ROMA – Ci sono delle storie che hanno sconvolto negativamente l’opinione pubblica, e che devono rimanere impresse nella memoria delle future generazioni come monito – auspicio, tali da evitare spiacevoli situazioni e impedirne il verificarsi in futuro. È il caso della vicenda di Luca Coscioni, economista di formazione, che nel corso della sua carriera si avvicina alla politica economica, ricoprendo una cattedra all’Università di Viterbo dove insegnava la disciplina di cui era impegnato. Nel 1995 qualcosa inizia a sconvolgere definitivamente la sua vita: gli viene diagnosticata la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), che lo priva delle funzioni motorie ma non di quelle intellettive. Inizialmente decide di allontanarsi dagli incarichi pubblici, ma nel 1999 ritorna a impegnarsi attivamente nel campo politico tra le fila dei Radicali Italiani, condividendone appieno gli intenti, primo fra tutti la libertà di ricerca scientifica. Inizia da questo momento un’ardua battaglia che lo vede contrapposto a chi pone l’etica davanti all’assoluta libertà della ricerca scientifica. Le elezioni del 2001, in cui si espone direttamente non hanno l’esito sperato e la battaglia, sempre sostenuta dal Partito, procede verso il tentativo di far abrogare, tramite referendum, la legge n. 40 del 2004, riguardante la procreazione assistita, che limitava drasticamente la ricerca scientifica in ambito genetico. Anche da questa battaglia però ne esce sconfitto a causa del non raggiungimento del quorum, necessario per la validità del giudizio popolare. La terribile malattia intanto continua ad avanzare fino a quando nel 2006 lo condurrà alla morte. Da quel momento Coscioni è diventato il simbolo della lotta per la libertà di ricerca scientifica, finalizzata a trovare dei possibili rimedi per malattie come la SLA. Una storia dunque da tener viva, da non dimenticare per non tornare indietro.
Se ci sono storie da raccontare per non dimenticare, ci sono modalità con cui si possono raccontare. Lo stesso Coscioni ha tracciato la sua storia nel libro “Il Maratoneta”. Tra queste modalità c’è di sicuro il teatro, ma il problema che si pone qui è come raccontarlo? Millennium Bug è una produzione Indigena che mette in scena con la regia di Christian Angeli e con l’attore Galliano Mariani, il monologo di Sergio Gallozzi, tratto dal testo che racconta gli avvenimenti principali della vita del politico scomparso. La regia trasforma il monologo in una sorta di dialogo, tra un Coscioni in presenza e il suo doppio in video, un dialogo che prosegue per aggiunte, in cui l’attore in carne e ossa esprime un concetto e l’attore in video lo chiarifica o espone delle informazioni aggiuntive.
La scrittura è senza dubbio pregevole, il minimalismo della regia e della scenografia altrettanto, ciò che però ci si chiede è se nell’insieme di scrittura e regia quello che è stato presentato sia vero teatro. Troppe informazioni tecniche, eccessive spiegazioni lunghe, noiose e pedanti: nomi di presidenti e ministri elencati che potevano anche essere rimossi, ma non per vigliaccheria o per non prendere posizione, ma per non distruggere l’essenza stessa del teatro che è metafora, sogno.
Si potrà obiettare sostenendo che una simile vicenda non abbia nulla a che fare con il sogno o con la metafora e si può anche essere d’accordo, ma allora non era il caso di utilizzare altri media per esporla in questo modo? Senza rischiare di diventare pura divulgazione di fatti accaduti. Una sorta di cronaca.
Da questa domanda potrebbe sorgere un’ulteriore obiezione: se il teatro è metafora e non può raccontare le vicende nude e crude allora non serve a niente. Si può rispondere invece che è utile più di quanto si pensi, in quanto impegno civile e politico, ma allo stesso tempo è arte, quindi questi due grandi paradigmi, per essere raccontati, devono essere immessi all’interno dei codici stessi alla base del teatro stesso.
Il suo ruolo è anche evocativo, fatto di immaginazione, di metafore che raccontano di gravi problemi, ma con un impatto ancora più profondo sull’animo umano; perché vanno a toccare corde diverse della sola comprensione razionale dell’evento. Quale teatro ad esempio può essere più civile e politico di quello dell’antica Grecia? Come facevano Eschilo, Sofocle, Euripide, che raccontavano dei problemi profondi che viveva Atene nel loro tempo, immergendo le loro denunce in un passato mitico, rendendoli ancora più taglienti.
In Millennium Bug c’è stato questo tentativo, il quale è stato afferrato ma subito dopo perso: l’evocazione della figura di Galileo Galilei, metafora di Luca Coscioni al giorno d’oggi. Peccato! Poteva essere questa la strada giusta per raccontare metaforicamente le vicende di un uomo che si è battuto per la sua vita e per la vita di tanti nelle sue condizioni. Purtroppo la vicenda continuava con l’enunciazioni di sentenze, di risultati elettorali e di telecronache dove risuonava la voce della giornalista Rai, Carmen Lasorella. Forse sarebbe stata più efficace, a questo punto, un docu – fiction.
MILLENNIUM BUG
di Sergio Gallozzi
liberamente ispirato a Il Maratoneta di Luca Coscioni
con Galliano Mariani
regia Christian Angeli
luci e scenotecnica Giacomo Cursi
musiche Marco Lucchi, Stefano Luca
riprese e fotografia video Andrea Littera
aiuto regia Alessia Filiberti
con la partecipazione amichevole in voce di Carmen Lasorella e Andrea Trovato
produzione Indigena / Teatro Libero Palermo