Recensioni, Teatro, Teatrorecensione — 07/08/2021 at 10:40

Ripartire in “In-equilibrio” per dare ancora continuità al futuro di Castiglioncello-Rosignano

di
Share

RUMOR(S)CENA – CASTIGLIONCELLO – ROSIGNANO M. – Ritornare in “In-equilibrio” dopo un lungo instabile tempo sospeso, in cui tutti ci siamo ritrovati rinunciando a tutte le nostre certezze – convenienze (e forse) inconvenienze acquisite: ogni riferimento è puramente casuale ma un’opera lirica di Gaetano Doninzetti: “Le convenienze ed inconvenienze teatrali”, la cui trama potrebbe servire come ispirazione per indagare il presente storico culturale – teatrale ma non solo. Ritornare in-equilibrio per ridare senso a quello che facciamo nelle nostre vite, professionali, umane, pubbliche e private da semplici cittadini e/o artisti, dove il risultato non cambia, anche per il teatro: funzione indispensabile quanto complementare a tutto quello che lo circonda dentro e fuori. Rispetto ad un’alterità (?) a quello che comunemente viene considerato tradizionale. L’interrogativo è d’obbligo ma è pur vero che lo spettacolo dal vivo ha un suo senso se agito in presenza e con la partecipazione attiva di chi lo osserva e lo indaga, con lo sguardo attento nell’offrire una sua riflessione. Lo esigono le convenienze teatrali e un secolare reciproco rito di scambio. Incontriamo Angela Fumarola e Fabio Masi, direttori artistici di Armunia che si svolge tra Castello Pasquini (la sede storica) a Castiglioncello e Rosignano Marittimo, in una lunga conversazione per raccogliere un bilancio del Festival nell’ottica di un lavoro pregresso di attesa e ripartenza, alternato da decisioni politiche e sanitarie causa emergenza da pandemia.

Angela Fumarola codirettrice di Inequilibrio

«Nel momento in cui ci hanno detto che saremmo potuti tornare a Castiglioncello a Castello Pasquini dove sono le nostre radici, non abbiamo avuto nessun dubbio e con maggior fiducia ci siamo affidati al sentimento, l’unico spirito che guida questo Festival.  La vita del progetto ha adesso un’estensione territoriale che va da Rosignano Marittimo a Castiglioncello e per questo ci siamo interrogati molto su come connettere le due nature attraverso le scelte artistiche e come muoverci tra l’incompiuto del 2020 e i desideri del 2021. Così  è partito un lavoro lento e meticoloso realizzato in tempo pandemico insieme agli artisti ospitati in residenza a Rosignano Marittimo, ai quali abbiamo restituito tutto il tempo prezioso e necessario alla loro ricerca, in un’ottica allargata. Grazie a loro abbiamo consolidato le relazioni che si erano interrotte dopo il primo lockdown e aumentato la fiducia con le persone del luogo, abbiamo percepito la fertilità di questo tempo che ci ha resi consapevoli dell’immenso valore che il Festival può avere adesso che si dipana tra il mare e la collina, tra un paese e un raffinato luogo di villeggiatura».

Da Castiglioncello a Rosignano, non un semplice cambio di palcoscenico ma un trasferimento complesso anche per le sue implicazioni storiche di un festival nato e cresciuto in un preciso contesto territoriale geografico e sociale. Come avete reagito?

