Recensioni — 02/09/2021 at 12:48

Un Ulisse corale: L’Odissea di Stefano Tè, un viaggio consapevole e strutturato per la «canascenza»

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RUMOR(S)CENA – MODENA – I giorni prima di un viaggio si assaporano sempre in maniera diversa, in funzione dell’attesa di un mistero, quello del viaggio stesso, appunto, che porta sempre a un cambiamento. Si parte senza sapere dove dovere andare. Si sale nell’ignoto del mistero, del dubbio, dell’incertezza. Ed è il cambiamento che ossessiona, come canti di sirene, l’uomo di fronte alla tentazione di prendere la scelta di un bivio. Ed è il non palpabile che può accecare la vista prima di osservare meglio toccando con mano. La trasformazione avviene nel tragitto, nel percorso, nella sensazione mutevole a ogni passo: la pelle di prima si irrigidisce, cade, e improvvisamente ci troviamo scoperti pronti ad assorbire il nostro corpo, empatia permettendo, di qualsiasi clima atmosferico, tradizione a noi ignota, canti appena affacciatisi alle orecchie.

crediti di Chiara Ferrin

L’uomo è già nuovo, ogni giorno che passa. Ne è a conoscenza o meno, questo è il ruolo della consapevolezza, come la è stata quella di Ulisse, Nessuno, di tutti. Cosa leghi l’ignoto alla curiosità dell’essere umano di scavare, scavare sempre di più senza sapere dove andrà, senza sapere cosa farà è come tradurre la domanda a quale sia il ruolo del Teatro, soprattutto di questo Teatro claudicante, sofferente ancora di più in un percorso vacillante che ha scoperto buche a terra e che risulta pieno di salite ripide, insidiose, fastidiose. La risposta può essere anche una: l’ignoto stesso, appunto, la curiosità, il coraggio di perdersi nel dolore e nello specchio di sé stessi, di passati che si manifestano sotto spoglie di tentazioni e di provare a trovare una risposta nel coro, almeno così dovrebbe essere.

Vittorio Continelli crediti foto Chiara Ferrin

Ed è nel coro che si manifesta Odissea, come una vera e propria epifania, l’ultimo lavoro di Stefano Tè, regista e direttore artistico de “Il Teatro dei Venti”. Ulisse, il viaggiatore per eccellenza scelto e disegnato in epoca greca, l’eroe umano per antonomasia, il debole e forte, il marito e il padre, il sognatore e il concreto. Il fedele, prima di tutto, al sentimento nei confronti dei compagni, del talamo nuziale, della famiglia patriarcale. L’uomo per eccellenza immerso nel più alto dei mari, primo fra tutti quello dell’« ardore chi ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore»1 e convincendo i suoi compagni nella più grande impresa perché «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canascenza»2.

È anche l’uomo sopravvissuto al dolore toccato, sfiorato da molteplici tentazioni, colui che galleggia ancora, nonostante tutto. È l’uomo del nuovo secolo che si affaccia dentro stanze chiuse, che sanno di muffa, di marcio, di dolore, di penitenza, quello di Stefano Tè, perché alberga nelle carceri di Castelfranco Emilia e di Modena. Lo spettatore viene spogliato da ogni bene superficiale (ossimòrico, dunque chiamarlo “bene” se superficiale appare). È svestito da distrazioni, da suoni, da sirene, da una identità. Deve camminare a testa alta per continuare, sempre a testa alta, un percorso dentro un bus, Vittorio Continelli, dramaturg insieme al regista dello spettacolo, accoglie i partecipanti e invita a indossare cuffie: la sua voce narrante è come quella di un Virgilio che accompagna i vari Dante o Dostoevskij dentro i demoni più oscuri, dentro le stanze non soltanto fisiche ma di ciascuno.

Odissea crediti foto Chiara Ferrin

Varie le tappe di entrambe le ale penitenziare sopracitate. Gli occhi sono costretti alla visione, i sensi interi tutti vengono esercitati. A Castelfranco paradossalmente la tranquillità dettata dal parco verde pieno di animali e serre e da stanze spaziose fanno sì che la concentrazione del fruitore sia amplia e focalizzata su Polifemo prima che divora in un angolo gli uomini e si macchia la canottiera bianca con del sangue/vino; Eolo, poi vorticoso in una danza pop, e infine l’indovino Tiresia perfetto nell’ombra con voce diaframmatica e composta in un gioco di luci e ombre psichedeliche. Tutto lo spazio sembra costruito per questi attori detenuti: capaci di saper raccontare ciascuno il proprio personaggio, capace di riempire, dare tempo e narrazione giusta alla storia che hanno imparato fuori da un copione ma che a quello stesso risponde.

