La vita ti può riservare incontri capaci di determinare la possibilità di scoprirsi diversi da come ci si pensa. L’incontro con l’Altro permette di scoprire, a volte, un comune denominatore. Così come può accadere nella nostra sfera più privata e intima, è possibile che le nostre traiettorie trovino la possibilità di intersecarsi anche nell’ambito di professionalità diverse. Il valore aggiunto si palesa quando il contatto avviene tra la funzione specifica dell’arte e persone in situazioni di difficoltà e di disagio. Questo per spiegare l’importanza di un’ esperienza nata tra il Centro Arcobaleno di Arzignano (Vicenza) e Andrea Fagarazzi e I-Chen Zuffellato, invitati a realizzare un evento teatrale con le persone assistite e gli operatori.
L’esito di questo incontro è stato quello di creare sulla scena una rappresentazione teatrale, inserita nel progetto “Oggi che colori indossi?”, per la sensibilizzazione della salute mentale nella popolazione giovanile e rivolto agli studenti delle scuole superiori. Partendo dal bagaglio di vita di ogni persona incontrata, nel corso di sei mesi, i due artisti nelle vesti di registi, hanno focalizzato il lavoro sulle tematiche di trauma e sogno. Il risultato è visibile sabato 1 settembre 2012 al Teatro Remondini di Bassano del Grappa, alle ore 21, con “Kitchen Of The Future”, su invito del Festival Opera Estate nell’ambito di B.motion, uno spettacolo che ha debuttato il 14 dicembre 2011 al Teatro Mattarello di Arzignano.
Andrea Fagarazzi e I-Chen Zuffellato collaborano insieme dal 2005, realizzando progetti in cui esplorano i concetti corporei mediante diversi linguaggi espressivi tra cui la performance e l’arte visiva, per investigare la diversità in relazione all’identità e la sua alterità. Tra le loro creazioni per la scena e per l’arte visiva si ricordano Lezioni di Moshpit; Heavenever; Cucina del futuro; Enimirc; Atlante rosso; Desert / dessert; Io lusso, Spiaggia dorata; Vita_mina; Apparenze domestiche.
Andrea Fagarazzi si è diplomato in arti performative all’Accademia Professione MAS di Milano e ha conseguito una laurea all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. I-Chen Zuffellato è un’interprete e coreografa indipendente. Nel 2004 ha conseguito la laurea in Performing Arts alla Theaterschool delle Arti di Amsterdam. In “Kitchen Of The Future” (La cucina del futuro) i registi si sono avvalsi delle potenzialità culturali dei performer (circa trenta tra utenti e operatori del Centro Arcobaleno), per cercare di sondare, comprendere e valorizzare le capacità e le forme espressive più specifiche di ciascuno.
E il risultato è stato l’incontro tra sensibilità differenti, tra chi ha voluto essere in scena e altri disponibili a realizzare le scene, i disegni per l’animazione video, la grafica, la scrittura dei testi. E forse nelle parole scritte sta rinchiuso il significato più vero di un’esperienza di arte e teatro confluita nel “fare insieme” e non per… “Questo spettacolo è come un giorno qualunque, a volte sei euforico a volte triste”. “Ero convinta che volessero uccidermi” – spiega R. – L’attimo dopo invece ti risvegli in un film di Bollywood. Una Biancaneve in versione dark illustra la ricetta dello Strudel. Strudel significa anche vortice e proprio in questo vortice, nella confusione di passanti, qualcuno ferma il tempo per raccontarci un’altra breve storia. Vera o falsa non è dato saperlo.”
E forse è capitato un po’ a tutti di sentirsi come M. quando racconta: “Io una volta non avevo una faccia adesso magari ne ho un po’ di più e quindi mi riconosco.” Sono alcune delle frasi estratte dal testo che Fagarazzi e e Zuffellato hanno utilizzato per l’azione performativa, teatrale, o visuale. Difficile trovare una definizione assoluta nel definire la collocazione in cui ascrivere il loro ruolo all’interno dei linguaggi del contemporaneo. Un interrogativo/quesito analizzato durante l’incontro che si è svolto insieme alla redazione di B.stage (diario di bordo), formata dal Tamburo di Kattrin, presente durante tutto lo svolgimento del festival. Una conversazione libera, a più voci, pensata per rievocare la nascita della collaborazione tra i due performer, le loro esperienze pregresse. Inizia Andrea nel raccontare le sue prime esperienze nel campo delle arti visive, spiegando come per lui sia stato importante utilizzare diversi linguaggi.
