Recensioni — 08/05/2021 at 08:49

Grounded atterra a Genova

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RUMOR(S)CENA – GENOVA – Teatro Nazionale di Genova. 2021: anno di celebrazioni in cui ricorre il 70esimo anniversario del Teatro Stabile di Genova, una delle sale ora intitolata a Ivo Chiesa. Nuove produzioni, manifestazioni site-specific, workshop, incontri, mostre ed un progetto speciale. Un ampio e diversificato Focus G8 della Cultura, per riflettere sui grandi temi della convivenza civile, delle relazioni internazionali e della politica culturale come fondamento della vita sociale: a 20 anni di distanza dal drammatico G8 di Genova.

ll primo passo di questa riapertura è stato compiuto il 30 aprile, con la presentazione di Grounded, inedita produzione del Teatro Nazionale di Genova, tratta dal testo del drammaturgo americano George Brant per la versione italiana di Monica Capuani e con la regia di David Livermore. Sul palco Linda Gennari, attrice poco più che quarantenne, la quale durante la sua carriera ha attraversato il teatro classico e quello contemporaneo, con divagazioni cinematografiche e televisive. Questo testo è stato rappresentato in diverse parti del mondo a seguito, probabilmente, di alcuni titolati riconoscimenti quali il Fringe First Award al Fringe Festival di Edimburgo nel 2013. La sua versione più glamour fu affidata all’interpretazione di Anne Hathaway avvenuta in un teatro off-Broadway di N.Y. City. Linda Gennari si presenta in canottiera e leggings, a piedi nudi cammina avanti e indietro, agitata, sulla piattaforma high-tech con disegni a ragnatela, che si muove e si inclina sotto di lei. Veste i panni di una pilota arrogante, una Top gun, che fa piovere bombe sui territori di guerra.

foto di Federico Pitto

È l’inizio di un lungo monologo. Fa piovere bombe e lei ne va fiera. Più le sue parole schizzano fuori come fossero proiettili, più emerge un ritratto sfumato ed inquietante di una donna che, prestando servizio nella Air Force One statunitense, vede lentamente divorata la sua psiche seppur così ben corazzata. The Pilot, una pilota di caccia le cui ali vengono tagliate quando una gravidanza non pianificata mette in pausa la sua carriera. Le piace la nuova direzione che prende la su vita familiare, ma dopo tre anni, con l’incoraggiamento del marito, è pronta a tornare al suo blu – il cielo dove non sente limiti. “Sono nata per questo”, dice parlando della maternità, “ma sono nata anche per quello”, dice del cielo.

foto di Federico Pitto

Nel breve tempo in cui è stata via, però, la guerra è cambiata. Il deserto è cambiato come lei stessa. E non è pronta ad abbracciare un cambiamento che la porti fuori dal cielo, ma in una roulotte ad alta sicurezza, nel caldo deserto del Nevada, dove farà parte di una squadra che pilota aerei senza piloti. La sua tuta da volo – che si è guadagnata con “sudore, cervello e budella” – la definisce nell’aria, ma quando è a terra, l’adrenalina repressa, la frustrazione e la tuta da volo la seguono a casa. Desidera ardentemente rifugio tra le braccia di suo marito e di sua figlia, ma le immagini grigie che guarda per 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, guidano una paura inquietante nelle altre restanti ore della sua giornata. Il suo dolore pulsa attraverso alti e bassi che si schiantano in lampi di chiarezza e confusione che confondono la sua realtà, azzerando una conclusione sconvolgente. Il gioco offre un climax feroce, mentre lo stato d’animo della pilota si dipana. La minaccia del pericolo per se stessa è certamente svanita, la responsabilità di fare scelte di vita o di morte mentre fa la guerra da una distanza virtuale, inizia a turbarla e ad innervosirla. Per la prima volta iniziamo a sentire accenni di dubbio e ansia nella sua voce, fino a quel momento fiduciosa.

foto di Federico Pitto

Ci si si aspettava a quel punto di intravedere una certa fragilità del personaggio, una sorta di tristezza nascosta: ma nulla di tutto questo arriva. È un essere umano volontariamente ambizioso ed entusiasta e con una serie di priorità e valori completamente diversi da quelli dell’umano anche più che comune. Lei non si scusa in alcun modo. Il suo linguaggio è tagliente e mascolino, sempre privo di emozioni. Con il video ad alta definizione che fornisce un’immagine precisa del caos che avviene sulla terra, può vedere la cruda realtà delle esplosioni della bomba, mentre le nocche delle sue dita diventano sempre più bianche e parti di corpi volano in alto tra i rottami. E tutto prende lo stesso colore grigio della sabbia.

La scrittura di Brant, ricalcata dalla regia, rimane in gran parte concentrata sull’esporre le fessure che si aprono nella fiducia e nel senso dell’onore dell’eroina. La regia e l’interpretazione consentono alle parole di rimanere in prima linea in Grounded, anche perché non vi sono particolari di altra natura, come ad esempio l’inserimento di effetti scenici, che avrebbero potuto forse tenere un poco più viva ed alta l’attenzione. Qualcosa che aiutasse la protagonista a meglio delineare la graduale disintegrazione dell’equilibrio del suo personaggio. Anche le scelte musicali non seguono i tumulti e gli schizzi interiori. Dopo 105 minuti di religioso silenzio sulla poltrona di velluto del teatro, ancora nessun attacco emotivo. Questa performance si concentra sul dramma personale e sulla lotta psicologica di una donna nel mondo disumanizzante della guerra, mentre riflette poco o niente sulle sue ramificazioni politiche e morali. E porta ad un certo distacco dall’esperienza che viene rappresentata. A parte l’energia fisica e mentale della protagonista meritatamente da medaglia.

Visto al Teatro Ivo Chiesa di Genova il 30 aprile 2021

Repliche fino al 9 maggio

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