CATANIA – Quando uno spettacolo “funziona” lo si può raccontare anche soltanto a partire da un particolare, da una parte, da un segmento di esso, anzi certe volte è anche meglio raccontarlo dai particolari perché è in essi che si nasconde, magari inconsapevolmente e quindi ancor più direttamente, il senso profondo dell’intera operazione. Parliamo de “L’indecenza”, lo spettacolo diretto da Giampiero Borgia che, prodotto dallo Stabile Etneo, s’è visto a Catania nello spazio della scuola di teatro “Umberto Spadaro” dentro il bellissimo Cortile Platamone, dal 20 marzo al 4 aprile: il testo è ben ridotto drammaturgicamente da Rosario Castello a partire dall’omonimo romanzo di Elvira Seminara, in scena ci sono Valeria Contadino (convincente nel ruolo della moglie, donna sofferente per una maternità frustrata e, benché fragile, portatrice di una sicura eleganza di classe, un’eleganza che non cede nemmeno quando nel parlare lascia cadere un bellissimo accento catanese, un vezzo da signora più che un difetto), David Coco (il marito di mezza età ma ancora aitante, anche lui molto convincente), Elena Cotugno (Ludmila, la giovane cameriera ucraina), i costumi e le scene sono di Giuseppe Avallone. Interessante nello spettacolo è intanto la scelta di posizionare il pubblico ai due lati opposti di una grande scena quadrangolare; tra la scena e i due segmenti del pubblico ci sono solo due teli di rete velata che lasciano vedere/spiare quanto accade senza che gli attori possano a loro volta vedere il pubblico: il regista, d’altronde, dichiara apertamente di voler attribuire al pubblico un’attitudine o un’intenzione voyeuristica, la quale poi fa gioco perfettamente con quanto succede nello spettacolo.
E in scena quel che accade è il lento ma inesorabile deflagrare di una situazione di crisi in una coppia alto-borghese che sta attraversando il lutto per l’interruzione di una gravidanza, una gravidanza probabilmente assai desiderata: a far da detonatore di questa dolorosa situazione l’arrivo in casa di Ludmilla, una giovane cameriera ucraina (o comunque proveniente dall’Est Europa) che, con la sua vitale sensualità, semplice certo e persino sgraziata eppure prorompente, mette i due coniugi di fronte alla consapevolezza dell’abisso di sterilità sentimentale, intellettuale e morale prima che fisica, in cui si trovano: il marito prova a reagire, cerca di ritrovare una dimensione di normalità, si orienta al principio di realtà, infine si lascia tentare dalla vita e soprattutto dalla vitalità di Ludmila, la moglie, anche lei misteriosamente attratta da quella ragazza (ma il significato di questa attrazione apparirà chiaro alla fine dello spettacolo), scivolerà nella follia e imprimerà alla pièce una violenta e irredimibile torsione tragica.
Ma, a raccontarla così, questa tragedia non si percepisce in tutta la sua energia e nella sua necessità, occorre piuttosto metterla a fuoco a partire da un particolare di essa e, in questo caso, val forse la pena di soffermarsi sulle scenografie di Avallone: scene che riproducono una bellissima casa borghese, un vasto open space che include una grande terrazza probabilmente aperta sui tetti della città. Ed ecco i colori caldi, le piante, i legni, le pietre, le suppellettili, le coperte preziose, i grandi cuscini, gli specchi enormi, le stoviglie preziose, gli abiti comodi, i tappeti, gli arazzi, i vetri intarsiati, gli oggetti poveri ma assemblati con gran gusto e presi al mercatino delle pulci, le cassapanche di una volta, i tanti libri, le sedie d’epoca e tutte diverse tra loro, le piante maestose e da curare amorosamente: il tutto in un affascinante understatement mediterraneo che appare tanto caloroso, raffinato e esteticamente coltivato, persino snob, quanto simmetricamente opposto rispetto al gelo spaventoso delle relazioni umane che in quell’ ambiente si dispiegano. Tutto in quella casa sembra vivere e invitare all’amore, al relax, alla bellezza, ma nessuno dei due coniugi sa più viverla davvero quella dimensione, nessuno dei due sa trovare la voglia, la forza, la vitalità per recuperare e rivivere quel desiderio; e allora tutto diventa spettrale e privo di vita.
La moglie forse è ancora innamorata del marito ma, più probabilmente, il suo cercarlo appare motivato dal desiderio di ripercorrere un’altra volta la via della maternità e chiaramente questo non basta a riaccendere il rapporto amoroso. Il tutto è inoltre rispecchiato nell’evolversi della personalità di Ludmila (in questo evolversi del personaggio però la Cotugno non appare sempre del tutto credibile): man mano che si rende conto del potere che ha in quella situazione, Ludmila cambia, acquisisce sicurezza, usa anche lei la ricchezza di quella grande casa, la usa come indossa i vestiti della signora, prova lei a dominare il gioco in cui l’hanno attratta e che diventa sempre più torbido, pericolosamente scoperto, indecente. Tuttavia, quella di Ludmila, resta una pulsione di vita, una passione per la vita che non può infine che cedere il passo ed esser sconfitta dalla tragica, disumanata, aridità di quanto le succede intorno. Spettacolo da non perdere.
“L’indecenza”
dal romanzo di Elvira Seminara, adattamento teatrale di Rosario Castelli, regia di Gianpiero Borgia, con David Coco, Valeria Contadino, Elena Cotugno; scene e costumi di Giuseppe Avallone, luci di Franco Buzzanca, musiche di Papaceccio MMC, crediti fotografici Antonio
Parrinello. Produzione: Teatro Stabile Catania.