SIENA – Lo slittamento, la traslitterazione, lo spostamento del centro focale dal personaggio per antonomasia del teatro ad un comprimario, l’occhio di bue che colpisce e, finalmente, mette al centro quello che è sempre stato citato, evocato nella scena madre ma che mai ha avuto spazio e battute per emergere, preso soltanto a pretesto e simbolo, adesso eccolo che si prende il tempo perduto con gli interessi. Abbiamo visto infiniti “Amleto”, i dubbi esistenziali, lo psicodramma, la gelosia, il potere, la depressione dei personaggi, Elsinor gabbia dorata dalla quale nessuno vuole andarsene, il martirio conclusivo.
Stavolta nel, già spezzettato dal titolo, “I am Leto” (vincitore del “Festival Teatropia” organizzato dalla compagnia Topi Dalmata di Siena) a fare da primattore, ma anche conduttore e presentatore dello show, dove Andrea Bochicchio impersona più maschere, è Yorick, il buffone di corte nella tragedia shakespeariana neanche in carne ed ossa ma parvenza d’umanità concentrata nel teschio, quello che appare nell’usurato e sfibrato “Essere o non essere”. Yorick di nero vestito, incurvato come Andreotti e mani a strofinare come Vespa è colui che ci introduce nel grande gioco interattivo che è diventato il Bel Paese, un posto dove “si può votare soltanto nei talent”. Un reality al quale si affacciano una decina di trentenni, la meglio gioventù o i bamboccioni, che vogliono, vorrebbero, essere Amleto. Hanno peculiarità, curricula, esperienze.
Da cittadini a consumatori adesso trasformati in concorrenti. E’ la politica 2.0, bellezza. Bochicchio è esplosivo, interpreta, improvvisa, tiene la platea, ha la forza di un one man show, un piee dentro ed un altro fuori dal testo, sempre pronto a cogliere l’occasione giusta per punzecchiare, lanciare invettive. Ha le sue buone carte da giocarsi e, come pifferaio magico che si rispetti, porta i suoi topolini sul suo terreno, incantandoli, affascinandoli, miscelando una grande padronanza attoriale, e degli strumenti e mezzi scenici, con intermezzi ludici, travestimenti, trasformismi, micro giocolerie.
Il trono (quasi sedia elettrica, però) alle sue spalle, quello che tutti vorrebbero occupare, legittimamente e democraticamente dopo la vittoria del talent show, uno scranno per niente solido e scolpito nel marmo ma di gomma piuma, la materia più vicina all’infanzia e la sostanza che meno si accredita come sinonimo di potenza, vittoria e virilità. Se il teschio Yorick qui torna ad essere in carne, muscoli e cervello, tutt’attorno a lui teschi-palle da bowling rolling stones, nell’ennesimo scivolamento, in una ulteriore catarsi.
Una maglia con strap è il gancio, anche questo semplice, funzionale e illuminante, sopra il quale agganciare accessori e orpelli, aggeggi ed oggetti per divenire ogni volta una macchietta diversa tricolore, uno stereotipo italico, un campione della penisola. Nel quale riconoscersi, riderne imbarazzati, schifarsene. E si accavallano e si passano il testimone il Nerd tutto occhialoni e grande joystick cantando una versione piacevole di “Me lo compri papà”, il Muscoloso con il mito di Fabrizio Corona, fitness e zumba, il Manager che si crede un vincente ma si deve imbottire di Maalox, il Tifoso che urla tutti gli slogan, il Giovane Padre vessato dalla compagna, l’Elettore del Pd ed il suo “Tessere o non tessere”, il Re dell’Aperitivo, solo con le sue olive, il Toy Boy che cerca la mamma.
Ne esce un quadro allarmante proprio perché realistico. Non siamo più un popolo di santi, navigatori e poeti. Al massimo possiamo aspirare ad una comparsata in tv. E quella ci basta, ci soddisfa. La frase: “Un minuto di silenzio per le vittime della morte”.
“I am Leto” con Andrea Bochicchio, regia Rita Pelusio. Visto a Siena, Festival Teatropia, il 27 marzo 2014.