RUMOR(S)CENA – È possibile avventurarsi fuori di sé per ri-scoprire la vera scoperta di un modo di essere più libero e sincero con se stesso? “La vita fuori di sé. Una filosofia dell’avventura” (Marsilio NODI), è l’ultima opera letteraria dello scrittore e filosofo Pietro Del Soldà, capace di addentrarsi nel misterioso universo esistenziale che risponde al nome di Io. Il controllore di tutte le nostre attività psichiche a cui è affidato il compito di mediare la nostra consapevolezza e quella della realtà. Esiste un problema nell’essere umano che lo porta a sentirsi privato della «mancanza di un altrove fisico mentale che però immaginiamo come il luogo dove dovremmo stare. Non si tratta del desiderio di un lungo viaggio all’altro capo del mondo, ma di una mancanza strutturale che ci determina e che produce un disagio strisciante e diffuso».
E tra le cause che lo creano – scrive Pietro Del Soldà -, c’è la «Tirannia dell’io che ci rende individualisti, narcisisti, competitivi e concentrati su un tornaconto personale che ha poco a che fare con le nostre aspirazioni più profonde; attribuiamo un’importanza eccessiva alle aspettative che gli altri nutrono nei nostri confronti: ossessionati dalla valutazione delle nostre performance in ogni ambito, finiamo per essere assai conformisti, e parafrasando Emmanuel Carrère, per vivere una vita che non è la nostra». Paragonata ad una «scenografia» come se fosse un artificio su cui si basano molte delle nostre convinzioni fasulle e abitudini che poi risultano «cattive maestre» e a cui difficilmente rinunciamo; per restare in qualche modo ostaggio del nostro vivere sempre teso a soddisfare più le nostre aspettative professionali e private.
Un «monotono agire quotidiano ci induce a rimuovere l’altrove dall’immaginario, a ingabbiare l’extra-ordinario nell’ordinario, a ripiegarci sul presente e a restare chiusi dentro un guscio individuale molto robusto….». Quali possono essere allora le strategie per uscire da questa gabbia che noi stessi ci siamo costruiti? e che «restringe i nostri orizzonti e sopprime sul nascere il desiderio dell’altrove». Pietro Del Soldà autore e conduttore a Rai Radio3 di “Tutta la città ne parla”, un programma che approfondisce ogni giorno un tema d’attualità posto da un ascoltatore durante Prima Pagina. In questi giorni trasmette in diretta dal festival dell’Economia di Torino . Insegna al corso di laurea in Editoria e Scrittura dell’Università Sapienza di Roma, oltre ad aver pubblicato saggi sul pensiero antico e, nel 2007, Il demone della politica. Rileggendo Platone: dialogo, felicità, giustizia, Non solo di cose d’amore. Noi, Socrate e la ricerca della felicità, Sulle ali degli amici, Una filosofia dell’ incontro. Lo abbiamo ascoltato alla libreria Feltrinelli di via delle Quattro Spade di Verona, con la moderazione di Nicola Rocchi del Giornale di Brescia, che ha saputo interagire con l’autore in una conversazione ricca di stimoli e delineando da subito l’obiettivo su cui riflettere: «per predisporci all’avventura bisogna conoscere gli ostacoli che ci impediscono di raggiungerla».
Citando Alexander von Humboldt, eclettico scienziato naturalista di inizio secolo dell’Ottocento, la cui vita è stata dedicata ai viaggi, alla ricerca di specie di fauna e flora sconosciute, esploratore di terre lontane, ecologista antesignano, vero avventuroso: «un Ulisse più dantesco che omerico», spiega Pietro Del Soldà dell’idea che «l’esperienza è quella che possiamo fare anche senza uscire da un confine protettivo a cui apparteniamo», ma bisogna tenere conto di «tre mali del nostro tempo (il libro si apre con il capitolo “La mancanza dell’altrove. Tre problemi del nostro tempo. Schiacciati sul presente. L’Io tiranno. La trappola delle aspettative”, ndr), uno è rappresentato dalla tirannia dell’Io. L’impressione è quella che la condizione di oggi sia quella di un’esaltazione dell’identità personale profondamente narcisista, ci coinvolge sempre meno l’esterno che sembra minaccioso. Dove sta l’errore di questo comportamento che ci porta ad avere un’immagine sbagliata di noi stessi. Perdiamo il contatto di una parte di noi stessi, divergiamo dal nostro Io rimuovendo, sopprimendo desideri».
