LONDRA – Lasciandoci alle spalle uno dei quartieri piu commerciali e caotici della capitale inglese, ci immergiamo nel verde di uno dei parchi piu’ visitati di Londra: Hyde Park. Tra le sue meraviglie incontriamo anche le Serpentine galleries, le cui mostre e programmazioni culturali attraggono ogni anno la media di un milione di visitatori. Ricordiamo tra i celebri artisti che vi hanno esposto le loro opere Man Ray, Henry Moore ed Andy Warhol.
In questa isola tranquilla in cui la natura celebra la sua bellezza, la vera “regina” della performance internazionale, Marina Abramovic, ha deciso di mettere in atto il lavoro piu radicale della sua carriera: “The beginning of everything is nothing“, in cui per 512 ore, dall’11 giugno dalle 10 alle 18, 6 giorni su 6, il niente sara’ il tutto.
E’ una nuova Marina quella che ci prende per mano nel nostro viaggio iniziatico londinese. Certamente ben lontano dalla quiete e dall’ascolto. Durante gli anni delle sue ricerche ci ha abituato alla violenza più estrema, all’oltraggio dei limiti del corpo, al continuo rifiuto di ogni etichetta di forma e movimento. Marina si conferma unica. La sua ispirazione si nutre dei meccanismi turbolenti della natura e della sue verità organiche, materiali, provocatorie ed esplosive. Appartiene alla storica generazione che, tra gli anni ’60 e ’70, decostruisce i principi costituivi della pratica artistica, considerati riproduzione fittizia della realtà, per proclamare la dicotomia tra arte e vita il nuovo linguaggio espressivo. Nello specifico, il corpo e l’idea del “vuoto” giocano un intrinseco ruolo nel lavoro di alcuni artisti, come nel caso della Abramovic, appunto.
Le sue ultime performance non pretendono piu di provocare violentemente chi assiste con le autoflagellazioni a cui ci ha abituato in questi tanti anni. Oggi della propria azione performativa, rispondendo allo scopo dell’artista che dichiara: Sto facendo l’esperimento di una performance davanti a voi e voi state solo passando come testimoni. Se davvero volete avere la vostra personale esperienza, l’unica cosa che conta è… rappresentare voi stessi.”
Dunque, il metodo di lavoro della Abramovic utilizzato alla Serpentine e’ inusuale per l’artista serba, perchè il nulla, il silenzio, la sospensione del tempo e l’ascolto saranno il motore dell’azione. Si, “ma quale?”, ci si chiede, prima di entrare. Tanti quesiti e aspettative ci assalgono.
Forse, il tempo alla Serpentine si focalizza sull’importanza dei rituali, ovvero su quelle azioni ripetute che conducono obbligatoriamente ognuno di noi ad una trasformazione interiore. Quindi, esattamente come nei riti di passaggio, dopo esserci separate dai nostri oggetti quotidiani, lasciandoli negli appositi armadietti, custoditi all’ingresso della galleria, indossiamo delle cuffie insonorizzate che ci consentono di ascoltare nient’ altro che il nostro respiro.
Li c’e’ il tutto? Li’ c’e’ quel Nulla da cui tutto ha origine?
La Abramovic ci abbandona a noi stessi. Da soli con il nostro corpo attuante, sospeso, rilassato, proteso esclusivamente verso quel movimento consolatorio dell’ascolto. Il nostro corpo ha quel soffio della consapevolezza che ci mette in relazione con noi stessi e gli altri. E’ la nostra casa, la nostra memoria, non possiamo traslocare dal nostro corpo. La Abramovic, che per anni lo ha utilizzato come oggetto e soggetto delle sue azioni, oggi ci spinge a non scappare da noi stessi mentre crediamo di partecipare alla “sua” performance.
Mentre varchiamo la prima porta in cui ci attende una sala con una pedana, un gruppo di persone, in piedi, sedute, annoiate, vergognate, estatiche, addormentate, preoccupate, partecipiamo inconsapevolmente alla “nostra” rappresentazione. Alcuni cercano di trarre energia dalla terra, altri dal cielo. Tutti ci guardiamo e ci facciamo guardare come voyeur nella sala del niente. Tutti siamo li’. Presenti, qui e ora. Perlomeno attendiamo che la nostra presenza abiti il nostro corpo. Nella seconda sala a sinistra si cammina a ritmo lento, dilatato, sospeso. Rompiamo le catene della quotidianità che ogni giorno ci forzano al passo della velocità e della produttività.
La terza, invece, e’ una sorpresa, un continuo esperimento. A volte potresti trovare dei letti in cui sdraiarti, delle altre una serie di banchi con sopra: carta, matita, lenticchie e riso. Ci lasciano la libertà assoluta. Attraverso la manipolazione della materia si crea, e attraverso la sua osservazione si indaga la propria e altrui mente. L’importante e’ entrare nel processo.
Queste esperienze apparentemente quotidiane: sdraiarsi, sedersi, dormire, respirare, ascoltarsi, stare in piedi, pensare o sognare, possono divenire azioni trasformative. Esemplare in questo senso è l’ultima grande piéce dell’artista, messa in atto durante la retrospettiva della sua mostra “The artist is Present” al Museum of Modern Art a New York, nel 2010. Ma non e’ un’ eccezione per la Abramovic´. Infatti, ha spesso chiamato il pubblico a formare un elemento vitale e stimolante per il suo lavoro, come per esempio in Rhythm 0 (1974) e Imponderabilia (1997).
512 Hours continua da questo importante lavoro e si estende oltre.
Lei stessa rivela: “Mi ci son voluti 25 anni per avere il coraggio, la concentrazione e la conoscenza di arrivare a questo. Fu solo una visione, l’idea che ci sarebbe stata dell’arte senza alcun oggetto, solamente tra performer e pubblico … Avevo bisogno di tutta la preparazione, necessitavo di tutti i lavori fatti precedentemente; loro mi stavano guidando verso questo punto, e in qualche modo questo davvero diventa l’esperimento.”
“Be quiet”, siate calmi, tranquilli e silenziosi”.
Questa, l’unica indicazione che si riceve entrando nello spazio della sua, nostra personale performance, perché come dice l’artista: “Lo spettatore è libero di rimanere quanto vuole e di fare ciò che vuole. Quello che voglio è creare un flusso di energia tra me e il pubblico e tra gli stessi spettatori, di modo che ognuno, compresa me, possa portare via qualcosa di personale a ogni visita”. Quando usciamo dallo spazio bianco e luminoso della performance non sappiamo cosa ci aspetta. Lei, la grande stratega dell’Est, ci ha invitato a seguirla, ad andare così come siamo, di crederle e di impegnarci nel particolare tempo e spazio in cui siamo. Questo atto improvvisato non e’ un mero atto di comunicazione. E’ davvero un autentico processo di ricostruzione in virtù di una nostra più libera individualità.
Visto a Londra alla Serpentine Gallerie il 21 giugno 2014