CATANIA – Se è vero che l’arte ha il primario compito di vedere, e farci vedere nel fondo la realtà (inclusa la creatività contemporanea e con essa tutti i linguaggi artistici della contemporaneità), non può fare a meno delle tecnologie che aumentano ed estendono la nostra percezione della realtà e di noi stessi, ecco uno spettacolo che è davvero paradigmatico: “Verso” della coreografa canadese Audrey Bergeron, visto a Scenario Pubblico. Una produzione nel contesto del progetto di residenze creative denominato “Acasa”. In scena oltre alla stessa Bergeron, Jessica Serli, Kim Henry e Merryn Kritzinger. Perché questo lavoro appare così paradigmatico della sensibilità contemporanea? La risposta sta nell’utilizzo dell “effetto rewind”, un classico della percezione aumentata dalla tecnologia audiovisiva, ovvero la concreta possibilità di “riavvolgere” un video a velocità diverse, ritornando indietro al punto dal quale era partito; consentendo la possibilità di percepire segmenti di movimento (e di realtà) che la normale velocità delle azioni non consente di cogliere. Questo effetto “decostruisce” l’apparenza filmica della realtà (approfondendola, dilatandola e dividendola – prima e moltiplicandola dopo), consentendo di conoscerne particolari non percepibili ad occhio nudo. Attraverso la constatazione di questa dinamica la coreografa passa all’esplorazione della realtà femminile (nella sua strutturale irriducibile complessità e profonda autenticità), tale da sembrare quasi un utilizzo naturale di questo effetto. Avanti, indietro, ancora avanti, ancora indietro. Il risultato che ne scaturisce, non è tanto la mimesi dell’effetto rewind nei movimenti delle danzatrici (in quanto tale poteva essere banale), quanto la possibilità di vedere con chiarezza dei segmenti minimi di movimento, altrimenti non visibili alla vista, ma di comprendere, come essi, presi singolarmente, implichino dei significati altri (e nascosti), dando ragione della complessità di fondo del movimento della (e nella) realtà. Ci si accorge come la dialettica interna di questi movimenti, il loro affermarsi nello sforzo, nel contrasto, nella resistenza reciproca. Il valore aggiunto lo da una buona dose di leggerezza e straniata ironia presente nella circolarità della musica balcanica (i fiati di “Sat” di Boban Malcovich) che apre e chiude lo spettacolo.