Danza — 01/10/2024 at 21:58

La “Trilogia dell’estasi” cattura il pubblico in una rete

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RUMOR(S)CENA – MILANO – Apertura con successo al Teatro dell’Elfo per il Festival MilanOltre con la partecipazione della Compagnia Zappalà Danza, che ha messo in scena Trilogia dell’estasi, spettacolo che raccoglie in un’unica serata le riscritture di: Aprés midi d’un Faune di Debussy,il Boléro di Ravel e Le Sacre du Printemps di Stravinskij. Sulla scena un “ensemble formidable” di 14 interpreti della ZDC impegnati in una partitura coreografica che mette al centro le relazioni umane e le derive della società contemporanea, senza rinunciare alla forza evocativa del passato. 

Il coreografo catanese Roberto Zappalà rimette al centro delle sue creazioni la forza liberatrice e senza confini della fantasia, collegandosi a citazioni cinematografiche, come “Eyes Wide Shut” di Stanley Kubrik e di coreografie che hanno fatto la  storia della danza, come l’Après-midi d’un faune interpretato dal grande Nijinsky. Nello stesso tempo rende contemporaneo il passato, non solo grazie alla straordinaria modernità delle musiche di Debussy, Ravel e Stravinsky, ma anche immergendo la sua danza in un contenitore scenografico che si rifà alla pop art e ai disegni fumettistici, intervallando la musica classica con quella techno ed elettronica, in un ordine e disordine di grande effetto, grazie anche al disegno luci di grande impatto visivo.

La scena si apre con un gruppo di danzatori con lunghi e ampi mantelli neri, che appaiono sul fondo con il volto coperto da enormi maschere bianche che richiamano la figura ancestrale della capra, animale che nella religione cristiana incarna l’immagine del diavolo. Il satiro dal corpo umano con le zampe e corna caprine rimandano alle pulsioni sessuali. Lo stesso Satana è spesso raffigurato con sembianze da caprone antropomorfo.  Non a caso i suoi “danzatori caprini”, nella prima coreografia l’Après-midi d’un faune  di Debussy, avanzano lentamente nello spazio circondando l’interprete che dà vita ad un un intenso assolo  eseguito per tutto il tempo in uno spazio ristretto, segnato da una sorta di mandala disegnato sul palcoscenico, all’interno del quale il fauno compie la sua danza primordiale fatta di scatti animaleschi, capriole e movimenti sinuosi. 

All’inizio della musica di Bolero di Ravel invece, i danzatori  incedono lentamente dal fondo del palco verso il proscenio  indossando scarpe dai tacchi alti, quasi a simulare lo zoccolo caprino, rimanendo sempre nascosti sotto neri mantelli e incappucciati. La chiara citazione del film di Kubrick permette al coreografo e regista Zappalà di mettere in scena una sorta di lento rito monacale, circolare e notturno, meditativo e pensoso. I volti, una volta depositate le maschere caprine su un lato del palco che le illumina per tutto il tempo con una inquietante luce al neon, appaiono ancora coperti da altre maschere anonime. Arrivati in fila, si schierano davanti al pubblico, lasciando cadere i mantelli e mostrando improvvisamente il corpo nudo. L’effetto imprevisto, grazie anche allo straordinario disegno delle luci, trascina il pubblico in una danza di coppia delicata e sensuale, in cui il richiamo sessuale sembra improvvisamente annullato dalla dolcezza e dall’ armonia dei movimenti. Il turbamento iniziale trascina lo spettatore in una sala da ballo dove vediamo le coppie danzare nude, ma come se indossassero degli abiti.

Poi, dopo un bagliore di luci che sembra tele trasportare gli interpreti in un altro mondo, il gruppo di danzatori si ritrova a terra. Il palco si illumina, i loro abiti sono coloratissimi e sembrano il risultato di una stratificazione del tempo, di mode e stoffe diverse, gli uomini indossano anche abiti femminili e viceversa.

È un risveglio dei corpi e delle menti che evoca una sorta di nuovo paradiso ritrovato attraverso la musica della Sacre du Printemps di Stravinsky.  Inizia quindi una danza sfrenata che sembra non avere mai fine, intensa e ribelle, individuale e collettiva allo stesso tempo. Il corpo di ballo di Zappalà dà vita ad una danza corale, che non risparmia energie, i momenti di insieme dei danzatori si alternano a improvvisi assoli eseguiti contemporaneamente in diversi punti del palco, in cui emerge la personalità e la bravura di ognuno di loro. Un rito primordiale e moderno che rimanda alla società contemporanea, desiderosa di esprimere allo stesso tempo la voglia di agire individualmente ma anche quella di aprire un fronte comune per risvegliarsi insieme e lottare. Fino a quando, una enorme rete appesa per tutto il tempo dello spettacolo sopra le teste dei danzatori, finisce per cadere su di loro e catturarli. Non c’è via di scampo.

Visto al Teatro Elfo Puccini il 24 settembre 2024

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