RUMOR(S)CENA – DON GIOVANNI – VALERIO BINASCO – TEATRO ARGENTINA – ROMA – Come tutti i personaggi mitici, anche Don Giovanni è riuscito a staccarsi dalla penna dell’autore che gli ha conferito un’esistenza letteraria, per diventare una figura dell’immaginario collettivo. Mito della modernità, il celebre seduttore deve la sua fortuna alla musica di Mozart che ha reso eterne le parole del libretto di Da Ponte, ma nasce già nel Seicento, nella Spagna del Siglo de oro. Il Don Giovanni andato in scena al Teatro Argentina di Roma dialoga con la tradizione, mostrando come la storia del libertino che non teme il giudizio divino abbia radici profonde, al punto da poter essere considerato un archetipo del moderno.
Sono le parole del Burlador de Sevilla di Tirso de Molina ad aprire lo spettacolo di Valerio Binasco. L’«uomo senza nome» che dice di essere «un uomo con una donna» è una sorta di Everyman, in cui chiunque può riconoscersi. Ricollegandosi al primo testo in cui il personaggio compare, il prologo ricorda dunque allo spettatore come la storia di Don Giovanni – in quanto storia di un uomo – sia una storia universale, che mantiene inalterata la sua validità. La vicenda del dissoluto punito viene però messa in scena nella versione di Molière, che si inserisce nella costruzione del mito ereditando la figura dal repertorio dei comici dell’arte e creando un eroe libertino. Alla seduzione delle donne il Don Giovanni molièriano ha aggiunto una generale miscredenza, che si traduce in una mancata fiducia nella medicina, nelle credenze popolari e nella divinità, in nome di un razionalismo all’ennesima potenza. In questo suo atteggiamento il protagonista di Binasco è un personaggio classico, che riesce ad essere uguale a sé stesso, ma anche perfettamente inserito nel presente, come suggeriscono i costumi di Sandra Cardini.
Il Don Giovanni interpretato da Gianluca Gobbi è un «eroe-criminale», che, come scrive il regista, «è il risultato di un eccesso di desideri compulsivi e viziosi», derivati dalla preoccupazione per il proprio bene, in una dimensione di egocentrismo esasperato. La negatività del personaggio emerge dal ritratto che ne propone il servitore Sganarello (Sergio Romano), sempre critico nei confronti della condotta del suo padrone, ma anche spaventato da lui. Dal rapporto tra servo e padrone deriva la comicità del testo di Molière, cui la messinscena di Binasco concede molta enfasi.
Piuttosto fedele al testo classico, la regia sembra però voler superare tutte le interpretazioni del personaggio, abbandonare il «fantasma letterario» che è stato costruito su di lui e recuperare quel Don Giovanni «autentico delinquente» dei comici dell’arte. È in questa prospettiva che si può leggere allora la figura del seduttore, sempre pronto a sfidare il Cielo e a promettere il matrimonio a tutte le donne che incontra, non curante delle raccomandazioni di chi lo invita a pentirsi. Come scrive Binasco nelle note di regia, il suo Don Giovanni si ribella «all’incubo della morte» con un «vitalismo incontrollato», che lo rende esuberante ed eccessivo in tutte le sue manifestazioni. Sono le parole e la paura di Sganarello a mettere in evidenza l’estrema malvagità di un uomo che non è disposto a sottomettersi a nessuno. Ma in questa sfida alle regole e ai ruoli sociali, il libertino di Binasco è un personaggio molto diverso da quello che la tradizione europea ci ha trasmesso. Il Don Giovanni portato in scena da Gianluca Gobbi è rigido e sgraziato, persino comico nella sua violenza. Ma il comico è inserito in un contesto straniante, dovuto a una volontaria in definizione spazio-temporale. La scelta di ambientare la vicenda in un presente non caratterizzato e l’adozione del dialetto napoletano per le scene popolari di Maturina e Charlotte dimostrano il valore universale di quella che è la storia di un uomo senza nome.
Visto al Teatro Argentina di Roma il 16 gennaio 2019
Don Giovanni di Molière
regia Valerio Binasco
con (in o. a.) Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco,
Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Gianluca Gobbi, Fulvio Pepe, Sergio Romano, Ivan Zerbinati
scene Guido Fiorato – costumi Sandra Cardini – luci Pasquale Mari – musiche Arturo Annecchino
assistente regia Nicola Pannelli – assistente scene Anna Varaldo – assistente costumi Silvia Brero
Produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale