ROMA – Il festival dell’Economia di Trento (dal 31 al 3 maggio 2018) aveva come titolo il “Lavoro e tecnologia”, argomento di stringente attualità per la grave perdita di posti di lavoro – e una delle cause sotto accusa – è il progresso dell’innovazione tecnologica, in grado di sostituire l’uomo con macchine che sanno svolgere le stesse mansioni. Se l’ Articolo 1 della Costituzione Italiana afferma che « L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», ad tutt’oggi, nel nostro presente storico, appare più come una speranza che un dovere da parte dello Stato di garantire il lavoro a tutti i suoi cittadini. Il numero crescente di disoccupati in Italia, dimostrano come le politiche del lavoro negli ultimi decenni, non sono state in grado di garantire un’occupazione stabile; specie nei confronti dei giovani il cui futuro resta un’incognita senza risposte. L’economista americano Richard Freeman, ospite del Festival dell’Economia, ha spiegato che «i paesi con economie avanzate, come l’Italia, hanno una stabilità intrinseca. L’instabilità non è di causa politica ma finanziaria.» Gli esperti si confrontano e si interrogano sulle cause e sui rimedi ma c’è anche chi il lavoro lo spiega, lo racconta, lo mette in scena a teatro: luogo che ai tempi della democrazia ateniese di Pericle convinse Platone ad affermare che Atene non era una democrazia ma una “teatrocrazia”.
Antonio Calbi direttore del Teatro di Roma – Teatro Nazionale, nel presentare il progetto “Ritratto di una nazione al lavoro. L’Italia al lavoro” da lui ideato insieme al regista Fabrizio Arcuri con il supporto del dramaturg Roberto Scarpetti, pensato come “venti quadri teatrali delle regioni del Paese” – i cui primi dieci sono andati in scena nel mese di settembre del 2017- scrive nel programma di sala “La perduta dignità del lavoro”: «Il Teatro se non presente al proprio tempo dissolve la gran parte del suo senso: essere un “parlamento sociale”, “un’agorà civile e culturale” (…) il Teatro deve farsi carico, per la sua natura e oggi più che mai, di temi forti,sentiti,urgenti, e tra questi c’è il tema del lavoro, in un momento per il Paese complesso e difficile, fra un impiego mai trovato, in particolare per le nuove generazioni (l’Italia ha il tasso di disoccupazione giovanile fra i più alti d’Europa), mestieri scomparsi in ragione dell’avanzamento delle nuove tecnologie fra un fragile assistenzialismo e una ingiusta disoccupazione…ricatti multipli e razzismo palese o latente… temi portati in scena con un occhio alle trasformazioni in atto nei territori e un orecchio alle diverse lingue che nella penisola si parlano».
Di nuove tecnologie ne ha parlato anche Alan Kruger (venerdì 1 giugno) al Festival dell’Economia di Trento: economista di fama mondiale è stato consulente economico del presidente Obama, capo economista del Tesoro e del Lavoro per gli Stati Uniti d’America. La sua relazione verteva, appunto, su tecnologia e il futuro del lavoro. L’economista ha spiegato che le «ondate di innovazioni e cambiamenti tecnologici che hanno coinvolto il mondo del lavoro, si sono sempre susseguite e queste hanno aumentato lo standard della vita umana. Là dove è stata introdotta più tecnologia si è visto come veniva meno l’impegno di risorse umane. Quello che preoccupa di più – secondo Kruger – è l’aumento delle diseguaglianze e il cambiamento tecnologico condizionato dalle competenze che richiederà sempre di più lavorati altamente qualificati».
