Teatro, Teatrorecensione — 03/09/2011 at 17:52

The End: quando la morte non deve far paura.

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“Finché morte non vi separi”, recita il sacerdote officiante dall’altare, mentre unisce in matrimonio gli sposi. Un contratto che non lascia scampo. La morte questa sconosciuta o negata. The End dei Babilonia visto al B.Motion di Bassano del Grappa, parla di morte in tutte le sue accezioni: morali, etiche, religiose, sociali, culturali.

“Oggi la morte non esiste. Non se ne parla. Non la si affronta, né la si nomina. È un tabù. La morte viene occultata, nascosta. La consideriamo come qualcosa che non fa parte della vita”, si legge nella presentazione del lavoro dei Babilonia. Valeria Raimondi ed Enrico Castellani della morte ne parlano eccome. Con coraggio, con il loro consueto linguaggio tagliente, dissacrante, ironico. Crudele nella sua integrale verità. Lo dice Valeria, sola in scena per quasi tutto il tempo, (una semplice apparizione di Enrico Castellani, Ilaria Dalle Donne, Luca Scotton), vestita di paillettes argentate e luccicanti, stridenti nel loro abbagliare una scena scarna, composta da un frigo dove usciranno, a tempo debito, una testa d’asino e di un bue (di natalizia memoria), un crocefisso gigante alzato verticalmente in tutta la sua dolorosa imponenza. E, solo alla fine, una stella cometa per indicare che c’è ancora una speranza da percorrere. Una via del buon senso, dell’amore per il prossimo, del rispetto (vero) e non retorico per chi affronta la morte, e non vuole essere compatito da pietismi artificiali.

La voce di Valeria ti arriva a ondate continue come punte acuminate infilzate nella carne e ti inchioda sulla sedia da cui non è possibile svicolare: “Voglio il mio boia, voglio affittarlo, prenotarlo, comprarlo ora, voglio che viaggi con me sempre…. sono il tuo boia…non voglio una morte lenta, voglio un colpo di pistola, uno solo qui in testa…” e se non basta come manifesto programmatico su come i Babilonia la pensino, ecco che con la spada tagliente del loro stile drammaturgico senza pause, senza concessioni, ci arriva addosso uno straziante appello: “Non mi vedrete con le mutande piene di merda, nuotare nel me stesso pisso, non mi farò lavare da una troia che non sa la mia lingua, non passerò gli ultimi anni col pannolone”. Parole che pesano e raffigurano scene di vita quotidiana dalle quali spesso distogliamo lo sguardo. Corsie di lungodegenza, corpi in decadenza collegati a flebo, cateteri, macchine per respirare, infusori, sondini naso- gastrico. Aleggia la morte su tutto questo, e più la eviti e più lei ti rincorre.

Se l’anima e lo spirito restano eterni il corpo certamente no, e se morte vuole significare separazione, allora stiamo parlando di separazione dell’anima dal corpo. E se un corpo sofferente, malato, logorato, reso impotente, volesse interrompere questa sua irreversibile condizione di umiliazione, dove la stessa dignità viene a mancare? Non si può. In Italia è vietato per legge.

Il testamento biologico come diritto di scelta dell’individuo, non è legale. La legge approvata alla Camera priva l’essere umano della libertà di scelta. La dichiarazione anticipata di trattamento sanitario non è più vincolante per il medico e non può impedire la sospensione della nutrizione e idratazione artificiale. The End affronta anche questo aspetto della morte e il tema dell’eutanasia, ma ciò che colpisce più di tutto è l’incisività senza retorica nello spettacolarizzare argomenti reali, portati in scena e rielaborati in una forma che assume un’istanza di teatro civile: la vecchiaia e il culto dell’eterna giovinezza, la fede come sollievo all’umano soffrire. “Oggi invecchiare non è consentito, come ammalarsi”, dice The End. La riprova? La malattia viene nascosta, negata in società. Un ammalato di tumore si vergogna profondamente di ammetterlo in pubblico. Ti nascondi se stai invecchiando, oppure dai l’assalto alle cliniche di chirurgia estetica. Ma la morte attende pazientemente.

La prova dei Babilonia è l’esito finale di un lungo percorso di ricerca, e dopo lo studio visto, sempre a Bassano l’anno scorso, convince ancora di più. C’è una tensione che non si allenta mai, lo sparo della pistola in aria è un’altra scarica di adrenalina al cuore, il frigo che s’illumina, lumicino nell’oscuro terreno di vite che si spengono, rischiara il buio esistenziale. “È la vita” dicono i Babilonia. Un inno alla vita e non una vita senza la possibilità di scegliere. No a sacrifici disumani, alla sofferenza prescritta e scambiata per pietà. No a chi decide per noi. Il bue e l’asinello appesi in aria raccontano una storia millenaria. Quella dove “sogno stanza piccola e buia sporca e fredda umida e viva… sogno di trattenere la vita fin dove è possibile”. Sogna anche una stella cometa. E quella compare come per incanto. Una flebile speranza che parla di vita. Di Amore. Ma non rifiuta la Morte. È il ciclo della vita. E il piccolo Ettore arriva in scena tra le braccia della mamma Valeria.

Visto al festival Opera Estate B.Motion Bassano del Grappa

Garage Nardini 29 agosto 2011

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