Recensioni — 01/11/2016 at 23:59

L’estate dei festival: un teatro che chiede conferme e suscita dubbi

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Una Compagnia giovane e promettente quella dei Guinea Pigs. Composta da autori e attori alla ricerca di un’affermazione artistica e drammaturgica da poter consolidare nel tempo. La scelta di fare teatro per le nuove generazioni che si affacciano da poco alla ribalta, è sinonimo di ricercare una personale legittimazione e visibilità là dove sia difficile conquistarla socialmente in ambiti digerenti da quello artistico e creativo. Il teatro si fa portavoce di un desiderio esistenziale e va coltivato con la giusta dose di sobrietà e serietà professionale (a partire dallo studio e dalla pratica), per arrivare gradualmente alla scena in cui presentare la propria poetica o scelta. Per nulla scontato e facile da quanto si vede girare per festival e rassegne. Le qualità per convincere visioni differenti (accade di frequente lo scollamento tra il gradimento positivo del pubblico nei festival e una critica a cui non convince la messa in scena), diversità di giudizi di cui poter tener conto per un’analisi che comprenda le variabili soggettive e non, responsabili di esprimere una valutazione (spesso) opposta l’una all’altra. I Guinea Pigs presentavano a Inequilibrio il “Trittico della Guerra” con i tre episodi: “Mosche sul miele”, “Un angolo di buio”, “La regola del branco”. Riccardo Mallus giovane regista dotato di sincero entusiasmo, passione e voglia di esprimere, proponeva una trilogia composta da argomenti raggruppati nello stesso tema d’indagine: “Le guerre contemporanee, nascoste ed invisibili (che la società non vede o non riconosce come tali); lo sfruttamento del lavoro o moderna schiavitù, la violenza gratuita e il social-bullismo, il corpo della donna come territorio di conquista” (dal programma di sala, ndr); sono le guerre che Mallus e la sua Compagnia fondono in una unica visione dove “recitazione, composizione sonora, drammaturgia e movimento” devono trovare la giusta collocazione armonica.

Guinea Pigs foto di Lucia Baldini
Guinea Pigs foto di Lucia Baldini

Facile da dirsi o scriversi, assai più impegnativo dimostrarlo sulla scena. Non per gli elementi compositivi indispensabili per ogni allestimento, quanto per la capacità di raggrupparli in un linguaggio coerente e omogeneo, senza sbilanciamenti a sfavore di uno o dell’altro,  se utilizzati al fine di creare una visione compiuta. Nel Trittico, l’idea di Mallus, si affida alla drammaturgia di Giulia Tollis che tende a sondare attraverso delle storie, l’oscurità dell’essere umano, il degrado delle sue azioni terrene, la brutalità dei rapporti tra uomo e donna, la sopraffazione e l’umiliazione. L’elenco sembra non finire se si attraversano le vicende narrate sulla scena. Ai confini di ogni regola elementare di convivenza civile. Gli attori avanzano verso il pubblico per raccontare quasi volessero coinvolgerlo in prima persona. Una recitazione più spinta verso chi assiste piuttosto che indirizzata tra i personaggi stessi. O con l’uso del microfono ad uso intervista. Le loro sono incursioni per poi arretrare sul fondo e la recitazione assume un tono di declamazione. Non è materia facile raccontare un portato esistenziale così complesso, come lo ha ideato il regista, spinto da un desiderio di spiegare come la vita quotidiana e banale di una donna che lavora nei campi si imbatta con quella di due uomini in attesa di un verdetto per le azioni commesse, o di una giovane coppia in cerca del buio per scambiarsi innocenti baci, vittime del bullismo che si fa forza con l’alcool. Il branco di uomini affamati di sesso in cerca di una donna che si prostituisca e offra il suo corpo a loro.

Non sono certo temi secondari di facile creazione artistico – teatrale, e l’impegno dei Guinea Pigs non è sottovalutabile per lo sforzo dimostrato. Eppure c’è qualcosa che non collima perfettamente a causa di un testo troppo denso, carico di sovrastrutture, impossibili da dipanare con fluidità all’atto della presentazione scenica. Le intenzioni di raccontare e drammatizzare le vicende si perdono in azioni più astratte, quasi simboliche, come se volessero arrivare ad un livello superiore di comprensione concettuale. Il movimento e il suono abbinato alla recitazione sono elementi che dovrebbero trovare una sintesi che non trascuri la gravità delle storie pensate (la società è sull’orlo di un abisso da cui non riemergere è forse l’interrogativo che ci viene rimbalzato?) ma cercando di facilitare in chi ascolta e osserva, la comprensione e suscitare quella giusta dose di empatia tra attore e spettatore.

 

 

Fortebraccio Teatro Metamorfosi foto di Marco Marran
Fortebraccio Teatro Metamorfosi foto di Marco Marran

Inequilibrio presentava anche i quattro episodi da Metamorfosi (di forme mutate in corpi nuovi) di Ovidio: “Il sonno + Tiresia; Aracne+Ecuba; Sirene+Sibilla Cumana; Filemone e Bauci+Sisifo”, adattate, dirette e interpretate da Roberto Latini e la sua Compagnia Fortebraccio Teatro. Non avendo potuto assistere a tutte e quattro le rappresentazioni ci si limita a confermare la bellezza poetica dell’artista e delle sua creatività, resa mirabilmente con pochi mezzi scenici e una carismatica presenza. Appare come un sogno il suo teatro, onirico nell’attesa di risvegliarsi da un viaggio fantastico. Latini ha lavorato sull’indefinito – come lui dichiara – su un materiale che non può essere circoscritto e “finibile”; e questo crea lo stupore e la suggestione delle scene e della recitazione, sempre sospesa e sottesa verso qualcosa che ancora deve comparire. La scelta è quella che lui riporta per iscritto: “Ho stabilito un punto di partenza, non cronologico, non drammaturgico, non contenutistico. Ho scelto di lavorare su quanto mi attrae, sull’attrazione, quindi, non sull’astrazione”. La sua è una ricerca spasmodica incessante e mirata.

foto di Lucia Baldini
foto di Lucia Baldini

Visti al Festival Inequilibrio nel mese di luglio 2016

Il viaggio teatrale prosegue con Kilowatt Festival, Terreni Creativi e Fèstival Tròia Tèatro di prossima pubblicazione.

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