«Lo spostamento da Castiglioncello a Rosignano Marittimo all’inizio ci ha procurato un senso di spaesamento, era cambiato l’immaginario, la poetica di un luogo e a questo spaesamento nel momento in cui è partita la pandemia, è seguito lo smarrimento per la conseguente interruzione dell’intera attività fino a giugno 2020. In realtà quel tempo sospeso ha generato un’accelerazione organizzativa, riprogrammare l’intero sistema di pensiero dopo 24 anni trascorsi a Castiglioncello, – spiega Angela Fumarola – non è stato semplice, inoltre farci accogliere dai cittadini di Rosignano Marittimo in pieno lockdown e tessere relazioni sembrava utopico. Abbiamo intuito però che c’era una connessione forte e intima tra cultura e natura e da qui siamo partiti. Abbiamo immaginato un progetto visionario legato profondamente al verde dei boschi, alla potenza delle riserve naturali, alle strade in salita, alla natura architettonica del luogo, alle storie, ai saperi e al mare. Abbiamo immaginando un festival che fosse il risultato dell’unione amorosa tra natura e cultura e così, sempre grazie agi artisti e alla loro capacità di essere nelle cose, pur senza avere Castello Pasquini, abbiamo inventato lo scorso anno Festival unico e irripetibile che ha abitato la natura selvatica della collina di Rosignano Marittimo grazie alle parole e ai corpi di quattro autori. Per ricominciare dovevamo partire dalla natura, dall’unico polmone che la pandemia aveva rivitalizzato».

Un luogo abitato da Roberto Latini, dalla Compagnia Oyes, Antonella Questua, Francesca Sarteanesi, I Sacchi di Sabbia, Abbondanza Bertoni e Maurizio Lupinelli, Chiara Bersani sono alcuni degli artisti che si sono avvicendati durante il festival per creare e poi andare in scena ma anche vivere e condividere un progetto. Il teatro però dopo la pandemia ha il dovere di ripensarsi radicalmente e capire come affrontare il tempo che verrà

«C’è bisogno di un’indisciplinata sobrietà che non dia spazio all’approssimazione. Abbiamo scoperto il valore del tempo che è un alleato e del coraggio delle scelte. Inequilibrio è figlio di un pensiero è un processo in costruzione. In epoca post pandemia è stato difficile di trovare una tematica precisa quanto, invece, una miriade di spunti possibili. La scelta è andata verso una sinfonia armonica dove più temi hanno avuto dimora, dal sociale al corpo politico, dalla solitudine al vuoto d’amore. Gli artisti che citavi si sono adattati ai luoghi durante la ricerca e i luoghi di contro, si sono adattati all’arte: dai parchi, allo spazio Nardini diventato teatro, dalle antiche corti, alle stanze del castello Pasquini. Le architetture stesse sono entrate nell’arte del dialogo, sperimentando di volta in volta la capacità di convivenza tra persone, progetti ed esperienze assai diverse. Siamo convinti che la funzione di Armunia e del Festival debba compiersi dentro un rapporto ravvicinato, fitto, costante, corpo a corpo com’era il sottotitolo di Inequilibrio 2021, tra artisti e persone. Un corpo a corpo necessario a sviluppare temi nuovi oppure eterni. Quest’anno è stato evidente che il contesto e l’arte si sono trovati in armonia durante il Festival  e questa sinergia è stata percepita positivamente da tutti, forse la strada è questa, un lento percorso che mai sarà la facile  somma di spettacoli».

A proposito di sogni, una delle presenze più significative del Festival è stata quella di Roberto Latini che ha presentato in anteprima assoluta Venere e Adone (“siamo della stessa mancanza di cui son fatti i sogni”) in cui ha permesso al pubblico di entrare in una sorta di viaggio onirico e capace di catturare emotivamente i sensi. La sua presenza in scena emanava rimandi continui a mondi astratti e perduti, evocati, pensieri in cui tutto si ricomponeva nella cornice scenografica. In tempo di pandemia l’attore spiega così la sua scelta: «In uscita da questo tempo immobile, mi piace riferirmi allo stesso argomento che scelse Shakespeare quando i teatri a Londra nel 1593 furono chiusi per la peste: Venere e Adone.

L’amore terrestre e quello divino nel disarmo di un destino ineluttabile….. ». Appare come un Arcangelo Gabriele con delle ali che si estendono e si dilatano nello spazio, si fa presenza magnetica nell’incedere lento e meditativo, mira la freccia con l’arco e il viso bendato, ci costringe a sentirci tutti indifesi, spogliati delle nostre sovrastrutture mentali: «Voglio smettere lo spettacolo, o la proposta che gli farebbe il verso, a favore di un materiale in movimento, incessante, fluido. Provare ad aprire al pubblico l’impreparazione del processo creativo, non alcuna pretesa di prodotto finito. Immagino percorsi senza tappe, oppure immagini senza continuità. Di versi dispersi. La scena suggerisce la creazione, eppure non l’afferra, lasciandosi ciclicamente contemplare o collocare altrove».

