Teatro, Teatrorecensione — 02/10/2012 at 09:16

Dal mito di Medea alla vita solitaria di Serge, il teatro di B.Motion vuole raccontare la vita del passato e del presente

di
Share

Dal mito greco di Medea all’indecenza del dolore che affligge l’uomo, seguita dalla lotta per l’emancipazione femminile nel 1500, fino alla rappresentazione teatrale che parla di salute e malattia mentale come opportunità espressiva e autoironica di raccontare la propria esperienza di vita. C’è poi la vita di un uomo che sembra vivere nel suo mondo delle “favole” moderne rinchiuso in una stanza. Il Teatro di B.Motion (Opera Estate di Bassano del Grappa) offre uno sguardo sul mondo di oggi senza dimenticare che c’è un passato alle nostre spalle a cui siamo debitori come il mito universale di Medea che assume un’identità contemporanea nell’ergersi a osservatore dei malesseri che affiggono l’uomo. Patricia Zanco e la sua compagnia Fatebenesorelle teatro l’ha pensata come una donna che rivela aspetti di una personalità complessa, istrionica, indomabile e rabbiosa. Una rabbia che viene da lontano e mai sopita. Medea è la rappresentazione di un’umanità che rivela i suoi lati più oscuri la cui sopravvivenza dipende anche da chi è più forte. Non è una versione classica quella scelta dall’attrice attenta sempre a proporre tematiche che permettano la riflessione su quelle che sono le contraddizioni presenti nella nostra società.

Fa vivere una donna straniera in una terra che non l’accetta, diversa perché parla un idioma quasi incomprensibile che la rende ancor più estranea. La parola intesa come declamazione di versi in prosa diventa un suono misterioso, a tratti una litania, un susseguirsi di echi che rimbalzano. La scelta ricade sul dialetto lombardo antico che se da una parte suggestiona per la sua potenza espressiva dall’altra affatica la comprensione stessa del significato. L’attrice opta poi per un intercalare in alcuni passaggi dell’azione riutilizzando la lingua italiana. Questo fa sì che venga meno quell’aurea che si viene a creare intorno al suo personaggio quasi fosse un’entità arrivata da un altro mondo, quell’essere a noi sconosciuto e per questo ancor più temuto. La diversità è qualcosa che non si riesce ad accettare in una società omologata e appiattita dai pregiudizi, dall’intolleranza, dal rifiuto di una convivenza multirazziale dove l’integrazione di altre culture è un valore raggiunto. Medea è sì vendicativa ma è anche capace di denunciare la malvagità consentita da un potere corrotto. Lei stessa non si sottrae alle sue responsabilità e non nasconde nulla ma è l’unica voce che si erge dal profondo nel gridare quanto sia in disfacimento il valore stesso della vita. Patricia Zanco dimostra tutta la sua bravura e carismatica presenza scenica, là dove la regia (Zanco/Mattiuzzi) sembra creare dei momenti di staticità quando appare in scena per lunghi momenti in posizione ferma. Una maggiore dinamicità gioverebbe all’azione stessa che ha dei momenti di grande respiro ed enfasi come il lancio in aria delle ceneri delle ossa umane. Da segnalare il contributo fondamentale della musica composte da Michele Braga ed Enrico Fiocco, capaci di sottolineare gli aspetti lugubri e macabri, funerei di un mondo che si sta dissolvendo per l’annientamento causato dall’uomo.

La parola è ancora al centro dell’azione drammaturgica di Sembra ma non soffro dei Quotidiana. com, secondo episodio della Trilogia dell’inesistente. La parola usata come un bisturi che incide nella carne e svela l’ipocrisia imperante della parola liturgica ad esempio. La preghiera come anestetico per non riconoscere nessuna emozione che possa far provare sentimenti di dolore che il conforto della fede non potrebbe lenire.  Tutto avviene senza tradire mai una partecipazione emotiva. L’apatia rivela una totale assenza di coinvolgimento. Gli scambi di una dialettica a due è volutamente asettica, priva di reazioni che possano scaturire dal significato semantico della parola detta. L’ironia è il sale che esalta la prova dei due protagonisti inginocchiati su panche bianche da chiesa, assorti un un dialogo che si estranea dalla realtà per finire dentro una bolla sospesa in cui Roberto Scappin e Paola Vannoni galleggiano scardinando con il loro raffinato sarcasmo ogni convenzione dove se non soffri non hai accesso alla fede. Non c’è retorica facile ma nel loro sottile cinismo viene a galla quanto sia disumanizzante vivere una condizione di colpa e pena permanente. Vivere peer soffrire o soffrire per vivere?