Il perché accade lo riconduce alla «Trappola delle aspettative. L’Io conformista pensa di essere libero, sovrano e ossessionato dalle aspettative degli altri rispetto al nostro comportamento. Tutto quello che facciamo deve essere approvato, giudicato, non solo online ma anche in modalità offline. Diventiamo schiavi della performance. In famiglia, a scuola, al lavoro. Noi stessi alimentiamo queste aspettative come se ci fosse una giuria interiore che ci controlla. Un tribunale permanente. Adattiamo questo sguardo valutativo ad un’ossessione a breve termine, cercando un tornaconto immediato su tutto quello che facciamo e dimentichiamo quello che viene dal nostro passato». Un passaggio fondamentale del suo intervento che ha subito conquistato l’attenzione del pubblico e che indica la complessità dell’agire umano, il nodo focale su cui riflettere. Pietro Del Soldà offre ai presenti la conoscenza di storie affascinanti e drammatiche che narrano dell’antica città greca di Eretria (importante centro di produzione commerciale fin dall’VIII secolo a.C., ndr). «Gli abitanti commisero un errore grave scegliendo di non uscire e difendersi dal nemico persiano che voleva conquistare la città, rimanendo chiusi dentro per attendere l’inevitabile assedio. Facendo così fu inevitabile la guerra civile, lacerata al loro interno dove la mancata unione scatenerà una deflagrazione che risulterà la vera causa della sconfitta subita. Al contrario di Atene che reagì e andò incontro al nemico persiano, difendendo la propria libertà che sta a dimostrare quanto sia più vera la quella delle persone e non della città in quanto tale. Sono storie antiche che ci parlano ancora oggi con messaggi molto potenti. Parlano di limiti e di confini. La libertà è apertura a tante voci , andare oltre la frontiera ma non cercare sempre l’altro, l’illimitato il vertiginoso». Quella libertà tanto cara ai greci e il loro coraggio di uscire per affrontare a viso aperto l’esercito nemico, viene chiamato dall’autore «andare fuori di sé». Al contrario se la scelta fosse quella di restare «dentro le mura (della città o dell’anima), la libertà fatalmente si disperde, non tanto perché l’invasore, meglio armato, alla fine riuscirà a entrare, ma perché la chiusura all’esterno è un errore in quanto tale: essa porta con sé il peggiore dei mali per i greci, che non è la sconfitta sul campo bensì la statis, cioè la guerra civile, il dissidio interiore che ciascuno deve temere come la massima felicità….». Fondamentale insegnamento che spiega bene l’azione stessa dell’essere umano quando si rinchiude in sé stesso e si priva della cosa più importante che possiede: la libertà.
Così come è importante comprendere i limiti dettati dall’avventura che «dispone a un atteggiamento contrario ad ogni spinta predatoria di saccheggio della natura, e nel contempo, ci toglie dalla testa l’idea di dominare gli altri, di sottometterli ai nostri desideri, o più banalmente, di usarli in modo strumentale. In questo senso è un antidoto all’egoismo. all’ansia da controllo, alla distruzione dell’ambiente, alla riduzione degli altri da fini a mezzi del nostro agire. Vi è un’etica dell’avventura, se pur immediata e non sempre consapevole….». Etica, libertà e conformismo sono parole che hanno un’importanza significativa e riconducono come linee convergenti al tema portante di tutto il saggio. «L’avventura è il principale antidoto al conformismo e al dominio dell’Io: viverne una nuova o ricordare una passata ci proietta oltre la rete soffocante delle aspettative. Il giudizio altrui, all’improvviso, non conta più così tanto».
E prosegue specificando quanto possa sembrare «paradossale fare ricorso alla parola “avventura” per descrivere anche ricordi del passato. Ad-aventura sta a indicare le cose che verranno: è il futuro che ancora non c’è e che ci attende oltre la soglia del già noto. Un futuro al quale, nella migliore delle ipotesi, ci possiamo preparare basandoci sull’esperienza accumulata». A pensarci bene è così e nulla vieta di ripensare a quanto ci è accaduto in passato, andando a ri-vivere o ri-scoprire emozioni nel nostro presente, ma con una differente aspettativa molto più pregnante di significato. «Le avventure che ci troviamo a vivere, in altri termini, se sono veramente tali e non si riducono a meri divertissement o disgrazia o un evento inatteso, ma riservano qualcosa di più: ci indicano chi siamo davvero». Non è quello che accade nel nostro presente nel mistificare una nostra identità che non corrisponde a quello che veramente siamo? Con le aspettative che ci continuiamo a imporci accade quello che Pietro Del Soldà chiama una «recita a soggetto» «e che guadagnarsi il plauso di un pubblico onnipresente (visibile o invisibile) sia ciò che conta davvero.
