RENDE (Cosenza) – Una platea infoltita di studenti ha assistito a Le sedie della compagnia Officina Teatrale in scena al Piccolo Teatro Unical di Arcavacata di Rende, nel cuore dell’ateneo calabrese. Un teatro ricco di giovani sguardi e comprensioni è una speranza. Sul palcoscenico, riaccese le luci di sala, ciò che rimane: un pasticcio di sedie che potrebbero trovarsi in una galleria di arte contemporanea, sovrastate dall’imponente scenografia praticabile funzionale all’ambiente e al segno (traccia topica dei lavori della compagnia). Delle vere e proprie installazioni concepite dal regista, Giovanni Carpanzano, e gli allievi del laboratorio da cui lo spettacolo ha preso vita, co-prodotto con l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Opere visive in cui l’elemento caratteristico viene contrassegnato per assenza: la non fisicità del soggetto rappresentato da elementi, da cenni. L’assurdità della vita, l’attesa di qualcosa di cui non si conosce la consistenza, i dialoghi serrati e conditi di nonsense utilizzati a riempitivo, l’estetismo in risalto quale metafora di eccessiva dignità all’effimero, tracce care alla corrente dell’assurdo ricucite con fedeltà da Carpanzano in una composizione sequenziale a scorrimento andante, con qualche empasse nella primissima parte che serve da carburatore per l’escalation di climax esploso nel finale.
Personaggi di cui s’immaginano fattezze e perversioni, ben definite dalla singolarità delle sedute. L’oggetto che indica del soggetto. Un abile congegno per mostrare senza far vedere, per favorire l’imago, la visualizzazione per rimando, il lavoro creativo di chi osserva. Maestro nell’intercedere con lo spettatore Ionesco, a suo tempo, precorreva il destinare un ruolo altro al pubblico che sarebbe diventato punto focale di riflessione teorica e pratica del teatro contemporaneo.
Sedie che danno agio agli invitati di un incontro pubblico, in una casa presumibilmente alto borghese, in cui si tiene un convegno scientifico. Una folla invisibile in un interno. La società, invisibile. Pretesto allora, drammaturgico, per dire di realtà e individui, togliendosi qualche sassolino, cogliendo l’occasione del teatro per dire ciò che non si direbbe impedito dalle formalità dell’agire pubblico. In questo sta la trasposizione moderna di Carpanzano: ricamare a livello testuale (oltre che estetico) per consegnare tracce riconoscibili nell’oggi (e dell’oggi), considerando la valenza già di per sé contemporanea dell’opera pura, originale. L’impatto e l’utilizzo scenografico imponente incorniciano l’opera in uno scenario tridimensionale a ricalcare l’alchimia teatrale omaggiandola delle dovute sfumature di luce, scenotecnica, macchine teatrali; delle giuste tinte tecnico-artigianali come una passata di smalto su del materiale corroso dal tempo.
Se il teatro non è servizio sociale, è inutile, fesso, sosteneva Eduardo De Filippo. Lo strumento della mistificazione, allora, per celare verità che nella finzione della rappresentazione trovano modo d’essere, di incarnarsi. O di vivificarsi attraverso la metafora dell’opera d’arte, in questo caso visiva oltre che teatrale. Letteratura, scultura, performance visuale, plasmate sotto la graticcia, sulle tavole del palcoscenico. Efficace l’utilizzo del disegno luci a ricreare humours, contesto; buona la prova delle attrici: corpo, voce e intenzione (roba rara l’intenzione…) alle cifre attoriali preferite dal regista di cui la firma viene sottolineata nell’opera ma mai si sovrappone alla funzionalità del servizio al pubblico, alla sacralità dell’autore, all’esercizio d’attore e scene. Finale esplosivo.
Le sedie
di Eugene Ionesco
Regia: Giovanni Carpanzano
Con Anna Broccardo Francesca Cartaginese, Francesco Miniaci
Aiuto regia: Maddalena Ascione
Scenografie: Prof. Giovanni Raja da un’idea dell’allievo Marco Ronda
Light Designer: Michele Seminara
Costumi: Emilio Valente
Sarta: Vera Ginevra
Produzione RE-ACT Residenza Teatrale di Soverato – Officina Teatrale & Accademia di Belle Arti di Catanzaro
Visto al Piccolo Teatro Unical il 14.10.’14 – Arcavata di Rende (CS)