La loro casa è la terra che esala un odore acre e soffoca la gola. Sono giovani vite segregate in un recinto dove è difficile riscattarsi da una condizione di “Orfani”. Sono assoggettati al volere di un uomo, fasciato nel suo smoking nero, che incute timore e terrore. Seduto su un trono dispensa moniti severi agli astanti prostrati a terra, il loro ventre materno dalle sembianze di un antro oscuro e terrifico: “La nostra casa”. Dietro di loro si chiude un sipario come fosse una porta da cui è impossibile uscire. Una casa che non ha pareti e finestre ma solo un giaciglio dove ripararsi seminudi. L’humus primordiale che lentamente gli ha plasmati e condizionati per il volere supremo di chi detiene nelle sue mani un libro da cui emanano terrificanti parole. L’atmosfera è lugubre, ferale a tratti claustrofobica.
Maurizio Sguotti rappresenta sulla scena un “burattinaio” che regge i fili invisibili capaci di reggere le esistenze dei suoi “orfani/discepoli. Sceglie di raccontare una vicenda sospesa tra l’onirico di un immaginario collettivo e una forte propensione ad dare una lettura psicoanalitica derivante in primis dalla drammaturgia di Fiammetta Carena, in grado di consegnare agli attori, Alessandro Bacher, Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, il compito di sondare nei meandri più oscuri della relazione tra l’identità maschile e quella femminile. La terra è la base che accoglie e avvolge, copre e sporca, soffoca e cela segreti terribili dell’animo umano. Terra madre che fa dire al l’inquietante uomo nero: “In questo ventre gravido di metallo acuminato/ umida caverna che accoglie il nostro plasma e i nostri corpi imperfetti/ tesi al salto che simula il volo/denti gialli, seni cadenti, greggi pronte ad azzannare/ si accoppiano la madre con il figlio, la sorella con il fratello/una risata che fa rabbrividire/qui è la nostra casa, in questo ventre caldo, amico”.
Non c’è alternativa, sembra dirci“Orfani_la nostra casa”, primo titolo della Trilogia che comprende “Pater Familias_dentro le mura” e “Hi Mummt_frutto del ventre tuo”. La costrizione fisica e mentale di corpi sudati, vibranti ma sfiniti da una lotta incessante, è palpabile e visibile al pubblico disposto su due file. L’una di fronte all’altra su spartane panche di legno. Uomini e donne seduti per assistere ad una cerimonia quasi fosse un sacrificio pagano. La lotta per una sopravvivenza stessa della vita. Indispensabile per non soccombere al male imperante che fa di noi esseri umani, delle fragili creature in balia di demoni che si celano tra le pieghe di un’apparente normalità. Segreti inconfessabili, tormenti esistenziali, incontri carnali con la materia che li ha generati, e da cui si origina tutto per tornarci alla fine della tua presenza terrena. “Polvere sei e polvere ritornerai” recita un passo della Bibbia. I giovani attori si prestano ad una prova di fatica corporea a cui non si sottraggono, anzi, dando prova della loro maturità artistica acquisita nel corso dell’esperienza con il regista Sguotti fondatore di Kronoteatro. Orfani_la nostra casa risale a quattro anni fa e rivederlo al Teatro dell’Archivolto/Gustavo Modena di Genova, è un test per misurare anche la tenuta scenica e drammaturgica.
La loro è un’adesione totale ad un’idea in cui vige una realtà superficiale che aleggia e un’altra ben più celata e recondita in cui è possibile rifugiarsi. Se si entra in questa dimensione altra si viene catturati come innocenti insetti dalla tela del ragno. La dualità del maschile e del femminile in perenne contrapposizione è la lettura che Orfani intende svelare. La vita che nasce da un ventre materno è donna e la voce calda e tremolante di un’anziana irrompe sulla scena per cercare di riabbracciare i suoi figli ma è costretta a soccombere. Lei ha dato la vita ai suoi figli ma poi li ha ceduti al male e ora è troppo tardi per salvarli. Il maschile ha la meglio su questi uomini ed è lui che li porta all’esasperazione finale. Li sottomette e li rende schiavi e li fa urlare tutta la loro rabbia. Sono orfani di qualcosa che gli è stato privato per non dare nulla in cambio. Animali celati in cattività, un’arena dove combattere all’ultimo sangue per la loro stessa sopravvivenza. Sono destinati a nutrirsi di un odio alimentato da loro stessi, in una sorte di replicazione che sta a dire come la privazione della libertà, generi il male di cui loro sono le prime vittime a subirne le nefaste conseguenze.
C’è una sedimentazione stratificata che rimanda a miti ancestrali, alla stessa giustificazione dell’esistenza di un mondo diviso tra il bene e il male in questo lavoro. L’intento è quello di interrogarsi sulle profonde contraddizioni dell’animo umano in grado di procurarsi sofferenze indicibili senza motivo. Orfani è il grido disperato di un dolore da cui l’uomo sembra non potersi sottrarre per quanto ne sia anche attratto inspiegabilmente e irrimediabilmente.
Orfani_la nostra casa
di Fiammetta Carena
regia di Maurizio Sguotti
Con Alessandro Bacher, Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Maurizio Sguotti, Alex Nesti
scene e costumi di Francesca Marsella, luci e musiche di Enzo Monteverde
Visto al Teatro dell’Archivolto di Genova il 7 aprile 2013