I social network non hanno inventato niente, hanno solo enfatizzato una tendenza che era già in atto ben prima dell’arrivo di Internet, assorbendo una parte significativa della nostra vita di relazione disperdendone ogni spessore…». Un Io distonico che agiva anche quando non eravamo così ossessivamente presenti sui social. Il problema rilevato dall’analisi filosofica che fa l’autore nel suo libro, in cui alterna la trattazione dell’argomento contestualizzando le varie problematiche, a testimonianze di vite vissute nell’avventura, viene puntualizzato più volte come afferente al conformismo, vero male del nostro vivere quotidiano. «Un Io performativo, conformista e dominatore, », così viene definito, ma il rimedio esiste e può essere facilmente praticabile se le avventure vanno vissute come qualcosa che incrini le nostre abitudini senza per questo provare il senso della perdita, come rassicura l’autore. La lettura de “La vita fuori di sé. Una filosofia dell’avventura” offre la possibilità di addentrarsi in una narrazione ricca di spunti critici ma allo stesso tempo offre al lettore la possibilità di scoprire o meglio ri-scoprire vite avventurose connotate dal coraggio di scardinare stereotipi come quello che coniuga l’avventura quasi esclusivamente al genere maschile. Il capitolo La donna che amò il deserto. In viaggio con Isabelle Eberhardt. La più coraggiosa di tutte le azioni. Parla di «… viaggiatori più eroici, i personaggi da romanzo più intrepidi e i romantici vagabondi d’ogni epoca che hanno preso il largo dalla vita ordinaria per assaporare la libertà e la bellezza del mondo, solo di rado si sono liberati del tutto e hanno provato ad abbattere l’ultimo baluardo della società più conservatrice, quella che sembra non crollare mai: il diffuso pregiudizio patriarcale che destina l’uomo a un livello più alto di esposizione all’imprevedibile, mentre riserva alla donna un orizzonte più domestico, non il mare aperto».
Il mare ricorre spesso nel pensiero di Pietro Del Soldà: ci attira e induce a esplorarlo ma resta sempre misterioso e segreto, lo amiamo e lo temiamo sapendo che è una forza della natura incontrollabile e imprevedibile. Eppure l’uomo da sempre lo ha sfidato solcando le sue onde dove la rotta è tracciata dal desiderio di esplorare mondi sconosciuti. La lettura di questo libro rievoca ricordi di avventure marine come quella vissuta nel mare Egeo alla scoperta di un’isola delle Cicladi minori: Folegandros chiamata dagli antichi greci, isola del pensiero o della mente, dove per una strana combinazione alchemica è possibile sperimentare su se stessi la libertà che Isabelle Eberhardt testimoniò in uno dei suoi scritti che avvalorano la «filosofia dell’avventura». «Un diritto che pochi intellettuali si curano di rivendicare è quello di andare errando, il diritto al vagabondaggio. Eppure il vagabondaggio è l’affrancamento, la vita lungo le strade è la libertà. (…) Per chi conosce il valore, e il sapore delizioso della solitaria libertà (perché si è liberi soltanto quando si è soli), andarsene è l’atto più coraggioso e più bello». Sta in queste poche parole così esaustive il segreto di vivere un’avventura. La solitudine intesa come ricerca di senso e di ascolto interiore, emozionale, intimistico. Al giorno d’oggi un privilegio di pochi vista la maniacale ossessione di apparire e ricercare il consenso altrui.
La vita fuori di sé è un’occasione preziosa di riscattare una parte di noi, dove le parole d’ordine sono «intensità, abbandono, possibilità», applicabili senza indugio e senza paura perché l’avventura è sinonimo di libertà e il consiglio che da Pietro Del Soldà è quello di come «uscire dalla comfort zone» e andare «verso il mare aperto». Con questo libro a bordo naturalmente.