RUMOR(S)CENA – GENOVA – Essenzialità, rigore, empatia consegnano allo spettatore un Edipo Re ad alta intensità artistica e concettuale nella pregnante lettura di Andrea De Rosa. Sulla traccia della traduzione di Fabrizio Sinisi che scandaglia l’abissale testo sofocleo con asciutta acutezza, il regista restituisce senza enfasi tutto il dolore di un uomo che ha trascorso i suoi giorni nelle tenebre dell’ignoranza di sé e che, folgorato dalla luce della verità – ha ucciso il padre Laio e sposato la madre Giocasta – si priva della luce degli occhi in un gesto di violento contrappasso.
La maledizione che segna il suo destino travolge anche la madre-sposa e contamina tutta la città di Tebe, ammorbata dalla peste inviata da Apollo, metafora di una colpa che grava su tutti. De Rosa crea un’atmosfera di concentrata tensione, senza sbavature retoriche, in uno spettacolo dove le varie componenti teatrali concorrono in maniera efficace alla definizione di un insieme compatto.
Delimitano la parte anteriore della scena sette pannelli trasparenti di plexiglass lordati da una colata di pittura biancastra dietro i quali, in apertura, il Coro formato da due donne condensa la misterica ritualità del canto nelle voci graffianti di Francesca Cutolo e Francesca Della Monica, eccellenti interpreti di un’angoscia che si traduce nel suono plasmato da G.U.P. Alcaro.
Sparsi sul palco, fari e led mobili, posizionati in sequenze ora verticali ora orizzontali, emanano una luce che, più che illuminare, acceca e rimbalza sui rettangoli dorati di fondo, penetrando poi a brandelli attraverso gli schermi di plexiglass. L’insieme è una sorta di installazione che non ha nulla di esornativo ma è veicolo di senso attraverso la sinergica capacità creativa di Pasquale Mari per le luci e Daniele Spanò per la scena.
C’è arroganza nella ricerca della verità condotta da Edipo, ma anche fragilità, e De Rosa nella sua visione impasta l’atteggiamento fiducioso nella propria intelligenza dell’eroe sofocleo vincitore sulla Sfinge con l’angoscioso presagio che travaglia l’animo del re nell’omonima tragedia senecana, un amalgama che Marco Foschi restituisce calibrando con misura toni e gesti. «Sei tu… sei tu… sei tu…»: la parola di Apollo risuona martellante a insinuare il dubbio nella mente di Edipo nel suo inquietante discorso anfibologico, carico di ironia tragica quando, maledicendo inconsapevolmente sé stesso, afferma che farà luce sull’assassinio di Laio come se lui fosse suo padre.
Fin dall’inizio, così, protagonista invisibile della tragedia e perno dello spettacolo diventa Apollo che parla attraverso Tiresia e poi per bocca dei messaggeri: il messo arrivato da Corinto per riferire la morte di Polibo, padre adottivo di Edipo, e il pastore che lo aveva, neonato sottratto alla morte, disattendendo l’ordine di Laio di abbandonarlo sul monte Citerone. De Rosa affida a un unico attore (Roberto Latini, straordinario nel modulare voci e intonazioni diverse) i tre personaggi come se fossero i portavoce del dio, arbitro del destino umano, e incarnassero i suoi oscuri oracoli. E più avanti, una litania sospesa tra preghiera e invettiva, spuria rispetto al testo, e costruita da Fabrizio Sinisi mettendo uno dietro l’altro i molteplici epiteti del dio, lacera l’aria per bocca del Coro, sottolineandone con fervore la natura complessa e ambigua.
«Apollo l’obliquo, Apollo il contorto, Apollo l’arrogante, Apollo l’arciere, il Figlio della Lupa, il camminatore, Apollo il giustiziere, Apollo vendicatore del sangue, arciere della morte, Apollo l’eccessivo, Apollo il simile alla notte, Apollo l’orgoglioso, lo scuoiatore, Apollo fondatore di città, signore degli oracoli, del prima e del poi, Apollo signore della Parola, dio dei viaggiatori e dei fanciulli, signore del fuoco e delle pestilenze, Apollo incoronato di alloro, Apollo il sublime danzatore»
Nello scontro tra Edipo e Creonte (Fabio Pasquini), che risponde con sdegno misurato e ragionevolezza all’accusa rivoltagli dal cognato di connivenza con Tiresia per una scalata al potere, interviene Giocasta. Al fianco di Marco Foschi, che significativamente accarezza talvolta con la mano il ventre della moglie-madre, Frédérique Loliée esprime il caldo amore di sposa di Giocasta colorandolo di trepide sfumature materne e sovrapponendo alla sottile seduzione suggerita dalla trasparenza dell’elegante abito nero paiettato (i costumi moderni e sobri sono di Graziella Pepe)gesti di casto e protettivo affetto, fino alla presa di coscienza che la indurrà al suicidio.
Nel finale, a sorreggere il penoso cammino di Edipo verso l’esilio è un bastone luminoso, dono di Apollo, simbolo esteriore della raggiunta consapevolezza, amara ma portatrice dell’agognata verità.
Visto il 24 gennaio 2025 al Teatro Ivo Chiesa di Genova
Edipo Re di Sofocle; regia: Andrea De Rosa; drammaturgia: Fabrizio Sinisi; scene: Daniele Spanò; costumi: Graziella Pepe; suono: G.U.P. Alcaro; luci: Pasquale Mari; interpreti: Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée, Fabio Pasquini
produzione: Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli, LAC, Teatro Nazionale di Genova, Emilia-Romagna Teatro ERT