RUMOR(S)CENA – TEATRO STABILE DI CATANIA – Ci sono spettacoli che nella loro semplicità sembrano rivelare un mestiere antico: su tutto domina il testo, il regista adatta gesti, toni e immagini alle parole, la scenografia dev’essere realistica, riconoscibile, rassicurante. Una professione capace di produrre allestimenti anche gradevoli, leggeri, divertenti, ma che certo non va oltre se al teatro si assegna anche il compito di penetrare il senso profondo della realtà. È quanto vien fatto di pensare in margine a “Pescheria Giacalone e figli”, lo spettacolo prodotto dallo Stabile di Catania andato in scena a Castello Ursino per inaugurare la stagione estiva del Teatro pubblico etneo. Il testo e la regia sono di Rosario Lisma, in scena recitano Barbara Giordano nel ruolo di Alice, la giovane protagonista, Lucia Sardo nella parte dell’anziana madre, fragile, ossessiva e malata immaginaria. Andrea Narsi un medico neurologo, milanese, fidanzato di Alice; Luca Iacono è il fratello restato bambino e incagliato tra la gestione della pescheria di famiglia, le coccole di mamma e i resti rancidi di una sottocultura maschilista dura a morire. Un contesto provinciale e un interno familiare: da una parte un salotto piccolo borghese d’altri tempi, sempre con le tende chiuse per non far entrare la luce, dall’altra un bagno a mattonelle in cui poter evadere (ovvero leggere, studiare, sognare) dalla pesante, ossessiva cupezza di quella quotidianità vissuta dai protagonisti. Una famiglia in cui i legami d’affetto reciproci non si sono spezzati ma al contempo si sono guastati, ammalati fino a marcire dall’assoluta mancanza di coraggio nel guardare avanti con fiducia nella vita.
La madre, petulante, insopportabile malata immaginaria è Lucia Sardo, come sempre, all’altezza del ruolo, anche se indugia troppo in atteggiamenti macchiettistici capaci di colorare il suo personaggio ma senza per questo aggiungere senso. Tormenta la figlia con un’assillante richiesta di presenza e di cura che non dà scampo alla ragazza, la quale invece, idealista, blogger e vero talento nella scrittura, sogna di andarsene, di fuggire da quella claustrofobica galera e, al contempo, sente tutta la responsabilità di aiutare madre e fratello e di tenere in piedi, comunque sia, quella famiglia. Alice sceglie di “restare”, di resistere e di lottare in quella città e in quella casa, decide di non fuggire anche di fronte a un’occasione lavorativa che potrebbe rivoluzionare la sua vita e realizzare i suoi sogni di giornalista e scrittrice. Barbara Giordano interpreta con bella e costante energia il suo personaggio, dandogli autentica complessità, portandone alla luce fragilità e punti di forza, coraggio di fondo e debolezze, paure e sdegno finale. Sarà infatti la scoperta, casuale e molto dolorosa, di un’azione sleale condotta segretamente contro di lei da tutta la sua famiglia (fidanzato compreso), a sbloccare la situazione e a darle la determinazione necessaria per liberarsi di quel marciume e andar via.
Nel dispiegarsi del dramma i tantissimi motivi, interrogativi e allusioni che si susseguono: la malattia, la disperante solitudine dei talentuosi di provincia, la grettezza di certa cultura popolare. Il rapporto tra nord e sud del nostro paese, i luoghi comuni che condizionano questo rapporto, la necessità e i rischi dei doveri d’amore e di quelli familiari, la dialettica tra fuga e resistenza, non rafforzano la fragilità del suo nodo drammaturgico fondamentale, ovvero il tradimento familiare del sogno di una giovane donna di una vita libera e positiva. Nodo che non riesce a diventare metafora forte e che, restando troppo in fine spettacolo, non riesce nemmeno ad assumere alcuna valenza simbolica in grado di innervare l’intero allestimento. Lo spettacolo dunque, tolta la notevole prova d’attrice di Barbara Giordano, sembra spesso girare a vuoto e, se pur resta gradevole e di onesta fattura, appare sostanzialmente poco convincente.
Visto a Castello Ursino (Catania) il 15 giugno 2019