Odissea crediti foto Chiara Ferrin

Per quanto lo spettatore assista a uno spettacolo si sente partecipe, inserito necessariamente dentro: come poc’anzi accennato tutti i sensi vengono risvegliati perché qualsiasi attore scorre vicino al fruitore, Ulisse, soprattutto, coperto dal cappuccio nero di una felpa. “Nessuno” che ci conduce di stanza in stanza insieme al narratore. La sopravvivenza è nelle relazioni qualitativamente significative, si dice. Si percepisce esattamente qui, all’inizio di questo percorso di fronte a uomini che sanno raccontare con fare duro, studiato, voluto e strappato da Stefano Tè. Sono stanchi di continuare a mascherarsi nonostante il trucco, nonostante il fango, nonostante i nonostante. Sono stanchi di pagare le ore della loro vita nella stanze che vedono soltanto luce filtrata. Sono uomini che necessitano di comunicare. E riescono tramite l’uomo viaggiatore per eccellenza.

Alice Bachi crediti Chiara Ferrin

Lo stacco e poi di nuovo sul pullman. Di nuovo “nuovi”. Un altro viaggio, forse il più duro, ed è già percepibile dalla vista di quella che è la struttura penitenziaria di Modena. «La struttura, realizzata nel 1984, è stata inaugurata nel 1991 – Dal febbraio 2013 è stato aperto un nuovo plesso per la detenzione di soggetti condannati in via definitiva.»3 “In via definitiva” , nel mare che leviga gli animi, un mare nero come l’abisso. Un mare putrido che porta a galla «canascenza» e consapevolezza oltre a visioni di un passato necessario da vedere per andare avanti. A volte i marinai solcano il mare, con lo spirito di attraversare ciò che rappresenta l’impossibilità di ritrovare i propri morti; perché il mare può nascondere proprio perché è fine di ogni identificazione, di ogni visibilità.

Odissea crediti foto Chiara Ferrin

E qui, in un’unica ala buia, si assiste a quel mare di dolore che uomini personificano nel tentativo di avvicinarsi alla carcassa già insanguinata delle sacre vacche: la guerra dei feaci, le grida di dolore, un muro d’acqua dietro di loro, di fronte a noi ci ricorda che il peggiore dei mari “fu quello che abbiamo attraversato”, l’acqua che scorre, i dolori attraversati che hanno cercato di impedire, di far inciampare. Ma è anche acqua che purifica, che riporta, poi, alla tradizione, al legame di un padre prima, di una moglie, infine. Ed è Penelope stessa, interpretata da Alice Bachi, che ci riporta indietro, a casa, nella sua casa dove di giorno tesseva la tela nell’attesa del marito e di notte la disfaceva.

Odissea crediti foto di Chiara Ferrin

E così per vent’anni, per un unico amorevole inganno. Si entra in un salotto borghese, il ricongiungimento tra i due, il dialogo varato sulle gelosie reciproche, la fiducia mancata, i presunti tradimenti. Un intreccio di battute, tra dialoghi di una coppia corrosa dall’attesa ma nuova nel tempo. Dopo tre ore di spettacolo lo spettatore, una volta ripreso in mano la propria identità dimostrata da un documento e altri effetti personali, riapre gli occhi al mondo come se avesse tolto gli occhiali da sole, utilizzati per proteggersi da raggi molto forti ma necessari per guardare meglio un passato di ciascuno prima, corale poi e capire come allenare l’occhio alla vista del presente e del futuro dopo.

Odissea crediti foto Chiara Ferrin

1 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, con pagine critiche a cura di Umberto Bosco e Giovanni Reggio, le Monnier, canto XXVI pg.388

2 Ivi

3 Fonte da https://www.giustizia.it/giustizia/it/dettaglio_scheda.page?s=MII178638

Visto al Teatro dei Venti di Modena, Casa Circondariale S. Anna di Modena, Casa di reclusione di Castelfranco Emilia il 27 luglio 2021

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