Se i conti non tornano e i progetti faticano a stare nelle tasche di chi ha gettato la mente troppo oltre il portafogli, niente panico. Il teatro che dice la vita può stare tutto dentro una valigia, anzi, nel manico di una valigia, ritaglio di tapis roulant di un aeroporto in cui si raccoglie la varia umanità.
Lo spagnolo David Espinosa sognava un’opera grandiosa, e poiché nell’infinitamente piccolo c’è l’infinitamente grande si è reinventato architetto di un teatro da tavolo, di una “Gran Obra” tutta sua, in scala 1:87. Dall’annuncio aereoportuale trasmesso da un iPhone al casting per sistemare il pubblico, dotato di binocolo, su sedie, pouf e doppia gradinata (leggi palchi, platea e galleria), lo spettacolo è un serrato susseguirsi di trovate.
Occhi puntati su un rettangolino bianco sistemato sul tavolo, campo di gioco su cui Espinosa muove le sue pedine da Subbuteo, che si trasforma in parco pubblico, piazza per scioperanti e night club.
Due neonati, due bambini con un palloncino colorato, una coppia che amoreggia su una panchina, un uomo in ginocchio che si dichiara con rose rosse, il matrimonio, la gravidanza, la nuova famiglia felice, la coppia di anziani, la morte. Una piantina con ramo secco diventa cimitero per il funerale.
Pochi passaggi di pedine ed ecco la foto di gruppo del matrimonio, il rimbalzo della coppia in un piatto fondo, il lancio del riso, versato direttamente dalla confezione a pioggia, a coprirli tutti e due, per diventare sabbia bianca di una spiaggia esotica. Qualche nudista, due palmette, una conchigliona e nelle orecchie “Hotel California”: il viaggio di nozze take-away è servito. Da paradiso a inferno in pochi secondi: una lattina di coca-cola, non in scala, si abbatte sull’isola. Tutto cementato, tutto rovinato. E dalla tecnologia edile a quella spaziale il passo è breve: la lattina diventa navicella per un minuscolo astronauta.
Fine del viaggio, si ritorna sulla terra. Quanta meravigliosa umanità distribuita nello spazio bianco di un parco verde immaginato.
Con poche evoluzioni di polpastrello due giovanotti che giocano a calcio si trasformano in feroci picchiatori, un musulmano viene accerchiato dalla polizia, il pretino di paese schiacciato dal grasso prelato. La Morte con la falce scompagina la composizione e la bella umanità si trasfigura in macabro cabaret con toreri, equilibristi, spogliarellisti e trampolieri, tutti in equilibrio instabile destinati a cedere sotto il peso di uno sbilanciamento di posizione. Tutti in piazza, uomini grassi magri belli brutti, donne incinte, carrozzine, danzatrici del ventre, ballerini di flamenco, sombreri, un elefante, un cartello di car renting davanti alla grotta del Bambin Gesù con bue e asinello, scioperanti, un politico che arringa senza pubblico, astronauti, un gruppo punk. Dall’alto, un asciugacapelli fa girare l’elica dell’elicottero su cui viaggia la coppia presidenziale. In pochi secondi ovazione (finta?) e assassinio di Mr. President con fucile di plastica.
Il consesso si raccoglie: sempre più vicini, sempre più gli uni addosso agli altri, a formare una catasta di corpicini di similplastilina, raccolti infine da una pala meccanica, sotto la supervisione di un uomo solo, che si allontana, nel buio, illuminato per qualche secondo da un fiammifero acceso come fiaccola.
Poetico nella minuzia, inquietante nei temi affrontati e prevedibile nel meccanismo fin dalla seconda trovata.
Visto alla Biennale Teatro di Venezia il 3/08/2013
Fotografia di Futura Tittaferrante