Teatro, Teatro recensione — 08/04/2025 at 19:23

Le due regine. Elizabeth & Mary in the box: il dolore del potere

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RUMOR(S)CENA – ROMA – Ragion di stato, solitudine, rancorosi ardori. Fanno scintille private e pubbliche in questo rutilante duello barocco, le due regine più famose della storia, grazie all’intelligente, spiritoso testo di Roberto Russo, che partito comico, vira in coda al poetico shakesperiano; e grazie alla scultorea sceneggiata alla De Simone che ne ricava Gianni De Feo, nella sua danza in crescendo di artefatti vocali virtuosistici, dark lui, floreale la Maria Stuarda di Bruno Petrosino, tra ingenui palpiti di cocciuto romanticismo erotico e malmostosa aggressività snob e adolescenziale. Un fiore reciso dalla violenza della storia? Puttana, ma soprattutto avventata, stupida, per la vera unica regina, statua gigante e dolente del necessario crudele pragmatismo – una Elisabetta-De Feo quasi metafisica nella postura alternatamente glaciale dolente beffarda. Eppure il dubbio la corrode, mentre si prepara all’ultimo round della loro lotta, qui teatralizzato come un incontro di box, sul ring della verità, con tanto di arbitro in voce off, che introduce, commenta, dirige, detta regole. Il dubbio o forse la amara consapevolezza del sacrificio che è la sua vita

Tu, la Primavera. Io, l’Inverno. Così ti piacerebbe essere ricordata!? Tu, a seconda dei casi, il fuoco della passione o la fiamma scoppiettante del camino che riscalda, oppure brucia. Io, invece, sono il picco nevoso, inospitale, che respinge. […] Scommetteresti sulla Misura dell’Amore che hai dato!?

Il titolo Le due regine. Elizabeth & Mary in the box,  del resto allude ad una soffocante duplice prigionia, la scatola del destino, che non permette evasioni. La scatola, non un vasto orizzonte. L’angustia dei privati rancori, sotto il piede soffocante della ragion di stato. Il popolo lo vuole, vuole la morte della cattolica, ma anche la ragion storica vuole che la figlia di Enrico ottavo, che tutto sacrificò al piacere del letto, in un culmine di maschilismo feroce, celebri la vendetta del femminile, ergendosi a statua sterile del potere, escludendo maschi e piacere.

“Avrei dovuto farmi intrappolare da un uomo e, soltanto perché riconosciuto dalla Legge, renderlo mio Padrone!?”

In questo anche la novità del testo di Russo, che ardisce ritornare sulle orme di molti, dalla Maria Stuarda di Schiller (1800), all’opera di Doninzetti (1835), al film del 1971, con Vanessa Redgrave e Glenda Jackson, fino alla Stuart di Dacia Maraini (1980). Russo, più che concentrarsi sulla tragedia d’orgoglio di Maria (non si decapita una regina), e sulla competizione per il potere, ne fa una cretina romantica, quasi una svampita floreale. Il confronto a questo punto si fa grottesco, e De Feo ben lo coglie nell’impostazione registica dei toni dei ritmi della postura. Non più due complottiste alla pari, due draghi del potere. Ma una professionista e una dilettante, che mischia sesso e amore, rimanendo al cocciuto sospiro del romanticismo, nonostante patisca lo stupro, le venga sottratto il figlio, e tutti intorno a lei cospirino e la manovrino. Rifiuta di rinnegare l’amore. Lamenta la crudeltà della cugina, Elisabetta, e le rinfaccia di aver tradito la cugina, Maria la sanguinaria. Le si contrappone come emblema di purezza e bontà, accusa Elisabetta di sterilità glaciale, e, irrisa su questo da lei, veste i panni della vittima mistica.