Ritornando allo spettacolo teatrale visto al Teatro Argentina di Roma, le dieci storie commissionate da Calbi e Arcuri ad altrettanti autori: artisti della scena, drammaturghi, scrittori e registi, componevano un’ideale Ritratto che riprende l’immagine dell’opera pittorica “Il quarto stato” di Pelizza da Volpedo, e integrato dal prologo “Risultato da lavoro” del premio Nobel Elfriede Jelinek, interpretato da Maddalena Crippa. L’Italia attraversata da sguardi di chi racconta una Nazione che appare come una nave alla deriva, senza una rotta segnata sulle carte; un Paese in cui le diseguaglianze si fanno sempre più evidenti. Il profitto a scapito della salvaguardia dei diritti del lavoratore. Un progetto ambizioso che ambiva a creare un affresco composito in cui far parlare vicende umane anche dolorose. Un collage di storie in sequenza progressiva tratti dalla cronaca, a cui il teatro spesso attinge per trarne ispirazione, riuscendo a cogliere spesso le contraddizioni sociali ed economiche (vedi il Sud Italia, ad esempio), segno di politiche e investimenti i cui proventi sono fonte di ricchezza per le multinazionali, senza che vi sia una ridistribuzione equa tra la popolazione e il suo territorio.
Ed ecco, allora, che “Petrolio” scritto ed interpretato da Ulderico Pesce, uno dei monologhi più convincenti per intensità drammaturgica, insieme a “Scene dalla frontiera” tratto da “Appunti di un naufragio” (romanzo poetico quanto veritiero nella sua lucida realtà descrittiva, vincitore del Premio Mondello 2018) di Davide Enia, un piccolo capolavoro letterario edito da Sellerio. La Basilicata raccontata da Pesce, nel cui sottosuolo c’è il petrolio (è il giacimento su terra ferma più grande d’Europa) spiega come sia insorto anche un grave problema sanitario per la popolazione. I ricercatori del Cnr hanno riscontrato un tasso di mortalità per tumori superiore alla media regionale tra gli abitanti di due paesi in cui è presente lo stabilimento di lavorazione degli Oli: un documentario che spiega gli effetti nefasti dell’estrazione in questa terra: Mal d’Agri, è stato realizzato da Salvatore Laurenzana, Mimmo Nardozza e Marcella di Palo.
Ulderico Pesce riesce a far rivivere sulla scena tutta la sua sconvolgente verità, spesso tenuta nascosta e ostaggio di un ricatto subito da parte dei lavoratori intimiditi, affinché non rivelano nulla di cosa accade dentro l’azienda, pena il licenziamento. La narrazione si fa sempre più convincente per la sua capacità di suggestionare: un ritratto della Basilicata dai boschi secolari, borghi antichi arroccati sulle montagne, i campi luccicanti di grano. Paesaggi dai colori che variano in continuazione e disegnano quadri di una bellezza struggente. Una natura che l’uomo non ha saputo rispettare. Petrolio di Ulderico Pesce è la storia di un operaio che lavora come addetto alla sicurezza dei serbatoi del Centro Oli di Viggiano dove vive con la moglie e una figlia. Chi arriva in questo luogo può notare una fiamma perennemente accesa: brucia acido solfidrico nell’aria, sostanza molto pericoloso per chi la respira.
C’è, però, un altro problema che mette a rischio la salute degli abitanti: la perdita di petrolio fuoriuscito da uno dei serbatoi e infiltratosi nel terreno poteva aver raggiunto le falde acquifere della diga del Pertusillo. L’acqua di questo invaso artificiale disseta anche la vicina Puglia. L’acqua elemento indispensabile per la vita dell’essere umano potrebbe essere contaminata. Tra smentite ufficiali e analisi condotte da laboratori privati, la paura tra la popolazione aumenta in mancanza di una verità accertata. L’operaio fotografa la chiazza nera che emerge nella diga ma esita nel denunciarlo per il timore di perdere il lavoro. Una responsabilità sulla sua coscienza divisa tra dovere civile e morale e il rischio di non riuscire più a mantenere la sua famiglia in caso di licenziamento. Ed è quello che è accaduto a Giuseppe Di Bello, tenente della polizia provinciale, trasferito al Museo di Potenza come semplice custode, per aver denunciato l’inquinamento del Pertusillo accertato da analisi che lui stesso commissiona e paga di persona. Bario, metalli pesanti, tutti derivati da idrocarburi. Smentendo quelle ufficiali dell’Arpa, l’agenzia regionale prevenzione e protezione dell’ambiente. Una testimonianza, quella di Ulderico Pesce, preziosa quanto un’indagine giornalistica, affinché non si abbassi mai la guardia nei confronti dello sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, a scapito della vita umana. La perdita della vita è la protagonista anche del racconto teatrale di Davide Enia “Scene dalla frontiera”, un viaggio autobiografico e testimonianza di una delle tragedie umane più sconvolgenti della nostra contemporaneità, accompagnato dalle musiche dal vivo eseguite dal musicista Giulio Barocchieri.
