CASCINA (Pisa) – Donatella Diamanti ha recentemente firmato il secondo mandato alla direzione artistica de La Città del Teatro. Nonostante i gravi problemi economici e i furti subiti dal suo teatro, dichiara positiva l’esperienza fin qui fatta e, sulle prossime scelte artistiche, ha le idee ben chiare. Sul rischio insito nell’ospitare i giovani, ribatte che «il teatro è scambio» e «avere uno spazio… aperto a Compagnie che sperimentano testi e linguaggi nuovi è qualcosa» in cui crede. Mentre sulla satira, che da sempre è elemento distintivo della sua programmazione, afferma che: «Sta tornando necessaria più della comicità, perché è uno sguardo sul mondo che apre gli occhi al pubblico». Non mancheranno, poi, gli appuntamenti con un teatro impegnato socialmente. A gennaio salirà sul palco Marco Travaglio e, in chiusura di stagione, vedremo Vacis e Paolini con un gruppo di ragazzi palestinesi: «Un progetto al quale stanno lavorando da due anni, che sarà presentato in anteprima proprio qui in Toscana».
«Vorrei costruire un’occupazione di adolescenti appassionati di teatro»
Sono trascorsi tre anni dal suo arrivo a La Città del Teatro di Cascina, come direttore artistico. Un bilancio dell’esperienza fino a oggi?
«Se ho firmato il nuovo contratto, significa che il bilancio è decisamente positivo. È un luogo che amo molto e mi piace questo lavoro. Indubbiamente sono stati anni difficili, però il nostro è un teatro vivo, dove si svolgono tante attività, iniziative e non si tengono solamente degli spettacoli. Sono molto contenta».
Ultimamente avete subito due furti. Come farete fronte alla situazione anche visti i vostri problemi finanziari? E il mondo teatrale si è dimostrato solidale?
«Le offerte di solidarietà sono fioccate. Dal Teatro di Rifredi – i primi a farsi vivi e a chiederci di cosa avessimo bisogno; a Flavio Albanese della Compagnia del Sole, che voleva regalarci uno spettacolo. E poi, Daniela Morozzi, Katia Beni, Anna Meacci e tanti altri artisti che si sono offerti di venire a Cascina per fare delle serate. Quindi, dal punto di vista economico, potremmo far fronte ai costi dell’acquisto di tutta la nuova fonica della sala grande e delle sale minori. Però, e qui c’è un però. Il Presidente, il direttore amministrativo e io ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti che siamo un teatro con un finanziamento pubblico e che, prima di fare una scelta di questo tipo, vogliamo aspettare di sapere a quanto ammonterà il contributo regionale. Inoltre, ai costi per la fonica andranno aggiunti quelli per mettere in sicurezza il teatro. La spesa sarà rilevante ma noi, che facciamo serate di beneficenza e raccogliamo fondi per i centri antiviolenza toscani, per le associazioni che si occupano della prevenzione di malattie, crediamo che le risorse così ottenute debbano andare a coloro che vivono situazioni di disagio oggettivo. Quindi, prima vogliamo vedere se riusciamo a farcela da soli. Non per presunzione ma come atto dovuto. E se ce la faremo, a tutti i colleghi che si sono dimostrati tanto solidali e ai quali sono personalmente grata, chiederemo di venire ma per fare qualcosa in favore di un progetto sociale, per raccogliere fondi per una borsa di studio o per una realtà che ne abbia veramente bisogno».
L’ultimo anno è stato molto difficile per La Città del Teatro. Dalla primavera si sono visti i lavoratori del teatro distribuire al pubblico volantini, nei quali si lamentano la mancanza di democrazia nelle scelte di gestione, e di un serio piano di risanamento per i quasi 700.000 euro di debito ai quali, vi si accusa, volete far fronte solo con tagli al personale. Ci sono anche varie lettere aperte ai giornali e dichiarazioni sindacali contro il licenziamento del direttore tecnico. Qual è la sua posizione?
