BRINDISI – “A noi che siamo gente di pianura, navigatori esperti di città, il mare ci fa sempre un po’ paura, per quella idea di troppa libertà” (Umberto Tozzi, “Gente di mare”)
Nella smorfia l’81 sono i fiori. E la Smorfia non sbaglia. Anche se qui non si tratta né di caso né di sfortuna né di fato infausto. Ottantuno morti ed i fiori che galleggiano sul Canale di Otranto. Ottantun cadaveri in fondo al mare che cercavano approdo in Italia all’indomani della guerra civile in Albania nel ’97. Ottantuno come le vittime della strage di Ustica. Stragi di Stato. La verità che cozza contro muri di gomma. Spessi come intercettazioni cancellate.
Fine anni ’90: una bagnarola omologata per una decina di persone salpa da Valona, dall’altra parte dell’Adriatico, direzione lo Stivale d’Italia a sessanta miglia. La nave va lenta ma in poche ore si dovrebbe attraccare a Brindisi. Lo Stato tricolore però, con Romano Prodi premier, ha stretto la cinghia dell’accoglienza e la parola d’ordine è respingimento. Con le buone o con le cattive. La storia della “Kater I Rades” fa parte del secondo ramo. Teatro civile, si dirà. Incivile è che, a diciassette anni dall’accaduto, manchino ancora le condanne definitive, si aspetta il terzo grado, e che siano stati colpiti soltanto i cosiddetti pesci piccoli.
Una storia di mare. Una storia sbagliata. L’ennesima. Già dal nome: Kater I Rades significa Nave in rada, cattivo presagio farla salpare verso le acque internazionali quindi. Merito della caparbietà del drammaturgo Francesco Niccolini e della compagnia Thalassia, un attrezzatissimo ed agguerrito manipolo di maestranze teatrali, tecnici, attori che producono alta qualità scenica in ogni sua forma e declinazione, aver riportato a galla, è proprio il caso di dirlo, una storia tanto tragica quanto dimenticata, forse volutamente affossata dalla coscienza collettiva, nella vergogna nazionale elusa, scordata, messa da parte.
Sono in centoventi sulla Kater, gli uomini sopra, donne e bambini sotto nella stiva. Dicevamo respingimento: le navi italiane devono compiere manovre pervasive ed aggressive per far fare marcia indietro alle navi dei profughi. Passargli accanto, quasi fino a toccarle. E se una nave della Marina Militare tocca a tutta velocità una barchetta con oltre cento persone a bordo, il finale è già scritto, la faccenda cola a picco. I corpi sono stati portati in superficie dopo sei mesi: erano “saponificati”. Aggettivo che già, visivamente e lessicalmente, rende l’idea.
Niccolini in un collage tra le voci di due albanesi sul ponte, le loro speranze ed il futuro che si prospettano, i documenti, quelli navali e quelli processuali, due inserti dal “Moby Dick” pregnanti e gocciolanti poesia, ha ricostruito, tramite questo coro polifonico, la vicenda straziante. A fare da detonatore al tutto, la scena. Thalassia, attraverso una serie di coincidenze, è arrivata al fabbro sfasciacarrozze che teneva nel suo hangar, abbandonati, i legni dello scavo ed il motore della Kater, e li ha acquistati. Luigi D’Elia, anche attore (ad esempio ne “La grande foresta” sempre a firma di Niccolini), qui in veste di scenografo, artista e falegname, ha assemblato le parti lignee della nave costruendo una grande porta (dove bussare a San Pietro senza farsi aprire, la botola della stiva che non si apre, Knockin on Heaven’s door) che fa da fondale, mentre con altre assi è stata costruita una striscia che diventa binario morto (la prospettiva rende l’idea angosciante dell’entrata ad Aushwitz), piramide finanziaria esplosa nel Paese delle Aquile, pira poi, infine corpi e bare stese.
Gli spettatori stanno attorno, come se anche loro fossero saliti, per un simile destino, sulla stessa barca di (s)fortuna e (s)ventura. Fabrizio Saccomanno (ha la maglia di Torricelli, giocatore juventino, anch’egli falegname prima di intraprendere la carriera pedatoria) e Fabrizio Pugliese, attori feticcio di Niccolini (che con i tipi della Beccogiallo pubblicherà a breve anche un fumetto sulla Kater), all’ennesima prova di carattere assieme, si incastrano alla perfezione; il primo muscolare e schietto e diretto e ruvido, fisicamente imponente che sovrasta il secondo a sua volta leggero come un filo di frumento, vagamente Stanlio ingenuo e dolce fino ad deflagrare nell’arringa finale del pm al processo, un j’accuse con nomi e cognomi che non risparmia nessuno. Incidente o speronamento questo è il problema. D’Elia e Niccolini, in un gesto simbolico, porteranno in questi giorni alcuni legni della Kater a Valona in una riconsegna che non rimargina come fa il sale, che non guarisce come fa la salsedine, ma almeno mette un punto dove la Giustizia non è riuscita nemmeno a mettere le virgole.
“Kater I Rades” di Francesco Niccolini. Con Fabrizio Saccomanno e Fabrizio Pugliese. Collaborazione alla messa in scena: Roberto Aldorasi. Scene: Luigi D’Elia. Luci: Angelo Piccinni. Suono: Leone Marco Bartolo. Partecipazione straordinaria di Elvis. Consulente processuale: Stefano Palmisano. Cura della Produzione: Alessandra Manti. Distribuzione: Francesca Vetrano. Ufficio Stampa: Maura Cesaria. Produzione: Residenza Teatrale di Mesagne, Thalassia. Visto al Santa Chiara, Museo della Memoria Migrante, Brindisi, il 25 marzo 2014.