Un’Odissea il cui approdo è l’isola di Lampedusa, raccontata dalle voci di un padre e di un figlio attraverso i loro dialoghi più intimi, dove le vicende affettive della loro famiglia si intersecano con la tragedia degli sbarchi, dei naufraghi e dei morti inghiottiti dal mare. Teatro e narrazione hanno sempre convissuto insieme fin dalla sua nascita, ed Enia ne offre una prova esemplare per essere riuscito a portare in teatro il dramma; attraverso le parole di un uomo che di professione salva vite umane in mare. Il suo io – narrante incrocia la testimonianza sofferta di chi è riuscito a strappare dai gorghi marini uomini, donne e bambini, ma è rimasto dolorosamente colpito nel profondo della sua anima per non essere riuscito a salvarne di più. La sua voce recitante è simile ad un eco che rimbalza dalle parole scritte del romanzo; in cui l’autore si divide tra scrittura e interpretazione, e come si legge nel retro della copertina: «per raccontare la scoperta di ciò che accade davvero in mare e in terra, il fallimento delle parole che si inabissano nel tentativo di comprendere i paradossi del presente».
Commuove l’ascolto tanto da suscitare la domanda: “ma cosa si poteva fare per evitare queste stragi?”. Una di queste viene raccontata nel suo romanzo che potremmo definire di valore civile: il naufragio del 3 ottobre 2013 avvenuto a poche miglia da Lampedusa. Sulla barca venne acceso un fuoco per segnalare la posizione e la presenza di gasolio innescò un incendio a bordo che costrinse le persone a spostarsi per non bruciare. Lo spostamento repentino causò il rovesciamento dell’imbarcazione per poi affondare in pochi minuti. «Tra ponte e sottocoperta c’erano più di cinquecento persone. I superstiti furono centocinquantacinque. I cadaveri recuperati in mare, trecentosessantotto. La tragedia del 3 ottobre segno uno spartiacque. Per la prima volta si videro, si recuperarono e si contarono moltissimi cadaveri sulle rive dell’Europa. C’era anche un feto appena espulso, ancora attaccato alla madre per il cordone ombelicale. Sull’acqua non era visibile alcun relitto eppure i cadaveri erano sparsi dappertutto.»
Non si può restare indifferenti alla narrazione di Davide Enia capace di riassumere il fallimento di un’Europa incapace di affrontare seriamente le politiche dell’immigrazione incontrollata. Sono “Appunti” scritti con la sensibilità di un cronista attento capace di andare ben oltre alla retorica a cui siamo stati abituati a leggere sui giornali. Storie di umana solidarietà, di gente isolana che accorre a offrire cibo e coperte a chi sbarca credendo di aver trovato la salvezza e non si rende conto che Lampedusa è solo la porta d’ingresso verso una vita fatta di incognite e difficoltà, spesso causa di ulteriori sofferenze. Il teatro come la scrittura di Davide Enia lascia la più totale libertà allo spettatore/lettore di appropriarsi liberamente del contenuto esplicitato sulla scena o stampato nelle pagine del libro; da cui estrarre una personale opinione di pensiero, suscitando in se stessi interrogativi che non siano filtrati da dettami ideologici nel darsi delle risposte individuali.
