RUMOR(S)CENA – TEBAS LAND – TEATRO DI RIFREDI – (Firenze) – La scrittura di Sergio Blanco è introspettiva, basata sul dubbio partendo da quelle che sono le analisi dell’uomo, le sue mille sfumature, debolezze o anche punti di forze. Gli studi che compie attraverso la mitologia, i classici del teatro, della psicoanalisi e della letteratura lo portano a interrogasi in continuazione, mettendo in gioco prima di tutto se stesso, come fosse il riflesso di mille uomini ancora irrisolti nella spasmodica fame di raccontarsi. Partendo dalle proprie paure, limiti, angosce attraverso un processo da lui intrapreso in considerazione (e giustificato) di “autofinzione”. Il termine venne coniato per la prima volta da Serge Dubrovsky nel 1977 per sostenere che “l’autofinzione è una finzione di fatti e avvenimenti strettamente reali”. Dunque, viene da pensare a un processo che induce l’essere umano nell’entrare con il proprio bagaglio di vissuto reale in una dimensione surreale, altra, di finzione, appunto, percorrendo (forse o perché no) anche una propria immaginazione dopo. Un modo alternativo per parlare di sé, per svelare demoni su un foglio bianco, raccontarsi a voce alta su di un palcoscenico, per accarezzare altre corde che prima non conosceva. Alla fine niente di nuovo se pensiamo al gioco dei bambini “facciamo che io ero”, fingendo, inizialmente dei ruoli visti, scrutati in un mondo reale e poi, durante l’azione, immaginati in altri modi. Tutto, però, necessario da ricordare e sviluppare sotto i migliori occhi di bue interiori e non come anche Sergio Blanco riesce a compiere. In quanti di noi sanno tutte le tonalità della vita, le sfide del quotidiano, del perché si arriva a certe azioni? In quanti, oggi, possono “conoscere realmente se stessi attraverso l’esame di autoconoscenza” (citando Stendhal)? Nessuno, in realtà, pur dilagando la presunzione che supera il numero dell’essere umano vivente nel mondo. In molti, però, sfiorano e accarezzano ancora quel dubbio amletico dell’ Essere o non essere, o del cartesiano sogno o sono desto, dell’importanza di una ricerca da un onirico al reale.
Nella deliziosa cornice del Teatro di Rifredi a Firenze è andato in scena in prima nazionale (dopo l’anteprima al Festival di Todi) Tebas Land, un testo del 2013 del drammaturgo e regista teatrale franco-uruguaiano Sergio Blanco. Una nuova produzione Pupi e Frisedde. Lo spettatore è coinvolto fin dall’inizio da un inganno, quello di poter partecipare a una visione introspettiva dell’autore stesso: la realizzazione di una conoscenza propria attraverso un’opera di finzione e, di conseguenza, di immaginazione costruita, quest’ultima, dal disvelamento di temi delicati che la letteratura antica e moderna gli offrono: come Edipo di Sofocle, i fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. Perché proprio questi testi? E non è un caso, infatti, che il titolo dello spettacolo rimandi a Tebe, luogo di condanna e torture interiori, ma non solo, del mito sofoclèo, in cui, però si vuole evadere dal giudizio e immergersi nella comprensione di quello che oggettivamente è un delitto, è certo. Ciro Masella si cala perfettamente, con maestria, quasi come se gli fosse appartenuto da sempre, nel ruolo di un drammaturgo dal nome S. (non è un caso che sia l’iniziale, forse, di Sergio, il nome di Blanco e, dunque, anche l’esplicita manifestazione, non soltanto nell’assunzione del ruolo, del processo di autofinzione?). Questi ci accompagna fin dall’inizio in un ricordo/desiderio: quello del primo incontro con un giovane parricida. L’intero spettacolo diretto dalla mano sapiente di Angelo Savelli(anche traduttore del testo) avviene su due registri: il primo è di conoscenza dell’ipotetico fatto, tramite un dialogo che, con cautela, dolcezza, rispetto i due attori in scena costruiscono all’interno di “un campo di 7 metri di larghezza e 4 metri di profondità circondato da una gabbia di 3 metri di altezza” (si legge nelle note di regia).
Il secondo succede fuori da questo, ed è una ricerca reale su un fatto di finzione (?) tra S. e l’attore (un giovane e talentuoso Samuele Picchi) che cercano di mettere in scena l’incontro. I due, in un ritmo avvolgente e coinvolgente di battute incalzanti, effettuano un percorso dal quale cercano di trovare le chiavi per raccontare, non tanto un fatto di cronaca, al quale nemmeno viene dato un giudizio. Quanto provano a riportare, a modificare su un copione, invano, le emozioni che un altro essere fragile (è indubbio) possiede fin dalla propria infanzia, facendoci, al contrario, innamorare della debolezza, della tenerezza insita di quest’ultimo che vivrà per un lungo tempo (non è dato di saperlo) dentro una gabbia; la stessa in cui aspetta il giorno di una visita come calmante alle proprie angosce, al suo altro neo, l’epilessia, malattia per eccellenza che porta alla perdita di controllo del corpo e della mente. Un controllo di forze che crolla, di conseguenza all’unico autore, muovendolo a una compassione mista forse ad amore sfiorato, tentato da innumerevoli gesti che l’attore Masella accenna e fa trapelare attraverso una perfetta mimica facciale in rari momenti di silenzi o di respiri.
Verità o finzione dei fatti, alla fine poco importa. Semmai sia esistito o meno un caso di cronaca del genere, non è importante nella mente dello spettatore: si dimentica. Si vive il tentativo umano di conoscenza attraverso il dubbio. È il racconto di un sogno surreale, ma paradossalmente reale perché è comunque esistito in un subinconscio in un’altra dimensione, inafferrabile, a un certo punto, e che però, al momento del risveglio e della comprensione nel non poter avere più mezzi per continuare a modificare un testo che “ doveva cambiare di posto” rispetto alla realtà, porta all’arresa umana. Non è detto, però, che sia per sempre.
Visto al Teatro di Rifredi il 24 ottobre 2019
Oggi l’ultima replica al Nuovo Teatro Sanità di Napoli alle ore 18
Dal 20 febbraio al 1 marzo 2020 allo SpazioDiamante di Roma