TARANTO – L’Ilva è l’etichetta di Taranto. Triste a dirsi. Ancora di più a vedersi. Un mostro di cemento e ferraglia sbuffante e puzzolente a fauci spalancate sulla città. Bellissima, vecchia, con l’odore di mare tra i vicoli dove il sole non arriva e l’avvertire pericolo procura piacere. Tra case sgarrupate e palazzi gentilizi la vivacità del Sud, l’umore del Sud, la dolenza del Sud. Taranto è una ruga su un volto meraviglioso dal profilo greco.
Gaetano Colella a Taranto fa teatro. Da una vita. Il Crest, la sua compagnia, si annovera tra gli ensemble più interessanti del contemporaneo italiano. E non vuole etichette per la sua arte, lo afferma spiegando di Capatosta, suo ultimo spettacolo in visione allo Startup Teatro, il festival, un punto di riferimento ormai tra le rassegne, di cui è padre fondatore.
Teatro civile? Nuova drammaturgia? Un’urgenza, piuttosto, di dire in faccia le cose. Di non edulcorare la realtà e propinarla come caramelle per pubblico ammaestrato. Mimetizzarla con la metafora, invece, trasformarla in materia scenica e farla arrivare. Arrivare nel profondo.
Una scenografia con fondale in lamiera, in acciaio, acciaio dell’acciaieria Ilva. Dipinta color ruggine, che ricorda le polveri rosse che tingono la città imprimendo l’orma del mostro, il marchio, la sepoltura sotto il tossico. Tra fondale e proscenio, minimalista allestimento rappresentante l’interno dello stabilimento. Nella pancia del mostro, una storia possibile, credibile. Una storia plot narrativo pretesto per dire altro, per indurre a riflessioni e prese di coscienze, per far pensare. L’avvertito, la sensazione primaria, del dopo spettacolo, al di là del responso su gradevolezza e costrutto scenico, ha a che fare con il sentire, il ragionare, la rabbia, l’indignazione, l’accettazione non supina.
Due personaggi in scena. Operai. Uno appena arrivato, l’altro veterano. L’esperto, il “nonno”, ha nel suo ufficio perfino una poltrona super comfort (emblema e simbolo dell’ingannevole benessere economico esca per utilizzare vita e energia dei lavoratori). Agio e comodità in cambio della salute. Due attori in botta e risposta, Gaetano Colella e Andrea Simonetti, orizzontali: trasposizione tipica di una certa poetica mediterranea, l’occhio sul reale mistificato dalla dialettica serrata e dalle tracce commedianti, e il frontale velato da un rivolgersi indirettamente al pubblico con lo sguardo al di là della platea… Due individui qualunque, segnati dalla vita in fabbrica. Scanditi dalla vita in fabbrica. Potrebbero essere padre e figlio.
Il lavoro attorale fisico e verbale, gesto e parola composti senza mischiare i piani e ben definendo ritmi e tempi di commistione, produce una compiutezza che è snellezza di cifra, intelligibilità che non vuol dire semplicistico, ma funzione per alta fruibilità. La potenza attoriale di Colella, conferma la sua dimestichezza nell’agire teatrale, cifre accostabili a caratteristi di una certa scuola centro-meridionale, e una conoscenza delle poetiche contemporanee che consegnano allo spettatore il corpo e la dialettica di un attore compiuto e allo stesso tempo in divenire. L’alternativa della freschezza di Simonetti contribuisce a una completezza attoriale che risponde di esperienza e bellezza giovanile, tecnica e istinto, allegoria generazionale e di mestiere. Spunti per una mescola accattivante, diretti registicamente da Enrico Messina puntellando geometrie, sottotesti, rimandi, per un’esposizione mai didascalica e mai criptica. Il linguaggio del corpo, dell’icona immaginifica, minimizzato a favore del prosaico, della sequenzialità di scene coordinate l’un l’altro nel rispetto dell’unità d’azione, impreziosito dal contributo evasivi di codici fisici e poetici. Una maturazione di stili e impronte tipici dell’opera artistica del Crest strutturati in un corpus efficace, incisivo, chiaro. L’iterazione di elementi ricorrenti in scena, verbali e gestuali, facilità una comprensione oggettiva che allarga gli orizzonti concettuali su qualcosa di immediatamente riconoscibile. Sud e dinamiche comuni, distorsioni. Tradizioni attitudinali da cui fuggire. E denunciare.
Il rodaggio sui palchi alimenterà lo ‘sporcare’ alcune staticità avvertite in corso d’opera. Formalismi da autenticare, fluidificare.
Uno spettacolo di intenso approdo.
Le foto sono di Lorenzo Palazzo
CAPATOSTA
di Gaetano Colella. Regia Enrico Messina. Con Gaetano Colella e Andrea Simonetta. Composizione sonora Mirko Lodedo. Scene Massimo Staich. Disegno Luci Fausto Bonvini. Prod. Crest-Teatri abitati in collaborazione con Armamaxa Teatro
Visto alla sala Tatà il 26 settembre ’14 – Festival Startup teatro, Quartiere Tamburi, Taranto.