Ritratto di una Nazione. L’Italia al Lavoro comprendeva anche il testo “Etnorama 34074” di Marta Cuscunà che rappresentava il Friuli Venezia Giulia; “Redenzione” di Renato Gabrielli/Lombardia; “30 minuti” di Saverio La Ruina in rappresentanza della Calabria; “Pane all’acquasale” (Puglia) di Alessandro Leogrande; “Saluti da Brescello” (Emilia Romagna) di Marco Martinelli; “Festa nazionale” di Michela Murgia in rappresentanza della Sardegna; “Nort By North – East (Veneto) di Vitaliano Trevisan; “Meccanicosmo (lotte sindacali)” di Wu ming 2 e Ivan Brentari.
Con Giuseppe Battiston, Francesca Ciocchetti, Roberto Citran, Maddalena Crippa,Gigi Dall’Aglio, Michele Di Mauro, Davide Enia, Paolo Mazzarelli, Lino Musella, Filippo Nigro, Gianni Parmiani, Ulderico Pesce, Michele Placido, Arianna Scommegna, Vitaliano Trevisan, Antonio Bannò, Antonietta Bello, Giulio Barocchieri, Vincenzo D’Amato, Fonte Fantasia, Cosimo Frascella, Alessandro Minati, Paolo Minnielli, Martina Querini, Stefano Scialanga, Francesca Zerilli.
L’intensa interpretazione di Arianna Scommegna nel monologo Festa Nazionale scritto da Michela Murgia è un urlo di dolore composto come può esserlo per una donna che ha perso il marito deceduto per leucemia, e lei stessa malata ma ostinata a difendere il proprio lavoro di donna delle pulizie all’interno di una base militare della Nato in Sardegna. Il sospetto atroce che a causare il tumore sia la radioattività presente in quel luogo a causa dei test per sperimentare armi da guerra. La sofferenza causata dal lutto si accompagna alla paura di restare disoccupata. Morte e vita sono specchio della stessa condizione di chi non può scegliere per il proprio bene. Un’altra donna è quella interpretata da Francesca Mazza la cui bravura è sinonimo di una professionalità artistica gestita sempre con grande rigore: è lei a dare voce al personaggio ideato da Marta Cuscunà che descrive l’evolversi della produzione cantieristica navale con la riconversione industriale, come nel caso della Fincantieri friulana, da impresa leader nella costruzione di navi da guerra in passato e ora impegnata a varare navi da crociera per i cinesi. A Monfalcone si concentrano quasi cento etnie che compongono il personale impiegato nell’arsenale con le conseguenze del caso in tema di globalizzazione, delocalizzazione, diritti, sicurezza e dignità del lavoro.
Il problema non marginale dell’immigrazione e dell’integrazione. L’idea drammaturgica molto originale e ironica della Cuscunà che utilizza la metafora della paura per la fuga dallo zoo di una tigre del Bengala, sia in realtà, non per il pericoloso felino, ma per gli stranieri considerati degli scippatori che rubano il lavoro agli italiani. Il giudizio finale del progetto è positivo nel suo complesso, a fronte di uno sforzo maggiore per creare una visione più omogenea e organica. Dirigere le dieci drammaturgie così diverse tra loro (alcune meno riuscite) è una sfida che il regista Arcuri ha saputo gestire; trattandosi della prima parte sarà interessante vedere il completamento dell’opera con i restanti dieci quadri previsti. Di particolare efficacia la conduzione musicale del gruppo post-rock/psichedelico Mokadelic, impegnato nel collegare il susseguirsi delle azioni sceniche e le proiezioni del set virtuale di Luca Brinchi e Daniele Spanò.
Visto al Teatro Argentina di Roma il 15 settembre 2017