La semplicità ingannata di Marta Cuscunà, presentata in prima nazionale a Bassano, si avvale dell’ironia giocata su diversi registri. Nell’idea della Cuscunà, la chiave di lettura per raccontare una storia di emancipazione di suore nel 1500 è quella di una narrazione dal sapore favolistico (ma tra le sue pieghe si cela una lucida e sapiente critica alla gestione della fede da parte della Chiesa stessa). La sua è una recitazione che ha il sapore di un teatro dove c’è ancora spazio per l’immaginazione, l’estro e la fantasia. Alterna momenti drammatici ad altri comici, sempre dosati con parsimonia, abile com’è nel dare spazio alla narrazione dove è la prosa che racconta e poi a piccoli cammei di puro divertimento in cui sfoggia abilità di artista che utilizza il teatro di figura, con l’ausilio dei pupazzi esilaranti suore alle quali Marta Cuscunà da ad ognuna una voce. Il risultato è di puro godimento. Ma non è teatro leggero il suo, tanto meno farsesco, bensì una disamina che svela cosa accadeva nella società del Cinquecento (ispirandosi alla letteratura di Arcangelo Tarabotti), dove le figlie de nobili dovevano sposarsi con uomini facoltosi al fine di arricchire il patrimonio del proprio genitore. Se disgraziatamente una giovane non era all’altezza di un matrimonio combinato, il suo destino era quello di prendere i voti e finire in convento. Sarà il destino di Angela nata zoppa, ultima di sei figlie. Ma se la natura l’ha resa disabile nel corpo, la sua intelligenza le permette di dimostrare un coraggio inusitato per quei tempi. Insieme altre sue consorelle si ribella alla vita di clausura di un convento di Udine, dimostrando come sia possibile ragionare con la propria testa e rivendicando la propria condizione femminile nei confronti del potere maschile e della Chiesa. Una vera e propria Resistenza che la Santa Inquisizione cercherà di soffocare intentando loro svariati processi per eresia. Inutilmente.

Fagarazzi & Zuffellato e il Centro Arcobaleno di Arzignano (Vicenza) hanno realizzato un progetto di drammatizzazione teatrale che esce dai confini tradizionali del teatro. “Kitchen of the future” è un progetto che accosta l’esperienza condotta con pazienti/attori (ma le categorie non sono determinanti, quanto la partecipazione individuale e soggettiva al progetto voluto dal Centro di riabilitazione psicosociale. Se il filo conduttore segue la narrazione anche autobiografica dei protagonisti, l’elemento portante è una visionarietà giocata su toni surreali. Esistenze segnate dalla sofferenza e dalla condizione di persone affette da patologie psichiche rivivono sulla scena con una leggerezza e soavità grazie al percorso dei due performer registi. Un lavoro di costruzione di citazioni autobiografiche arricchite da inserti dove viene ricordata l’esperienza fondamentale di Basaglia nell’aprire le porte al mondo dei manicomi. Simboli come il coccodrillo gonfiabile che diventa un materassino da mare che viene calato dall’alto mediante catene d’acciaio, creano l’effetto di una fiaba che vuole raccontare la realtà. Una benefica esperienza per queste persone grazie al palcoscenico hanno potuto sperimentare una forma di comunicazione espressiva/teatrale anche catartica e sicuramente efficace per dimostrare al pubblico che parlare di salute mentale e disagio psichico non è argomento riservato esclusivamente alla medicina.

Lo straniamento surreale diventa la cifra artistica scelta da Philippe Quesne nel suo “L´effet de Serge” dove ci si immerge in un mondo metafisico quasi da film come Il favoloso mondo di Amelie. Sembra non accadere nulla nella vita interiore ed esteriore di quest’uomo chiuso dentro la sua stanza , Solitario e impassibile cerca di spezzare la monotonia del tempo che non passa mai con azioni che rasentano la banalità dell’agire quotidiano. Accende la televisione, mangia, gioca con un’automobilina telecomandata. Invita gli amici ad assistere alle sue minimaliste rappresentazioni ludiche dove gli effetti speciali sono dettati dalla volontà di stupire senza bisogno di artifici. Il divertimento di stare insieme per osservare come la vita possa essere goduta senza ricercare emozioni suscitate dagli eccessi. Alcuni sono solo comparse scelte sul luogo della rappresentazione e questo amplifica maggiormente la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di estemporaneo, di non strutturato drammaturgicamente. Ognuno può entrare in quella stanza e rivivere le proprie personali esperienze esistenziali. Non è poi così lontana la realtà di Serge dalla nostra.

 

 

 

 

B.Motion Festival Opera Estate di Bassano del Grappa, visto dal 29 agosto al 1 settembre 2012

Share

Comments are closed.