Un rito di passaggio è un rituale che segna il cambiamento di un essere umano da uno status socio-culturale ad un altro e i cambiamenti riguardano il ciclo della vita. Questi riti di passaggio creano i legami tra il singolo e il gruppo e permettono di strutturare la vita di ognuno secondo delle tappe definite, in grado di far provare la sensazione di tranquillità e benessere all’individuo in relazione con la sua temporaneità e la sua mortalità. Nascita, vita, matrimonio, morte e altri avvenimenti biologici sono riti gestiti socialmente e si esplicano attraverso il più delle volte in cerimonie o prove diverse. Riti in cui la donna spesso riveste un compito particolare quando lei stessa è protagonista. E sono delle donne artiste della scena teatrale contemporanea di una piccola fucina di idee vivace e dinamico qual’è lo Spazio 14 di Trento, ad aver pensato ad un progetto biennale dal titolo Riti di passaggio / This Is The Box, con l’intento di utilizzare molteplici linguaggi espressivi al fine di sondare il rapporto che sussiste tra l’individuo con le sue fasi della vita.
Il tempo che scorre inevitabile e fa invecchiare, l’età e le conseguenze sociali, culturali che ne derivano. Non potevano scegliere giorno più simbolico come quello della festa della donna, per presentare il secondo appuntamento del ciclo: Pass/Ages, ovvero il “rito di passaggio” che una donna affronta il giorno del trentacinquesimo compleanno, rito per nulla semplice da affrontare. Su di lei si affollano pensieri come nuvole passeggere spinte da un vento paragonabile all’inquietudine esistenziale nell’affrontare quei riti a cui nessuno può sottrarsi: la morte e la paura che ne consegue. La preoccupazione nel vedersi comparire le prime rughe dell’invecchiamento.
Lei è Silvia Furlan, attrice residente allo Spazio 14 con il compito di incarnare le fragilità emotive, delusioni, aspettative mancate, frustrazioni che appartengono all’universo femminile. Un susseguirsi di piccole scene divertenti (il registro ironico è quello scelto nella costruzione drammaturgica) caratterizzano il lavoro ideato e portato in scena da Elena Marino che ne firma la regia. Mette in atto dimostrazioni per dimostrare a se stessa il passaggio dalla tarda adolescenza alla maturità intesa come una specie di sfida o gara che dir si voglia. L’attrice è brava nel caratterizzare le nevrosi tipiche che l’assillano come la scena a dir poco esilarante quando prova a soffiare tutto di colpo le candele elettroniche sulla sua torta, a dimostrazione di possedere ancora il vigore fisico di una ragazza giovane. La scena si riempe di pupazzi di peluche, giochi per bambini colorati, tutto l’universo tipico dell’infanzia.
Uno sguardo sul passato per dire che è arrivato il tempo di guardare avanti? Non è cosi semplice per questa donna che si abbandona a riflessioni amare sulla condizione femminile spesso svilita e oltraggiata quando la bellezza e la giovinezza inizia a sfiorire. Il microfono fa da cassa d’amplificazione a si che tutto il mondo possa sentire. L’idea è quella di diffondere una sorta di critica sociale al malcostume che impera nella nostra era consumistica viziata da mode edonistiche, dove l’uomo viene “scartato” quando non serve più, non risulta più produttivo. Il risultato complessivo è la raffigurazione di una problematica esistenziale di una donna che deve fare i conti con se stessa e con il suo io mondo interiore. Elena Marino caratterizza bene il personaggio anche se una maggiore organicità al lavoro complessivo avrebbe giovato all’economia dello spettacolo che risulta gradevole nelle sue invenzioni ironiche e giocato su elementi divertenti.
Visto allo Spazio 14 di Trento il 10 marzo 2013