Nello sguardo di chi assiste c’è la consapevolezza di lasciarsi andare trasportati da un flusso inarrestabile, ipnotico, sussurrato quanto meditativo. Lo declama con il volto reclinato verso il basso come in una sorta di rigenerazione dell’identità dell’anima. Un’immagine traslata da antichi rimandi storiografici e pittorici e lui stesso lo dice quando scrive i celebri artisti come Tiziano, Rubens, Canova, Carracci e Ovidio, e lo stesso drammaturgo inglese, allineati nella sua ricerca performativa, e capaci di aver reso immortale il mito di Venere e Adone grazie al contributo dell’arte che prende forma nelle opere pittoriche. Il tempo dello sguardo davanti ad un quadro con la sospensione del giudizio è una delle esperienze che tutti possiamo fare dinnanzi ad un capolavoro di uno di questi maestri: in qualche modo è possibile pensare ad un parallelismo ideale con la presenza scenica di Roberto Latini, iconica presenza vivente: «In tutti, una sospensione, un respiro-fotogramma, solo, fermato, definito, come a impedire che il racconto si possa compiere nel finale che già sappiamo. È forse la speranza che si possa vincere il destino, dando all’Arte il compito di sfidare il tempo e trattenerlo. Sospenderci nella tenerezza.»

La sospensione è necessaria, preziosa e indispensabile in un momento storico come quello che stiamo vivendo e connaturato da sofferenza e dolore, preoccupazione e rassegnazione. Ma è anche doveroso reagire e alimentare speranza nella vita che va avanti anche se «Venere e Adone è la storia di ferite mortali, di baci sconfitti che non sanno, non riescono a farsi corazza, difesa. Anche Amore non può nulla. Anche Amore è incapace; è sfinito, è logoro, è vecchio. Sconfitto. Cadendo, comunque, fa un volo infinito». Infinito come il tempo trascorso a teatro . E rimpianto subito dopo esserne usciti.

Il tempo della ripartenza è la costante per chi ha dovuto attendere: gli artisti e i lavoratori del comparto dello spettacolo sono tra le professioni (insieme a tante altre essenziali e non certamente secondarie) che hanno subito un danno economico notevole e l’impossibilità di lavorare in presenza del pubblico. Anche per Armunia e chi dirige Inequilibrio.

Fabio Masi cosa ha comportato riorganizzare il festival dopo un lungo tempo di sospensione?

«Un percorso ad ostacoli dettato da più fattori. Siamo dovuti ripartire tre anni, prima della pandemia, a causa dei lavori a Castello Pasquini quando ancora c’era la vecchia amministrazione comunale di Rosignano, dove ci dissero che non saremmo più tornati ma questo in realtà non è avvenuto, nell’ipotesi di progetto alternativo, diverso, rispetto ad Armunia. Nel 2019 quando ci trasferimmo il nostro pensiero era quello di tornare a Castglioncello. Ci siamo messi in moto subito per non perdere i contenuti fondamentali che il progetto doveva avere al di là del luogo, come il castello. Avendo una storia locale non mi trovava d’accordo di snaturare la nostra sede storica dalla sua funzione di centro di produzione e creazione in cui si sono susseguite le residenze artistiche. Parlo degli anni ‘70 quando fu acquistato e solo dopo tanti anni fu in grado di raggiugere un’identità precisa. Sarebbe stato un peccato che si perdesse la sua origine. Insieme ad Angela Fumarola nel 2014, ho assunto la responsabilità artistica, e per noi era fondamentale non perdere l’identità originale che ha caratterizzato il Festival fin dall’inizio».