«Io e I-Chen ci conoscevamo già da molti anni e quando ci siamo rincontrati di nuovo abbiamo deciso di collaborare insieme e dedicarci alla fotografia e al video. Abbiamo ottenuto da subito un buon riscontro e la risposta è stata positiva. Nel 2007 il Festival Opera Estate ci ha prima acquisito delle immagini e poi commissionato nuovi scatti per pubblicizzare il B.motion. Con questo però non amiamo definire esattamente cosa facciamo: teatro, arti visive, danza contemporanea o performing art. Noi veniamo dal settore della danza contemporanea e siamo stati assorbiti nell’ambito teatrale, forse quello che in Italia ha maggiori aperture a differenza di quello che accade nel panorama europeo, così diverso sia nel campo teatrale che in quello della danza. Comunque sia ogni volta partiamo da punti di vista diversi e nel corso degli anni abbiamo consolidato un filo conduttore che ci ha permesso di costruire un humus organico maggiore. Questo ha permesso di consolidare un linguaggio proprio del gruppo»
Come è avvenuto il passaggio dalla bidimensionalità del fermo immagine e video alla performance dal vivo?
Rispondono sia Andrea che I-Chen
«È stato un passaggio naturale, entrambi veniamo dalla danza mentre Andrea ha sempre percorso due percorsi paralleli sia con la danza che con le arti visive. Il modo di lavorare dal vivo è venuto da sé, senza un vero passaggio. La nostra prima esperienza di performance live l’abbiamo fatta nel 2008 con “Io Lusso” al Festival Es. di Terni nel 2008, dove abbiamo introdotto delle nuove tematiche attraverso l’utilizzo della drammaturgia. Non siamo per la distinzione dei generi. Non cambia nulla nemmeno nella scrittura, sia negli altri metodi come la proiezione video e la manipolazione delle varie proposte.
In Enimirc, ad esempio, indossavamo delle buste dorate sulla testa, senza vedere l’altro performer e senza vedere lo spazio. Un lavoro performativo che comprende poi la manipolazione video della prima parte. Una relazione del movimento senza vedere. Noi in questo lavoro ci mandiamo dei messaggi vocali che servono anche come cifra all’interno di quello che facciamo. A questo punto si sentiva la necessità di capire come lo spettatore percepisce da fuori tutto questo, come viene vissuta l’esperienza sensoriale dello spettatore, vissuta su stessa. Ci interessava lavorare sulle manipolazioni eclatanti che utilizzavano i media in quel periodo, rispetto alle notizie di cronaca o di politica, e quindi utilizzare i media per dimostrare quanto è diversa la realtà, a seconda da dove la guardi.
L’azione del performer è qualcosa che può vivere solo lui, da qui abbiamo deciso di mettere in condizione gli spettatori nella stessa situazione: in Enimirc alcuni di loro venivano mascherati, altri che guardavano l’azione. Ribadire come non esista una visione univoca mentre la differenza la riscontri a seconda da dove la guardi. Non è certo un atto scientifico ma è comunque qualcosa che va a stimolare lo spettatore, a darli delle altri chiavi di lettura. In Io Lusso usavamo le telecamere che riprendono i performer in scena che ad un certo punto giravano verso gli spettatori. Cambia la percezione dello sguardo sia nello spettatore che nel performer».
C’è un’altra esperienza dove avete indagato maggiormente questa dinamica della percenzione/visione/coinvolgimento del pubblico?
«In Lezioni di Moshpit che abbiamo realizzato una sola volta a Bologna, dove abbiamo presentato un video girato al Garage Nardini di Bassano, dove si analizza il pogo nei concerti rock. Una pratica in uso tra gli spettatori come una sorta di “ballo” (nato originariamente nel movimento punk rock e poi diffuso anche nel heavy metal, nello ska punk e nel folk, che si manifesta tipicamente durante i concerti, ndr), che inizialmente consisteva nel saltare sul proprio posto durante i concerti, in seguito caratterizzato da una sorta di “tutti contro tutti” dove i partecipanti saltano prendendosi reciprocamente a spallate. Ci siamo interrogati sulla partecipazione del pubblico. »
Questo significa che avete indagato sul rapporto che si viene a verificare tra voi e lo spettatore per capire le reazioni che si vengono a creare attraverso l’azione performativa?
«Quello che ci interessa in modo particolare è far capire al pubblico che ci sono diversi modi di poter vedere, percepire e partecipare all’evento in cui tutti sono coinvolti e partecipi della stessa energia. Non è tanto cercare una reazione particolare e comunque ognuno è libero di avere poi una sua visione personale. C’è anche il problema di come si pone l’artista nei confronti del pubblico, dove io sono quello che ti sto dicendo come vanno le cose. Va tolta l’aurea che circonda l’artista per far capire che si è tutti partecipi di un evento, senza creare una sorta di dipendenza, quanto invece rendere consapevole dell’importanza di essere spettatore. Anche rispetto alla critica e all’entità pubblico che ha questa capacità critica di dire mi piace o non mi piace.