Se nel prologo domina lo scontro quasi scurrile, secondo un realismo sanguigno, oscillante tra Basile e Shakespeare – e la tenzone è tra sessuomane e zitella – man mano la lotta si sposta sull’opposizione amore/crudeltà, calore/gelo, spingendo Elisabetta ad elencare i dolori e le angherie patiti. Così entrerà in scena la pesatura dell’amore, con tanto di bilancia sul ring: amore personale contrapposto all’amore per il popolo. Vince Elisabetta. Morte a Maria. Ma ora che tutto è compiuto domina la mesta sorellanza, e De Feo chiude con un vampirismo mistico, dove, con in grembo una Maria accasciata seminuda morente, si china a baciarla. E dalle labbra sul pallido incarnato della vittima, languidamente arresa, cola sangue.

Nero, bianco rosso. Morte, innocenza, passione. Petrosino e De Feo danzano la box in avanscena, paralleli, recitando veloci le alterne ragioni. Poi roteano, scalciano, ondeggiano. Nei culmini cantano magistralmente dolenti canti rinascimentali. Un gong scandisce i round. Un valletto muto s’aggira, servo di scena icastico, in tunica bianca e maschera dorata (un efficace letizia Nicolais). Porge da bere, porge lo specchio dove a turno, guardandosi, si confrontano, sedute sui rispettivi troni. Le due regine spesso si alternano parallele. De Feo imprigionato in una maschera di bianca biacca, impiccato dall’alta gorgiera, chiuso nella rigidità di una rigida nera palandrana, rigido come il potere. Petrosino come un fiore da sfogliare, veste bianca, sopravveste rossa, corona floreale, sfruttando la sua magrezza e altezza, oscilla come un giunco, fiammeggia a braccia aperte, si posa a terra a capo chino, risorge e ondeggia di palpiti e sospiri, squittisce, urla dolente, aggredisce, si ripiega, vortica come un derviscio. E intorno, in controcanto rigido, scoppia elettrico, torbido, vellutato, in sinfonia di voci e pause, De Feo, come gatto irritato dalla preda, e che pur la pregusta.

In scena gli oggetti sapientemente minimali allestiti da Roberto Rinaldi: due troni, un gong. E, polifunzionale, una colonna. Prima ospita una sfera. Poi la bilancia per pesare l’amore. De Feo, che gestisce con maestria la sintesi, quando si incammina al tragico usa la sfera in modo amletico. Essere o non essere? E qui… Cedere il trono, o lottare perché prevalga la mia visione? La scelta è dolore, e lui rotea, e canta. Pietà per Maria? Poi però, di fronte alle stupide giustificazioni di Maria, “Ero giovane”, l’irritazione ironica fa pendere la bilancia verso la morte. Non senza prima tuttavia una lunga e sapientissima pausa, per misurare l’abisso tra pietà rabbia irritazione. “Povero agnellino innocente! Era giovane!” … (lunga pausa).. “Mettici una pietra sopra: il mio Popolo non vuole cattolici a regnare! De Feo, un maestro di quelle pause che fanno del teatro una forma fisica del pensiero, la cui gestualità emotiva è musica, cioè ritmo, arte delle pause.

E così, mentre questo tragico teatro dei pupi scivola verso la fine, dopo i molti applausi a scena aperta per le parti cantate, ecco avvicinarsi l’applauso finale, lungo ed entusiasta, mentre le luci calano sul bacio vampirico di un potere nostalgico della libertà dei sentimenti

Le due regine. Elizabeth & Mary in the box, di Roberto Russo.

Regia di Gianni De Feo. Con Gianni De Feo (Elisabeth I Tudor) e Bruno Petrosino (Mary Stuart), Letizia Nicolais (valletto), Jay Paul Bullard (voce) – Musiche originali di Sergio Colicchio – Costumi di Janni Altamura – Scene di Roberto Rinaldi. Produzione: Florian Metateatro.

Visto all’ Off/Off Theatre di Roma il 1 aprile 2025

In replica ad Imperia, Teatro dell’Albero il 12 aprile 2025

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