RUMORS(C)ENA – TEATRO DI RIFREDI – FIRENZE – C’è un attimo in cui Nicola Tesla torna ad essere l’attore che lo interpreta. Accade durante “Il Funambolo della luce“, quando Ciro Masella, autore dello spettacolo che alla figura del grande scienziato ruota attorno, interrompe all’improvviso la lettura scenica di uno degli scritti di Tesla, afferra il microfono dall’asta che sta davanti al leggio e dopo uno schioccante “Cioè”, si rivolge direttamente al pubblico parlando del suo alter ego in terza persona. “Vedete, lui aveva intuito che…”. Questo è il Funambolo della Luce: il prodotto dell’incontro tra un attore e un personaggio immenso, dentro al quale l’attore si è ritrovato a cadere, testa e piedi. Nella sua storia, nella sua visione della scienza, Masella deve aver riconosciuto non soltanto qualcosa che gli appartiene, ma uno sguardo sul mondo che vale la pena di esser raccontato. Perché lo sguardo di quell’uomo di inizio novecento si posava sul mondo che sarebbe venuto dopo di lui, il nostro mondo.
I momenti più felici de “Il Funambolo della luce”, prodotto da Uthopia Teatro in collaborazione con Pupi e Fresedde, nella sua prima nazionale al Teatro di Rifredi, sono appunto quelli in cui Ciro Masella riesce a restituirci l’idea di quanto il pensiero di Tesla, tacciato dai suoi contemporanei di scarso pragmatismo, si sia invece dimostrato una chiave di volta nella scienza applicata. L’idea di occupare il palco con un pannello a prospettiva angolare, dove vedremo vivificarsi lo scontro dialettico tra Tesla-Masella, da un lato, e personaggi come Edison o l’imprenditore John P. Morgan, dall’altro, funziona allo scopo e, oltre a questo, rende possibili i giochi visivi tra le luci di Fabio Massimo Sunzini, le video proiezioni realizzate da LindoraFilm e la danza performativa di Isabella Giustina, pur in un appeal abbastanza cautelato.
Figura simboleggiante la potenza femminea dell’energia, del pianeta Terra e della scienza di Tesla, Isabella Giustina esegue coreografie corali assieme a proiezioni di se stessa, che nella loro essenzialità sono molto belle, fortemente simboliche proprio in virtù della pervicacia nel proporre poche figure, ma ben realizzate. L’aspetto audio video confezionato da Uthopia Teatro vede Ciro Masella impegnato nella gestione della voce microfonata che, trattandosi comunque di voce e, appunto, di Masella risulta viva e allo stesso tempo in buon missaggio con i suoni di pre-produzione. Ne è esempio il modo in cui l’attore declama versi di Dante o di Goethe, fonte di ispirazione per Tesla, come se si trattasse di un’esibizione da concerto dal vivo, musica e parole, con l’approccio di un cantante indie. In questo contesto invece, un po’ sovratono, forse per una carenza di monitoraggio di ritorno on stage, gli interventi di Olmo De Martino, che in ogni caso aggiusta il tiro in corso d’opera e sorprende con la sua fisicità e presenza per l’adeguatezza nel ruolo di tutti gli altri personaggi, gli antagonisti di Tesla.
In particolare, De Martino è un credibilissimo Thomas Edison, col vigore rampante dello yankee che non si perde in sottigliezze filosofiche. In generale la veste audio dello spettacolo è ben fatta e a prescindere dalle soluzioni accattivanti del suo lato visual, chiudendo gli occhi si ha l’impressione di ascoltare un podcast di notevole fattura, cosa da non sottovalutare nella spendibilità multimediale del prodotto. Lo spettacolo è da leggersi naturalmente nel suo afflato story teller, divulgativo, di primo contatto ispirato, ma senz’altro didattico, con la prospettiva scientifico umanistica di Tesla. E appare tanto più valido quanto più adeguati saranno i contesti in cui verrà proposto e dove avrà quindi occasione di essere limato. La passione di Masella per l’argomento è palpabile, ma vuoi per senso di responsabilità, vuoi per dovere di completezza, la mole di suggestioni e parole che sottopone allo spettatore è notevole, e tra tante cose rimangono un po’ sommersi alcuni perni concettuali e narrativi che lui stesso tiene a sottolineare: la chiarezza di Tesla nella necessità di un’ etica che oggi chiamiamo sostenibilità, l’accesso all’energia come alternativa naturale alla perversione dello sfruttamento delle risorse. La scienza e la poesia come occhi di uno stesso volto che guarda al futuro.
La divulgazione scientifica gode oggi di un rinnovato interesse da parte delle persone, con la complicità un po’ benedetta, un po’ malandrina dei nuovi mezzi di comunicazione e della loro interfaccia che pur non capace di grande approfondimento, con il suo incedere avanti e indietro sulla superficie delle cose è un gambero dal buon passo, capace di ricoprire grandi distanze. E con un po’ di sforzo, forse Nicola Tesla avrebbe in qualche modo apprezzato questo mondo che comunque comincia a mettere in discussione la validità di una conoscenza ultra specializzata a camere stagne, per la quale uno scienziato è uno scienziato, un caldaista è un caldaista e un attore si occupa delle passionate cose che tanto prudono agli attori. Certo, Tesla sarebbe stato più a suo agio nel trecento, con Dante o con Guglielmo d’Ockham. Ma quando si è dotati di una mente proiettata oltre il contingente, bisogna anche imparare ad accontentarsi.
Visto al Teatro di Rifredi il 5 novembre 2021