Biennale di Venezia, Recensioni — 04/07/2024 at 09:06

Medea’s Children: violenza famigliare tra mito e cronaca

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RUMOR(S)CENA – BIENNALE TEATRO – VENEZIA – Affonda le sue radici nel mito greco e si intreccia con un sanguinoso fatto di cronaca accaduto in Belgio nel 2007 – l’uccisione dei cinque figli, 4 femmine e 1 maschio, da parte della madre – Medea’s Children, la pièce che il regista svizzero Milo Rau ha dedicato ai bambini mettendo a confronto il loro mondo e i loro pensieri con la realtà cruda che li circonda e con la quale devono quotidianamente confrontarsi.

Nel terzo capitolo di una ideale trilogia che trae ispirazione dalla tragedia greca, dopo Oreste a Mosul e Antigone in Amazzonia, Rau getta uno sguardo sul futuro scrutando nell’anima di quelli che saranno gli adulti di domani e combina le due vicende, gemelle tra loro, quella leggendaria e quella vera, prendendo le mosse da un esordio giocato sull’ironia e la leggerezza di toni, e finendo poi con immagini e gesti di livida violenza.

(c) Michiel Devijver

In scena, dà inizio all’azione un attore adulto che si definisce “preparatore di bambini”; a lui si affiancano 6 giovani attori non professionisti, di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, di straordinaria bravura e versatilità, capaci come sono di interpretare sé stessi, le piccole vittime e anche i personaggi adulti: Medea, Giasone, Creonte, Geneviève Lhermitte la donna assassina, la madre e il padre di lei. Come se partecipassero a un incontro col pubblico alla fine dello spettacolo, i bambini parlano della tragedia di Euripide, la analizzano, recitano monologhi, raccontano pezzi di storia del teatro greco. Poi vestono i panni dei vari personaggi, mentre il “preparatore”, ora nel ruolo di regista, li riprende e proietta le immagini sullo schermo di fondo.

A poco a poco l’intonazione cambia, tutto si fa più greve e carico di angoscia. I bambini ripercorrono le due storie, da cui traggono spunto per pensieri e considerazioni gravide di implicazioni psicologiche e relazionali, rivendicando il loro diritto a parlare e a essere protagonisti, diversamente da quanto accade nella tragedia greca. Mettono così in rapporto, in maniera critica, mondo degli adulti e mondo dell’infanzia e guardano con inquietudine a ciò che ci riserva il futuro, che ai loro occhi appare più carico di niger che di albus, i due colori a cui si ispira l’ultimo anno del mandato dei direttori di Biennale Teatro Stefano Ricci e Giovanni Forte (ricci&forte).

(c) Michiel Devijver

Le parole si fanno gesto nell’ultima fase della performance, quando una delle giovani attrici mima con sconcertante realismo la spietata uccisione dei figli da parte di Geneviève. I bambini vengono aggrediti, soffocati, sgozzati con un coltello uno dopo l’altro in un bagno di sangue ripreso dall’occhio impudico e morboso della telecamera che offre in pasto agli spettatori quelle azioni efferate.

È quello che si definisce “un pugno nello stomaco”, che non lascia indifferenti. Ma sorgono alcune domande: era artisticamente necessario spingersi fino a quel punto? O sarebbe bastato, come sulla scena ateniese, far sentire le grida di morte? E poi, quale effetto possono avere simili gesti sulla psiche dei giovani interpreti? Hanno gli anticorpi per elaborare violenza e orrore o tutto questo lascerà in loro una traccia indelebile? Ne usciranno fortificati o marchiati da questa esperienza?

(c) Michiel Devijver

Visto il 29 giugno al Teatro alle Tese dell’Arsenale di Venezia

Il cast: Peter Seynaeve, Bernice Van Walleghem, Aiko Benaouisse, Ella Brennan, Helena van de Casteele, Juliette Debackere, Elias Maes

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