ANDRIA – Andria è una città unica. Lo percepisci fra i vicoli del centro storico, interamente bianco di pietra di Trani, azzuffato, labirintico, inebriante, tra saliscendi, archi, scalinate, corridoi, con i campanili di San Domenico e San Francesco a fare da bussola ai viandanti storditi dalla fascinazione. Lo avverti attraversando le strade pullulanti di “Sud”, con le donne sugli usci a raccontarsi pettegolezzi, i ragazzi sui muretti a giocare a carte, gli sfottò, i capannelli, gli sguardi penetranti e gravidi. Te ne fai una ragione conoscendone la storia e i personaggi a cui ha dato natali. Ne senti il mistero – il senso di impercettibilità del non chiaro, del non immediatamente svelato – scorgendo appena dalla strada, fra i colori unici della terra pedemurgiana, i contorni di Castel del Monte. Trovarsi davanti il maniero, visitarlo, è un esperienza indimenticabile. Stupefacente.
Il teatro vive e fa vivere i luoghi. Trasformandoli, mutandoli in divenire, riproducendoli. Fa raccogliere una comunità mostrando, a uomini e donne, il proprio destino, le intimità, le frivolezze, le avventure, le storie, le guerre, gli amori, le morti. Mostrando loro a se stessi. Sussurrando impercettibilmente o scuotendo impetuosamente anima e coscienza.
Diversi i luoghi a location del festival. Dal più tradizionale degli spazi all’anticonvenzionalità dell’urbano adibito a scenico. Tre i direttori artistici per altrettante sezioni: Riccardo Carbutti – tra i fondatori dello storico appuntamento giunto alla diciottesima edizione – per “Internazionale e nuove tecnologie”, Antonella Papeo per “Nuova drammaturgia”, Mario De Vivo per “Off”. Teatro, performativo/arte contemporanea, musica. Un trittico vincente. Uno staff efficace ed efficiente completa l’opera.
“Trasformazioni urbane” recita lo slogan cha campeggia sui manifesti delle giornate di festival. Appuntamenti da mattina a notte tarda corollati da eventi collaterali alle manifestazioni di punta.
Il cartellone del Festival dei due mondi di Andria è tra i più attesi dell’estate festivaliera. Passa da qui il contemporaneo che caratterizzerà le stagioni invernali, passano i nuovi linguaggi in cerca di consenso, passa il meglio della nuova e ‘vecchia’ maniera di fare teatro. Si sperimenta, si conferma, si ribadisce: la città diventa un intero palcoscenico senza sipario.