Identità diverse: Castiglioncello e Rosignano Marittimo, il primo a vocazione turistica, il secondo più defilato meno glamour, sito sulle colline con un centro storico suggestivo e un museo che racconta la civiltà etrusca che qui dominava. Sulla costa il mare e un turismo che un tempo richiamava ospiti illustri e star del cinema. La suddivisione tra i due luoghi per portare gli spettacoli ha offerto la possibilità di assistere a differenti palcoscenici, distanti tra di loro, alcuni a Castello Pasquini nell’anfiteatro, altri al Teatro Nardini e Teatro Solvey, e nel caso di 7 Contro Tebe della Compagnia I Sacchi di Sabbia nella corte del Vescovo del castello di Rosignano Marittimo. Lo stesso spettacolo, visto due volte, ma in ambienti diversi, permette delle prospettive differenti nello sguardo, nella ricezione stessa del lavoro complessivo, là dove possono scaturire delle variabili indipendenti dalla volontà registica.

Come è accaduto nell’assistere alla prima nazionale e poi ad una replica della nuova opera firmata da Massimiliano Civica, una coproduzione Compagnia Lombardi-Tiezzi – I Sacchi di Sabbia. Un fondale e quinte rigorosamente nere per un allestimento dove non è necessario disporre di una scenografia per ambientare la tragedia di Eschilo ascritta al ciclo tebano. Terza parte della trilogia di cui fa parte e completa le altre due che si legano tra di loro e sviluppano un’unica storia. Un testo arcaico e dei più antichi che sia stato possibile conservare (la prima e la seconda parte Laio ed Edipo sono andate perdute) scelto da questo gruppo ormai specializzato nell’affrontare in chiave comica i classici greci della drammaturgia universale. Civica ha già diretto I Sacchi di Sabbia (I Dialoghi degli dèi da Luciano di Samosata e l’Andromaca di Euripide) e si riconferma un regista capace di far esprimere la meglio le caratteristiche attoriali di Gabriele Carli, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Enzo Iliano. Un uso intelligente e raffinato dei registri comici dai tempi teatrali sincronici nell’assemblare la trama originale con continue incursioni estemporanee, dove appare la tragedia sullo sfondo, le sue epiche vicende catapultate dentro e fuori dalla realtà del nostro vivere quotidiano, a tal punto che nella corte del Vescovo si palesa un gatto baldanzoso, la cui presenza in scena viene accolta con ironia da parte di Giovanni Guerrieri, improvvisando un fuori scena di pura esilarante comicità lamentandosi di non averlo potuto avere nel Sandokan (uno tra i più riusciti lavori di questa eclettica Compagnia), tanto che Giulia Gallo poi provvede a sfrattarlo dalla scena con un gesto eloquente. Ma lui si gira e non si capacita che abbiano invaso “casa sua” i bravissimi Gabriele Carli ed Enzo Iliano (travestiti da donne in nero) che dialogano, protestano, subiscono, si lamentano fino a piagnucolare come delle prefiche improbabili ad un funerale: l’uno/a dall’accento toscano, l’altro/a in napoletano.

Non sono soddisfatti/e dei ruoli che Eschilo ha assegnato loro e chiedono perfino di fare il “musical”. Giulia Gallo è donna di rigore, disciplina, severissima con il drammaturgo (e voce narrante della tragedia), alias Giovanni Guerrieri che pare un prete di campagna, spaesato e confuso, in balia di eventi di cui è lui stesso è l’autore. Il pubblico già ben predisposto accoglie con vivo successo, tra citazioni storiche e guizzi di pura “libertà” drammaturgica, con l’uso della parodia, sagace ironia, comicità surreale e metafisica. Salvaguardando il portato drammaturgico- storico e culturale, 7 contro Tebe andrebbe fatto vedere agli studenti dei licei, in cui i Sacchi di Sabbia riescono a racontare Edipo la cui storia narra di avere due figli gemelli Etocle e Polinice, i quali si accordano per defenestrare il padre e regnare a turno. Capita però che se tradisci poi a tua volta vieni tradito ed Etocle fa cacciare dalla città il fratello per tenersi tutto fa da padrone. Polinice si allea con il Re degli Argivi con l’intento di vendicarsi di Tebe e del torto subito. Da qui in poi la tragedia racconta di un assedio e un esercito intento a entrare ma ci sono sette porte intorno alla città: presidiate e difese da un guerriero e guardiano per nulla intimorito e capace di tutto per sbarrare il passo a chiunque voglia fare un passo di più. Una miscela sapiente e colta, mai a rischio di cadere nel banale. Eschilo non lo avrebbe permesso…e il successo della rappresentazione è garantito. Un teatro capace di attraversare un classico della drammaturgia greca ma con la poetica che caratterizza da sempre I Sacchi di Sabbia.

