BUTI (Pisa) – Dario Marconcini regista, attore, direttore storico del Teatro di Buti, ha ed ha sempre avuto un fiuto speciale nello scovare micropièce di drammaturgie novecentesche che scavano nelle pieghe delle tragedie del Secolo breve; come è accaduto con le memorabili messe in scena da Beckett a Pinter e Peter Handke. Ora si è voluto confrontare con Heiner Muller, in un primo studio di Mauser (in concomitanza con l’allestimento di un altro testo dello stesso autore tedesco Quartett , per la regia di Roberto Latini in prima nazionale a Prato). Il lavoro è insieme inquietante e disarmante. È come se tutto il tragico degli ultimi quarant’anni di Storie dell’Europa, ci piombasse addosso, e il residuo fetido-freddo che ci arriva è davvero pesante. Perché in scena ci sono giovani che ripetono le stesse storie genitoriali in un alternarsi di copioni mortiferi – la banalità del male, come se questo fosse normale nel succedersi delle vite di genitori in figli. Invece no. Le Storie potrebbero non ripetersi, ma, invece, rompere la sequenza dell’odio, della vendetta e della carneficina. Già di per sé decidere di mettere in scena Mauser di Heiner Muller è una scommessa importante, coraggiosa. Perché la pistola Mauser era un’arma molto utilizzata in quel terrificante regime post nazista -Komunista dove in Germania Est, la Berlino dove Muller viveva, prima dell’89 si trattavano vittime e carnefici con la stessa leggerezza con cui si tratta una cosa, un relitto, una deiezione. Finché serve serve, poi eventualmente si butta.
Nella strategia registica di Dario Marconcini, questo breve testo di Muller, è stato studiato da chirurgo della scena qual’ è, come una provocazione attualizzata di un dramma che è nei nostri occhi: una società cinica occidentale anche europea, giovanile-giovanilistica che si imbratta di sangue come è accaduto alle precedenti generazioni. Le attuali, perfino. Come se tutto fosse normale. Scontato. Generazioni senza memoria. Senza storia. Generazioni che ci riguardano hic et nunc, basti pensare ai rigurgiti neonazisti che attraversano gli Stati d’Europa ai giorni nostri, uscita pochi decenni orsono da una sconvolgente Guerra mondiale. Ed allora cosa accade in scena nello straordinario piccolo splendido spazio teatrale di Buti, dove è passata l’intelligenza teatrale che ha ospitato artisti impegnati e di fama internazionale?
Accade che nei primi quadri -scena a spazio aperto (il pubblico è spostato sui palchetti), dei giovanissimi mimano una festa fra ragazze e ragazzi. Quasi subito, però, la traduzione in scena si tramuta per spostamento e slittamento di significante, in dramma. E la Storia insegna. O si ripete, si rappresenta come nel film Le vite degli altri. Qui un killer, che in origine era la personificazione della sua Mauser – un braccio-killer del regime, impugna dialetticamente un discorso apparentemente filosofico; non si sa con chi, forse con se stesso che sta per morire, oppure con la sua coscienza. Forse con un tribunale intra ed extra psichico intorno al tema di ciò che lui non è e mai sarà più: il killer di quel Regime. E lo fa intrecciando domande esistenziali a se stesso e al suo Tribunale forse interiore: sarà per pentimento o per mera sopravvivenza? In ogni caso la sua vita è in scadenza. Si sa solo che lui è destinato a morire. E la mauser è solo il mezzo che lui ha usato come strumento per uccidere i traditori di una ideologia – ( rivoluzionaria?), e sarà usato come contrappasso, per essere a sua volta giustiziato. Marconcini stigmatizza questo personaggio (il killer Giovanni Buscarino, che accenna un accento lievemente straniero), facendolo dialogare – si fa per dire, quasi in maniera ieratica ( non brechtiana), creando un Tribunale fittizio alle spalle del luogo del delitto ed in alto rispetto alla scena –paradossalmente ma non troppo, con due donne di diverse età forse madri, a giudicarlo in vestiti d’ordinanza borghesi; mosse a loro volta da istinti omicidi individuali ed anche genocidici. Madri mostruose nella loro fredda nazistica denunzia (Paola Marcone e Giovanna Daddi, spose madri e nonne consenzienti-conniventi). E la ruota gira perché chi non scanna non mangia, perché il pane della rivoluzione è strappare molta erba e strappare ancora molta erba perché rimanga verde. Il pane della rivoluzione è il pane dei suoi nemici è la morte dei suoi nemici. Uccidere è un lavoro?. Ma cos’è l’uomo? Così, con un colpo di pistola alla nuca come era incominciato, si chiude un siparietto tragico dove festa e tragedia si consumano e intrecciano. E sale alla mente quella poesia di Eugenio Montale “La Storia”, che ad un verso recita: “La Storia non è maestra di niente che ci riguardi”. Ed anche però un sussulto di protesta perché, come scrisse Alberto Moravia: “Come per l’incesto bisogna trasformare la guerra in un tabù”.
Mauser di Heiner Muller
Regia Dario Marconcini
Con Giovanna Daddi, Paola Marcone, Giovanni Buscarino, Edoardo Altamura, Irene Falconcini, Francesca Galli, Silvia Frino , Meryem Ghannan, Francesco Grumetti, Viviana Marino
Luci e scene Riccardo Gargiulo e Maria Cristina Fresi, Costumi Giovanna Daddi
Visto al Teatro di Buti in prima nazionale ( Pisa), il 14 dicembre 2017