatamento artistico e creativo quanto umano, elevato all’ennesima potenza. Sono gli “inciampi fatali” che possono accadere solo una volta nella vita, tali da creare un legame e una sinergia tale da riuscire ad annullare ogni distanza, diversità e differenze.
Antonella Bertoni, figura storica e acclamata nel settore della danza autoriale moderna italiana, insieme a Patrizia Birolo, danzatrice performer diversamente abile, dotata di un talento magnetico straordinario, ogni volta che entra sulla scena. Il diversamente diventa un valore aggiunto caso mai, capace di esaltare le doti a completamento dell’esperienza offerta al pubblico. Danno vita a Le fumatrici di pecore con una presenza/assenza, in grado di suscitare l’idea di essere impegnate in una prova di riscaldamento, abitudine usuale prima dell’inizio di ogni spettacolo. Creano tra di loro quella giusta intimità nel cercare i passi più giusti, le movenze più idonee, il prendere possesso dello spazio. Sembrano giocare tra loro, e in effetti qualcosa di ludico si percepisce, caratterizzato da una sottile ironia captata dal pubblico, attento a cogliere ogni sfumatura, e reagendo con il riso e il buon umore.
L’effetto è voluto anche per stemperare l’intensità drammaturgica del lavoro registico, quanto certosino, di Michele Abbondanza. Le fumatrici di pecore rivelano una storia fatta anche di sacrifici e di dolore. Di esistenze ai margini della società, di urgenze esistenziali mal recepite e rimosse da chi non vede e non vuol vedere. Loro, le due protagoniste, si muovono con grazia di passi di danza figurata, gesti di una leggerezza sostenuta dall’intercalare della musica delle arpe e degli archi di Mahler (il sublime Adagietto struggente e malinconico), per poi virare sul pop con Tiziano Ferro che canta: “ Io voglio regalarti la mia vita”(da Indietro), tanto amato da Patrizia da cantarlo al microfono, scendendo dal palco per salire sulla gradinata in mezzo al pubblico.
Laico e religioso, fusione di due universi capaci di compenetrarsi tra di loro. E una alla volta sbucano fuori dalle tasche dei loro camici/divise, le pecorelle in miniatura, deposte sul tavolo, usate come delle sigarette da fumare. Gesto spiazzante che crea uno spaesamento tra follia e sogno, carico di simbologie oniriche. Eppure in tutto questo c’è una coerenza lucida e feroce. Balza alla mente, in qualche modo, la parabola del Buon Pastore, narrata dal Vangelo secondo Giovanni, dove Gesù stesso si descrive come il pastore che dona la vita per le sue pecore. Tante piccole pecore che appaiono dalle mani e una di loro, però, è quella nera. Il riferimento è lampante. C’è la sofferenza nel gesto di portare sulle spalle l’asse di legno, entrambe si trascinano in ginocchio, da una parte all’altra della scena, lamentando: “Che fatica la vita, il teatro” fonte di sofferenza.
Sembrano due mistiche intente a portare la croce, e così è, quando Antonella la prenderà sulle sue spalle, accolta tra le braccia da Patriza che le rivolge la parola: “Ci penso io a te”. Simbiosi totale, una fusione di corpi e di emozioni palpabili. Forti, sconvolgenti, simboliche e in grado di evocare, alla fine, perfino la Morte. Una pecora puntata come una pistola, il corpo sdraiato in posizione fetale. La ricerca della morte per mano propria. La luce delle candele che rischiarano il buio di una vita giunta al suo termine terreno. La vita e il teatro, gioie e dolori. L’abbraccio che le unisce e le rende una sola entità. Indivisibile. Lacrime vere e tanta commozione tra il pubblico del festival Inequilibrio di Castiglioncello, resosi conto, solo alla fine, dopo i lunghi applausi, che aveva vissuto un’esperienza irripetibile. Abbondanza e Bertoni firmano con queste Fumatrici di pecore, una pagina di teatro e danza che non trova altro termine in grado di dare giustizia al loro talento: amore per la vita!
Le fumatrici di pecore
un progetto di
Antonella Bertoni
regia
Michele Abbondanza
coreografie, scene e costumi
Antonella Bertoni
con
Patrizia Birolo e Antonella Bertoni
luci
Andrea Gentili
produzione
Compagnia Abbondanza Bertoni
Visto al Festival Inequilibrio di Castiglioncello il 1 luglio 2012