«Coloro che firmano questo volantino non sono tutti lavoratori. Sono una parte di lavoratori, che si va via via assottigliando. Ci accusano di epurazione ma non mi sembra che sia questo il caso, perché tra quelli che protestano ci sono professionisti che continuano a lavorare a La Città del Teatro, vanno in tournée e mettono in scena, qui, i loro spettacoli. Quello che è accaduto è doloroso e il presidente e il direttore amministrativo potrebbero spiegarlo meglio. Nessuno dice che i licenziamenti siano la panacea di tutti i mali, però c’è stata una trattativa sindacale e ci sono documenti agli atti a comprovarlo. In breve, anche in conseguenza di un invito della Regione Toscana, abbiamo dovuto affrontare un’importante revisione della spesa per far fronte a un debito che non dipende dalla gestione di questi ultimi anni. Va anche sottolineato che, dal 2013, sono stati prima decurtati e, poi, tagliati i finanziamenti che ricevevamo dal Comune di San Giuliano e dalla Provincia di Pisa. Ma, nonostante tutto, abbiamo chiuso in pareggio il bilancio 2014. A riprova che la Stagione è andata bene e che l’attività artistica è stata apprezzata».
La riforma del Fus ha aggravato la situazione o va nella giusta direzione?
«A noi la riforma del Fus ha portato una crescita del contributo ministeriale di quasi il 70 per cento, arrivando a quota 360 mila Euro annui. Non abbiamo fatto fatica ad adeguarci al progetto ministeriale dato che quanto facevamo era ciò che richiedeva il Ministero. Questo perché da sempre ci occupiamo di formazione; svolgiamo attività sul territorio; e le collaborazioni con le Compagnie giovani erano già in essere. Da lì a dire che questa sia la legge perfetta, se si considera anche chi è rimasto privo di finanziamenti, probabilmente ne passa. E, soprattutto, grandi temi come quello dell’ospitalità, e della rete, non sono stati presi in considerazione. Ogni riforma, all’inizio, è spiazzante; e l’Italia è abituata a continue riforme, progressivamente corrette fino a che tutto torna come prima. Questa legge non ha bisogno di correzioni che vadano in quel senso, quanto di una seria osservazione del panorama italiano e di ciò che effettivamente accade. Mi spiego meglio. Se si costringono tutti i teatri, in maniera indistinta, a lavorare in sede o nella propria regione. In zone come questa, in cui non è pensabile – né per noi né per il Teatro Nazionale di Pontedera – una tenitura dello stesso spettacolo per diverse sere di seguito, ecco che si crea un enorme problema. E far girare gli stessi spettacoli in regione è ancora più difficile perché non esiste materialmente un bacino di utenza sufficiente. Alla fine si rischia di inflazionare uno spettacolo solo perché le date che deve fare in regione sono maggiori di quelle nazionali. Ci si dovrebbe occupare, al contrario, di una distribuzione su territorio nazionale, soprattutto di spettacoli e artisti che sono meno presenti perché il teatro, purtroppo, è fatto ancora di grandi nomi».
Quest’anno, in particolare, i personaggi che vengono dal mondo della televisione monopolizzeranno i teatri toscani, così come alcuni titoli proposti a più riprese. Un effetto della riforma?
«Mi rendo conto che è difficile, come spettatore, pensare di vedere due volte uno stesso spettacolo, e questo è un primo problema. Per quanto riguarda, poi, la televisione in teatro trovo che sia un’altra distorsione, in parte dovuta alla riforma, e in parte al funzionamento del nostro sistema teatrale. Questo perché le sale grandi vanno riempite e per farlo ci sono due modi: progettare, oppure usare il nome di richiamo. La prima scelta, però, richiede un lavoro costante e pluriennale sul territorio. Gli spettacoli che noi proponiamo in sala grande, a La Città del Teatro, sono sempre l’epilogo di un discorso più ampio, grazie al quale trasciniamo il pubblico facendolo sentire partecipe di un evento e non solamente spettatore. Laddove questa progettualità manchi, per fare i numeri si può solo optare per il nome famoso».
Veniamo alla Stagione che, quest’anno, anticipa a ottobre – come in gran parte d’Italia. Mi sembra abbia puntato su molte Compagnie giovani. Questo, secondo alcuni suoi colleghi, è un rischio, soprattutto in un momento di crisi. Cosa risponde?
