Una mamma ed il suo bambino. Una rapina finita in tragedia. Un uomo senza più moglie, senza più figlio. Uno dei due malviventi, Raffaele Beggiato, viene condannato all’ergastolo, l’altro riesce a fuggire. A quindici anni dal delitto, l’ergastolano, ammalatosi di un tumore maligno chiede a Stefano Contin, marito e padre delle due vittime, il perdono e la grazia per poter trascorrere i suoi ultimi mesi in libertà. Ma non c’è spazio che per l’odio nel dolore di Contin che da anni non si dà pace: vuole che anche il complice di Beggiato venga punito. Ci possono essere tante sfumature anche in una tragedia. Un po’ di luce, anche tenue, solo una scintilla. Ma L’ “Oscura immensità” è solo buio. Quindici anni di sospensione del tempo, vite pietrificate come lapidi, l’eterno accadere e riaccadere di un istante nel cuore della vittima, nel cuore del carnefice. Corpi sfatti, anime incancrenite.
Il corpo infettato del detenuto morente è animato dalla speranza di uscire, dopo quindici anni in cui non ha fatto altro che chiedersi “ma come cazzo ho fatto?”, uscire e godersela un poco questa sua miserabile vita sacrificata al suo errore, prima di andarsene nella fossa. In Contin, invece, il sopravvissuto d’una bella famiglia completamente distrutta, non rimane altro che un odio che si conserva progettando ecatombi in attesa di farsi Nemesi di due morti crudeli, di scrivere con il sangue la parola Giustizia. L’uomo persiste nella sua condanna assoluta anche laddove perdonare o perlomeno abbandonarsi al buonismo di coloro che lo assediano, potrebbe narcotizzare il suo dolore. L’urlo che stringe in petto non si scioglie, attende solo di sfogarsi.
Quante domande scomode solleva “L’ oscura immensità”. È giustificabile provare più simpatia per un ergastolano che, “strafatto” ha premuto il grilletto contro un bimbo di otto anni piuttosto che per un uomo distrutto, sopravvissuto ai suoi cari che per vendetta ammazza nella più sadica, lucida delle maniere i colpevoli, veri o supposti, come dei cani che “s’ammazzano a bastonate”?
Nell’allucinazione finale Clara ed il bimbo non rispondono al saluto di Stefano. Le loro anime non si parlano più. Forse l’uomo s’è spinto troppo in là nell’abbracciare le potenze dell’abisso ed ha perso completamente se stesso.È potente la messa in scena del lavoro di Massimo Carlotto per la regia di Alessandro Gassman. Dinnanzi a noi solo Giulio Scarpati e Claudio Casadio , immensi nell’orrore che ci provocano. Tutto intorno a loro una fantasmagoria di vittime, soprattutto donne; madri uccise assieme al loro bimbo ucciso, madri morte insieme al loro figlio ergastolano, puttane sfatte capaci di fare l’amore senza fare domande. In loro forse possiamo trovare lo spiraglio nella immensa notte. Una regia che penetra nella pelle, una recitazione serrata, carnale, parole sputate in faccia come una bestemmia. Un testo forse troppo onesto per digerirlo. Un’indigestione di orrore che ci chiama a pronunciarci.
Visto al Teatro Verdi di Padova, giovedì 10 gennaio 2013
(crediti fotografici di Gianmarco Chieregato)
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