Recensioni — 06/10/2024 at 08:14

Quelle vite dai destini incrociati, Glaube, Geld, Krieg und Liebe di Robert Lepage

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RUMOR(S)CENA – BERLINO – È un Lepage al cento per cento quello che prende vita in questi giorni sul palcoscenico dello Schaubühne di Berlino, diretto da Thomas Ostermeier: in questa produzione tutta tedesca Glaube, Geld, Krieg und Liebe (Fede, denaro, guerra e amore), debuttata il 3 ottobre con enorme tributo da parte del pubblico, riconosciamo molti elementi del suo Teatro. L’intrigante drammaturgia ramificata (condivisa con Nils Haarmann) già vista nello storico The Seven Streams of the River Ota (creato con l’équipe Ex Machina nel 1995 e ripreso nel 2018) e in Lypsinch, la scenografia minimale e trasformista e la tecnologia video che si adatta alla storia senza mai sovraccaricarla (come in 887), l’adozione del linguaggio cinematografico.

Si aggiunga a questo, la straordinaria bravura degli attori dello Schaubühne e la loro capacità ad allinearsi al “metodo Lepage”, in cui la drammaturgia viene creata direttamente sul palcoscenico e continuamente modificata a partire dalle improvvisazioni degli attori e dal loro contributo creativo. Come si intuisce dal titolo e dall’ immagine con cui si apre il sipario, cioè i quattro schermi che mostrano i quattro semi delle carte (fiori, denari picche e cuori/spade, coppe, denari e bastoni), si fa teatro e contemporaneamente si gioca, mescolando nel mazzo le vite dei personaggi, distribuendole sul tavolo/palcoscenico sulla base della loro aderenza ai simboli corrispondenti: fede, soldi, guerra e amore.

Il riferimento principale è al progetto (mai finito) dei quattro spettacoli per teatri a pianta centrale Jeux des cartes costruito proprio come questo, sulle simbologie delle carte da giocoe allo spettacolo-fiume The Seven Streams of the River Ota, riprendendo l’organizzazione combinatoria di quelle narrazioni.

Emerge qua in tutta la sua pienezza, uno story telling articolato su diverse trame collegate le une alle altre, ricche di annodamenti imprevisti, punteggiate da molti personaggi tra passato e presente che inchiodano lo spettatore per 4 ore e mezzo, evolvendosi sotto i suoi occhi, episodio dopo episodio come in una serie Tv, muovendosi su tempi diversi ma localizzandosi tutte in Germania in un lasso di tempo che va dal 1945 ai giorni d’oggi.

Gli interpreti nella doppia incarnazione di autori-attori e nelle  molteplici maschere di personaggi, danno vita a uno spettacolo che riesce a raccontare vicende drammatiche e appassionanti insieme, lontane e vicine allo stesso tempo, che sembrano scorrere parallele, intrecciate in nodi invisibili che ne determinano il corso, unite dal legante dei grandi eventi della Storia (la Seconda Guerra Mondiale, la caduta del muro di Berlino, la guerra in Afghanistan nel 2003, quella in corso in Ucraina).

Nel 1945 una neonata di colore viene lasciata nella ruota di un convento di clausura, dove viene cresciuta amorevolmente nella fede in Dio ma soprattutto in sé stessa. Jeanne diventata grande nel giro letteralmente di un soffio e di un cambio d’abito, la ragazza arriva a Parigi nel 1961 dove sarà notata da una cantante di club che la introduce nel mondo del cinema della Nouvelle Vague e diventa attrice e fotomodella di successo, innamorandosi del regista e rimanendo incinta di due gemelli che ritroveremo in altri episodi ma che lei darà in adozione.

Ogni personaggio in un momento specifico della sua vita impersonifica un seme delle carte: così troviamo Matthias il giovane soldato dell’esercito tedesco in missione in Afghanistan in pieno trauma di separazione affettiva dal proprio fedele cane rimasto ucciso in un’azione di guerra, Anna la donna in preda al vizio del gioco abbandonata dal marito che l’aveva sposata solo per denaro, la psicoterapeuta Juju che cura le patologie post traumatiche militari che si offre come donatrice per una fecondazione eterologa, l’ex orfana Jeanne diventata ricca e famosa, che raccoglie fondi per bambini abbandonati durante la riunificazione delle due Germanie. La storia nella finzione teatrale va continuamente all’indietro, come un flashback filmico: la persistenza della memoria sembra segnare profondamente e irrimediabilmente le vite dei protagonisti; la donna affetta da compulsione da gioco aveva scoperto drammaticamente che la sua famiglia aveva fatto fortuna sfruttando il lavoro dei deportati nei campi di concentramento; il ragazzo che decide di andare in missione in Afghanistan, aveva scoperto il padre in casa con altre donne.