«Il teatro è scambio. Se io per prima non mi dimostro curiosa, interessata ad apprendere cose nuove, credo di difettare come persona e come direzione artistica. L’idea di avere uno spazio come questo, così grande, aperto a Compagnie che sperimentano testi e linguaggi nuovi è qualcosa in cui credo. È rischioso, certo, perché i fondi che stanzio per questi progetti sono sottratti alle normali attività del teatro e non so quale ritorno avrò in termini di spettatori. Oltre al fatto che non tutti gli spettacoli hanno la stessa qualità artistica. Però io ci credo e continuerò a farlo».
Un altro filone che si può riconoscere nel programma è quello della comicità intelligente. C’è bisogno di satira in questo Paese?
«La satira sta tornando necessaria più della comicità perché è uno sguardo sul mondo che apre gli occhi al pubblico. Katia Beni e Anna Meacci, quest’anno, presenteranno uno spettacolo che conta dei momenti di satira. Mi viene in mente una scena in cui Meacci incontra un nuovo povero e non lo riconosce perché è identico a lei. Il titolo è Scoop e andrà in scena l’ultimo dell’anno. Un progetto, il loro, che parte dall’idea di analizzare i nonluoghi, e in particolare i supermercati. Muovendosi dalla definizione di Marc Augé che considera i nonluoghi gli spazi in cui si transita, Beni e Meacci hanno condotto un anno di ricerche parlando con magazzinieri, cassiere, trascorrendo molto tempo a diretto contatto con questi lavoratori per costruire uno spettacolo davvero interessante. Un episodio che mi hanno raccontato può essere esemplificativo di quanto accade nei nonluoghi. Un giorno un signore, al reparto rosticceria, chiedeva un po’ di ascolto alla commessa spiegandole che lui non parlava mai con nessuno. E lei gli rispondeva di non poterlo ascoltare perché c’era la fila. Il signore ha preso il numero e quando è toccato a lui, le ha detto: “Questo è il mio numero e adesso lei mi sta a sentire”. Un secondo progetto sul quale punto è la serialità comica teatrale. Il titolo previsto è Serie a Caso – perché Caso è il paese dove si svolgerà la serie. Katia e Anna impersoneranno le capostipiti di due famiglie antagoniste, in una sorta di parodia di Sentieri che, siamo certe, sarà molto divertente e speriamo possa debuttare a gennaio. E ancora, Antonio Cornacchione e Lucia Vasini saranno protagonisti, il 2 aprile, dell’esilarante L’ho fatto per il mio Paese; mentre il 27 febbraio Alessandro Benvenuti tornerà a La Città del Teatro, con Nino Formicola e Francesco Gabrielli, in Tutto Shakespeare in 90’. E se vogliamo aggiungere uno spettacolo certamente non comico, ma giocato sul registro grottesco, saranno per la prima volta nostri ospiti Daniele Timpano ed Elvira Frosini in Zombitudine, il prossimo 6 febbraio».
Teatro e impegno sociale. A gennaio torna Marco Travaglio. A maggio chiudete con uno spettacolo di Vacis/Paolini che vedrà sul palco alcuni ragazzi palestinesi. Una scelta coraggiosa.
«Lo spettacolo di Paolini e Vacis si intitolerà Amleto a Gerusalemme. È un progetto al quale stanno lavorando da due anni e il 2 maggio sarà presentato in anteprima, proprio qui in Toscana e sarà una sorpresa per tutti, noi compresi. Il 22 gennaio, apriremo la Stagione di Teatro On con Marco Travaglio e il suo Slurp. La regia del recital sarà firmata da Valerio Binasco, che è molto bravo, e sono curiosa di vedere se e come riuscirà a dirigere Travaglio».
Il sogno nel cassetto?
«È un progetto al quale penso da quando mi sono insediata alla direzione artistica tre anni fa e non sono ancora riuscita a realizzare. Vorrei costruire un’occupazione di tre giorni di adolescenti appassionati di teatro. Mi piacerebbe che quelli che lavorano con gli adolescenti li accompagnassero fino a qua e si mettessero – come noi del teatro – al loro servizio. L’intento sarebbe quello di dare ai giovani la possibilità di usare tutti questi spazi per creare qualcosa di nuovo, in tutta libertà, e non solamente per fruire di spettacoli».