La Compagnia I Sacchi di Sabbia nata a Pisa nel 1955, da sempre è riconosciuta come una delle realtà artistiche più originali del teatro contemporaneo, capace di coniugare tradizione popolare e ricerca culturale dando vita a spettacoli in cui la contaminazione di generi diversi (dalla letteratura al cinema) ha portato sulla scena creazioni divertenti e colte allo stesso tempo: Sandokan o la fine dell’Avventura e Tràgoso; ESSEDICE e Don Giovanni di Mozart (commistione tra fumetto e opera lirica). La loro poetica si basa su drammaturgie che colgono le molte sfumature ironiche insite nella vita di tutti, parafrasandole con soluzioni sceniche, recitative, registiche divertenti e sagaci.
La comicità è intelligente e sapiente, così come sono attenti a riscoprire forme di intrattenimento ludico e musicali antiche, come il “maggio drammatico” (presente nella zona dell’Appenino tosco-emiliano) e il “canto dell’ottava rima”. Il teatro dei Sacchi di Sabbia ha una sua cifra stilistica palpabile e sobria al medesimo tempo, offrendo al pubblico la possibilità di emozioni piacevoli senza mai rinunciare a riflessioni di pensiero autentiche e profonde. A Castello Pasquini il loro talento ha incrociato la professionalità registica di Massimiliano Civica (di cui ricordiamo Alcesti visto nel 2015 a Firenze, come una delle sue regie più riuscite e convincenti), e da questo incontro è nato “I Dialoghi degli dei”. L’ispirazione si è indirizzata verso Luciano, uno scrittore e retore greco (di origini siriane, nato a Samosata nel 125 d.C.) autore dell’opera letteraria che presta il titolo dello spettacolo visto. Il mito offre lo spunto di dissacrare con lo strumento principe dell’ironia, la vita degli abitanti dell’Olimpo. Il riferimento prende spunto dalla cosmogonia classica: la teoria della formazione dei corpi celesti del sistema solare e dei pianeti, occupandosi anche di contestualizzarla nella storia delle religioni e dei miti che descrivono le origini del mondo, nelle leggende della creazione.
Fin qui l’ispirazione a cui I Sacchi prendono spunto ma senza nessun tipo di rilettura filosofica e filologica, quanto, invece, una libertà inventiva e creativa diventa il tema portante e la regia si concentra. Gli Dei siedono in aula come scolaretti delle elementari e devono rispondere alle domande di una maestra severa ma discriminante nei confronti di uno degli allievi. Accanto a loro ci sono gli Dei, tra cui Zeus, e il dialogo si fa sempre più esilarante. Il gioco si traduce in una costruzione drammaturgica semplice quanto efficace: le battute nonsense si susseguono fino a mescolare sacro e profano, vissuti e azioni reali e tangibili rielaborate da continue incursioni parodistiche, da teatro dell’assurdo. Comicità sottile mai banale. Ritmo incalzante e recitazione sempre tesa a infondere allegria, buonumore, leggerezza senza pretese. Citano la parola “intrattenimento” nella loro presentazione, assumendosi la responsabilità di interrogarsi (e rispondersi, aggiungiamo noi..) sul “senso profondo della parola che sta alla base della “divertita ricerca di forme desuete per passare tempo”. Il teatro può e deve essere attività di puro piacere e non ha controindicazioni se viene rappresentato con la giusta dose di professionalità.
Ridere a teatro resta ancora una delle sue azioni principali, non serve ricordare come la satira, l’ironia, la farsa comica, nel corso dei secoli abbia contribuito alla crescita culturale e intellettuale. Nei Dialoghi sono evidenti i rimandi a precedenti lavori della Compagnia, può essere considerato come un limite parziale del risultato finale ma è anche vero, che la personalità artistica di Giovanni Guerrieri, Gabriele Carli, Giulia Gallo, Enzo Illiano, Giulia Solano, si è consolidata nel tempo e nulla vieta di modificarla se non per ricercare nuove strategie interpretative a cui va rispettata la libertà di autonomia decisionale.
Teatro e partecipazione collettiva non professionale ma come esperienza laboratoriale; modalità che viene offerta ai partecipanti interessati a vivere dal di dentro come si fa teatro o come si scrive per la scena. Nel caso di “Santa Pazienza” con sottotitolo “di qualcosa di sinistro” Atto primo: invettive/apologie, i Quotidiana.com si sono impegnati ad offrire a undici partecipanti ed autori, la possibilità di scrivere e descrivere la stesura di un canovaccio per poi presentarlo al pubblico del Festival. Pochi spettatori in verità per l’esiguo spazio di una delle sale di Castello Pasquini. Undici tra uomini e donne hanno ricevuto degli input con ampia libertà di sconfinare tra parodia, provocazione, antidogmatismo (caratteristica molto presente nel pensiero drammaturgico di Paola Vannoni e Roberto Scappin), in cui far entrare a ruota libera, senza un apparente senso compiuto. Ad un attento ascolto è, invece, evidente che la materia testuale e verbalizzata dagli interpreti che si susseguono ha dei fili invisibili che legano tra di loro.
Un pensiero individuale diventa collettivo e si fonde fino a creare un’omogeneità strutturale di parole e pensieri oggettivanti, quanto specifici per ogni persona. . Assistere a “Santa Pazienza”, si ha la percezione di un lavoro non teatrale definito (e non dovrebbe avere mai un’aspettativa del genere per chi lo presenta e per gli stessi spettatori), quanto una dimostrazione di un’esperienza importante per i partecipanti stessi, il vissuto esistenziale che ne consegue, senza mai rischiare di incorrere nell’errore di agire con finalità terapeutiche, quanto, invece stimolo per una condivisione sociale di relazione, coesione tra intenti artistici – espressivi e un desiderio legittimo di comunicazione. L’uso delle suggestive maschere indossate davano un senso di estraniazione complice dell’atmosfera surreale che si veniva a creare .