La scelta di portare 7 contro Tebe anche a Rosignano Marittimo non poteva che essere il proseguo di un dialogo intessuto da Armunia con il territorio e la sua cittadinanza e coinvolgere lo spettatore senza farne richiesta esplicita. I toscani sono in grado di dimostrarlo: come ha fatto il sacrestano della chiesa antica del borgo apparso alla finestra di una casa durante la recita per commentare iroinicamente a voce alta. Teatro nel teatro come accadeva un tempo nelle rappresentazioni popolari di cui abbiamo perso memoria e forse ne avremmo ancora bisogno.

«Costruire con Rosignano Marittimo e il suo borgo un’identità diversa da quella di Castiglioncello, perché sono due luoghi che presentano caratteristiche differenti. Per questo abbiamo ideato dei laboratori – ci spiega ancora Fabio Masi nel trarre un bilancio a fine festival – e dei seminari. Purtroppo ci siamo visti bloccare sul nascere il nostro percorso di radicamento (causa pandemia, ndr) capace di far nascere una nuova disseminazione ma questo non ha fermato il nostro pensiero e abbiamo continuato a riunirci e a modificare più volte la programmazione del festival fino ad arrivare al mese di luglio del 2020 con la presenza del pubblico anche a Castello Pasquini.

Il più del lavoro lo abbiamo fatto con gli artisti a Rosignano per ricostruire un tessuto sociale insieme e attivare un confronto con l’amministrazione comunale e la Fondazione. Per farlo ci è voluto del tempo per far capire agli amministratori che il core – business è a Castiglioncello nella sua sede storica ma questo non significa non poter far altro in luoghi diversi. Con Armunia si è creato un equilibrio di bilancio che permette la costruzione di nuove possibilità e il rinnovo della convenzione per dieci anni nel poter usufruire del castello è un risultato positivo. Questo ci pone in una condizione di sicurezza e anche la convenzione con il Teatro Nardini di cinque anni è un atto politico ed è stato fatto un investimento importante per questo teatro di trentamila euro per adeguarlo e renderlo funzionale. C’è stata data una nuova foresteria a Rosignano, la Sala Danesin e questo ci permette di adeguare nuovi contenuti a seconda degli spazi e dei luoghi oltre che continuare a sviluppare le attività a Castiglioncello. Il rapporto di interlocuzione con l’amministrazione ci ha permesso di ripartire con maggiore positività ed efficacia. Il Festival è tornato al castello senza trascurare Rosignano, avendo a disposizione sale più funzionali per gli artisti. Spazi chiusi, incursioni urbane, progetti su misura tra interni ed esterni. Un ritorno alle belle abitudini dopo lo sconcerto che ci aveva colpito dovendo trasferirci.

Questo mi ha costretto a ripensare tutto, io poi che sono di questo territorio ho dovuto anche rivedere il rapporto professionale con Angela, anche per mantenere il rapporto con gli artisti e i critici e mantenere il Castello come luogo centrale del Festival, altrimenti sarebbe stato un tradimento culturale rispetto ad un passato storico importante e prezioso».

Il presente di come è andato il Festival prosegue…..

Visti il 30 e 31 giugno 2021 al Teatro Nardini , anfiteatro di Castello Pasquini e Corte del Vescovo – Castiglioncello – Rosignano Marittimo

Share
Tags

Comments are closed.