Volevamo scardinare questa idea semplicistica di giudicare ciò che si è visto. E qui si tocca il problema del non voler compiacere lo spettatore. Noi cerchiamo di sottrarci a questo compiacimento, anche se comprendiamo quanto sia grande il rischio nel fare questa scelta. Viceversa, va creato un rapporto di fiducia con lo spettatore. »
A proposito di fiducia, voi siete stati scelti per un progetto molto particolare, non da un teatro o un festival ma da un centro di riabilitazione. Come nasce l’idea di portare in scena Kitchen Of The Future ?
«La proposta ci è stata fatta dal Centro Arcobaleno di Arzignano, un istituto di riabilitazione psicosociale, con la richiesta di creare uno spettacolo con le persone assistite e i loro operatori, noi in questo caso abbiamo curato la regia. Nel corso di sei mesi abbiamo sviluppato un’attività artistico-performativa, basata sulle individualità di ciascuno di loro. Ci siamo presi molto tempo per conoscerli ed ogni colloquio si svolgeva sempre alla presenza di uno degli educatori. Era importante, soprattutto sviluppare la relazione e instaurare un rapporto di fiducia reciproco. Il lavoro si è basato sulla memoria e sull’espressività libera di ognuno dei partecipanti al progetto.
Una partecipazione spontanea e sicuramente valorizzata dalla componente arte-terapeutica che si è venuta a creare, ma senza nessuna finalità precisa e premeditata. Per noi è stato fondamentale resettare le nostre esperienze precedenti, noi stessi per come siamo fatti e tutto quello che avevamo acquisito in precedenza. Quello che ci ha colpito nel lavorare con questa realtà è stato sapere anche nel territorio di Arzignano è presente il tasso più alto di malattie mentali, e questo ci ha fatto riflettere su quali possono essere le cause. Il nostro auspicio è quello di continuare a collaborare con queste realtà e indagare sulle tematiche del disagio, quali punti nevralgici vi siano presenti, individuarli ed esporli.»
Kitchen Of The Future: idea, regia, drammaturgia: Fagarazzi & Zuffellato
sabato 1 settembre ore 21 Teatro Remondini B.Motion Bassano del Grappa
in collaborazione con i performer: Laura Andolfo, Angelo Ardizzone, Sonia Belfiore, Alessandra Belfontali, Claudia Bettega, Paolo Bodo, Marco Bomitali, Patrizia Boschetti, Nicola Boschetto, Luisella Buffo, Silvia Carpenedo, Nicola Cecchetto, Ilenia Ceolato, Roberto Cuccarolo, Carmelo Dalla Benetta, Osvaldo Dal Lago, Anna De Cao, Domenico Faggiana, Carol Fongaro, Flavio Franceschi, Paolo Frigo, Katy Gatto, Jessica Geremia, Consuelo Marchioro, Corrado Nardi, Claudio Negretto, Maurizio Nicoletti, Luca Peretti, Patrizia Peruffo, Elisanna Pollin, Ileana Rodofile, Annalisa Rosa, Fabrizio Sava, Barbara Siviero, Luigi Taroli, Carlo Xompero, Giovanna Xompero, Simonetta Zerbato, Moira Zordan, Luca Zulian
voce fuori campo: Paolo Frigo
responsabile tecnico: Matteo Cusinato
disegni animazione: Claudia Bettega
montaggio animazione: Fagarazzi & Zuffellato
contributo grafica adesivi: Domenico Faggiana, Claudia Bettega
scenografia e costumi: Fagarazzi & Zuffellato
realizzazione fondale: Laura Andolfo, Enrico Bologna, Marco Bomitali, Laura Borgato, Nicola Cecchetto, Paolo Frigo, Flavio Franceschi, Katy Gatto, Jessica Geremia, Angelo Marcheluzzo, Corrado Nardi, Claudio Negretto, Roberta Tessari, Paolo Zocche
realizzazione scultura in ferro: Alessandro Mason
sartoria: Adriana Muzzolon
Un ringraziamento alla Scuola di Danza Lifen
con il sostegno dell’Associazione culturale Teatro Corsaro – Giardino Chiuso, Centro di Servizio per il volontariato della Provincia di Vicenza, Comune di Arzignano – Assessorato alla famiglia, Servizi sociali e pari opportunita’, Az. U.L.S.S. 5 Ovest Vicentino, A.I.T.Sa.M ONLUS, Centro Ricreativo Anziani Arzignano.