FIRENZE – Lo scroscio continuo d’acqua diventa diuretico. Un lassativo liquido che avrà sicuramente fatto effetto alla platea vintage. Sul palco un loro coetaneo, Glauco Mauri, che stavolta non ha fatto da sonnifero. Sarà stata la scelta del testo che esce indubbiamente dagli schemi classici del duo Mauri-Sturno. Un testo portato al cinema da Giuseppe Tornatore, dalle tinte fosche e lugubri fin dal primo ciak. Un lungo buio che ci ha riportato a “Molly Sweeney” di Andrea De Rosa, una parete coperta di scritte che ci ha rievocato il “Moby Dick” di Antonio Latella con Albertazzi.
Nel bosco si aggira un uomo. Viene fermato e portato dentro ad una stazione di polizia kafkiana. Non sarà “Una pura formalità” come le incerte autorità tendono a riferire. E’ bloccato, recluso, in stato di fermo ma ancora senza alcuna accusa. Nei paraggi è stato ucciso un uomo. Si cerca il suo assassino. I personaggi si aggirano conoscendo la propria sorte ma, in qualche modo, senza volerla ammettere fino in fondo. Anime in pena che non trovano pace. Un testo profondamente basato sulla colpa e sul perdono, sull’importanza della confessione, impregnato di cattolicesimo, con l’aggiunta finale del carico da espiare per chi ha contravvenuto il quinto comandamento, ugualmente peccaminoso anche se rivolto contro se stesso.
Al cinema c’era Sergio Rubini nelle vesti dell’aiutante nello squallido ufficio di pubblica sicurezza, Gerard Depardieu al posto di Sturno, Roman Polansky in quelli di Mauri. Per vivere meglio non bisogna fare confronti. Ma l’ensemble teatrale è degno e raffinato, diverso dall’originale, ci mancherebbe, ma ugualmente angosciante, carico di pathos, ansiogeno quanto basta.
L’uomo bloccato dalle guardie, uno scrittore famoso, si chiama Onoff. On, era acceso, vivo, fino a poco tempo prima, Off, adesso si è spento. Ma resiste ed ansima nel limbo tra la vita e la morte, appunto onoff, dove non è ma nemmeno, ancora, non è. Inoltre è domenica, il giorno del Signore, della preghiera, delle mani giunte, del segno della croce. C’è sempre un bosco da attraversare in ogni favola che si rispetti, il bosco è il tramite, lo strumento, la fatica per raggiungere l’altra sponda, pericoloso, appuntito, un cammino accidentato che porta alla salvezza. Di solito. Qui di salvezza non se ne intravede. Bosco e acqua, altro elemento ancestrale, fetale e lo Stige, la nascita e l’ultimo passaggio.
Ci sono momenti in cui si possono fare paralleli con “Le variazioni enigmatiche” di Emmanuel Schmitt: lo scrittore, l’isola spersa, metaforica e non solo, il cambiamento continuo di status dei personaggi, la consapevolezza acquisita che viene cancellata in un attimo per poi riprendere forma sotto altre vestigia. Qui tutto è “una pura formalità”. Ma niente lo è. E’ sostanza, è concretezza. Si tratta di capire da che parte si è: solidi o effimeri, carne o ventun grammi di polvere nebulosa. E’ un cercare a ritroso le cause, l’evoluzione, il compimento ed il suo disfacimento, l’annoverarsi di elementi e gesti, chiamarlo passato, dargli delle scadenze, una scansione progressiva dei fatti.
E’ la vita stessa ad essere “una pura formalità”: disperazione e spaesamento: “Come facciamo a vivere in un posto come questo” in riferimento allo squallore della sede della polizia locale può essere ampliabile all’esistenza, esportabile al mondo, alle nostre città d’asfalto o alle nostre condizioni di vita. Come facciamo a sopportare tutto questo, vivere con una condanna a morte appesa al nostro collo? Che prima o poi arriverà, come ogni destino a compiersi, condannati, dead man walking, morti in attesa di morire e, nel frattempo, costretti a vivere. Rimuovere la propria esistenza sfigurandosi il volto, rendendosi irriconoscibile, cancellandosi, occultandosi, insabbiandosi. Deve averlo pensato anche Kurt Cobain.
“Una pura formalità”, versione teatrale e regia Glauco Mauri, con Glauco Mauri, Roberto Sturno, dal film di Giuseppe Tornatore. Con Giuseppe Nitti, Amedeo D’Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore; Scene Giuliano Spinelli, Costumi Irene Monti, Musiche Germano Mazzocchetti. Produzione Compagnia Mauri Sturno in collaborazione con Fondazione Teatro della Pergola. Visto al Teatro della Pergola il 29 gennaio 2014.