Le coincidenze producono incroci e addirittura, collisioni di destini: vicende accadute per caso sono  liberate dall’irrilevanza a cui quale sembravano essere condannate, diventando l’epicentro di nuovi sismi sentimentali: il bosniaco Jasko, compagno d’armi di Matthias diventato pittore, andrà anche lui dalla psicoterapeuta Juju e si innamorerà, ricambiato, del marito Christian; con lui avrà un figlio con la fecondazione artificiale  proprio grazie a Juju e a una madre surrogata contattata in Ucraina, luogo che si rivelerà un nuovo teatro di guerra e aprirà scenari che non vogliamo svelare.

Tutti i personaggi si ritrovano a ballare al party per il fundraising di Jeanne nel 1990 dopo il crollo del muro, inconsapevoli dei reciproci destini, episodio che mescola il drammatico al comico (esilarante l’episodio in cui un giovane incredibilmente assomigliante a Lepage balla il Moonwalk).

L’ ultima carta è il cuori, è il momento dello svelamento: l’orfana Jeanne lasciata in convento nel 1945 non fu affatto abbandonata quale frutto di uno stupro: la figlia Juju, diventata psicologa in un centro contro i traumi della guerra, scoprirà dalle carte militari, che la nonna profondamente innamorata, diede alla luce una bambina ma morì di parto e che quel gesto di lasciare la neonata nella ruota del convento altro non fu che un atto di amore da parte della famiglia per darle un futuro che loro non le potevano garantire.

Mia, la figlia di Anna, la ricca e aristocratica donna ludopatica, abbandonerà l’arrogante marito per stare vicino alla madre e insieme a lei ritroverà Matthias, ricongiungendo così, definitivamente gli affetti perduti, allontanato lo spettro dell’ossessione del denaro e della dipendenza al gioco che aveva avvelenato la loro famiglia.

Certamente lo spettatore deve trovare la chiave di volta generale che fa funzionare l’intero castello di carte senza distrarsi un attimo, perché i nessi che sembrano a prima vista casuali, sono fondamentali per il proseguo della trama. Tra realismo e atmosfera di sogno, tra scene comiche  e drammatiche, quello che enormemente appassiona nello svolgimento dello spettacolo è anche la presenza del linguaggio cinematografico, più volte sperimentato da Lepage in scena: il taglio non lineare delle storie, per sospendere la continuità temporale, lasciando anche agire nello stesso quadro scenico personaggi appartenenti a storie diverse, senza però, che ci sia alcuna incongruenza narrativa.

Anche in questo spettacolo pochi oggetti dalla forte significazione simbolica (l’oggetto-risorsa) appaiono e scompaiono a vista, mossi su binari dai tecnici e dagli attori stessi  e si trasformano in un attimo in quello che la scena ha necessità di narrare: da ambulatorio medico a camera di hotel, da casinò a interno di un convento, da cella a defilé a caserma militare; la scena trasformista di Lepage si avvale anche della suggestione video proveniente  dai quattro monitor che determinano ambientazioni e identificano inequivocabilmente i personaggi. Gli schermi raddoppiano anche la visione per il pubblico, dando diversi punti di vista: piccole telecamere in scena, infatti, riprendono live alcuni momenti come il gioco delle carte al casinò, le videocall via Zoom dei personaggi, i ciak sul set francese in un caffè parigino.

Nello spettacolo di Lepage gli uomini affrontano il loro inferno in vita (la carta del diavolo dei tarocchi che compare in scena) quando inaspettatamente a tutti loro si apre una possibilità di redenzione. A loro giocare la carta giusta.

Regia Robert Lepage

Scene: Robert Lepage / Ulla Willis

Costumi: Vanessa Sampaio Borgmann

Video: Félix Fradet-Faguy

Suono: Stefan Pinkernell

Drammaturgia: Nils Haarmann

Luci: Erich Schneider

Con: Damir Avdic, Stephanie Eidt, Christoph Gawenda, Magdalena Lermer, Bastian Reiber, Stefan Stern, Alina Vimbai Strähler

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