PRATO (Firenze) – Ventisette camice bianche creano un effetto labirintico e simmetrico all’interno dell’ultima sala espositiva della mostra di moda La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferré, realizzata dalla Fondazione Museo del Tessuto di Prato e dalla Fondazione Gianfranco Ferré. Nella storia della moda la camicia è stata oggetto di numerose interpretazioni, principalmente al maschile, dal momento che l’antenato della camicia, il camis, era poco più di una sottoveste dal taglio essenziale. Una su tutte è stata Coco Chanel ad avere rivoluzionato lo stile di abbigliamento, introducendo la moda della camicia maschile sopra la gonna dritta, poi è stato il momento della camicia essenziale di Patti Smith sulla copertina dell’album Horses e del camicione coprente di Mia Farrow (Uma Thurman) in Pulp Fiction.
Allo stesso modo anche Gianfranco Ferré è stato un rivoluzionario e la camicia bianca rappresenta il segno del suo stile: “Un filo rosso che si snoda lungo tutto il suo percorso creativo e che dichiara una costante ricerca di novità ed un non meno costante amore per la tradizione”. Nato nel 1944 a Legnano e iscritto alla facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, Ferré inizia quasi per gioco quella che diventerà la sua carriera artistica, realizzando piccole collezioni di bijoux e accessori che regala alle amiche universitarie e che vengono notati per caso da alcune riviste di settore. Dopo il suo primo viaggio in India nel 1973, fondamentale per tutto il suo percorso, Ferré diventa consulente di moda per linee di accessori, costumi da bagno e maglieria fino al 1978, anno in cui realizza la sua prima sfilata di prêt – à – porter femminile. Docente di design dell’abito nella scuola post – universitaria della Domus Academy, diventa dal 1989 direttore artistico per Christian Dior.
Il percorso espositivo della mostra si articola attraverso tre sale. Oltre agli schizzi e ai disegni tecnici di progettazione, le ventisette camice realizzate tra il 1982 e il 2006 sono oggetto di un’indagine radiografica in profondità, realizzata con sistema digitale grazie all’Opificio delle pietre dure. Questa mappatura consente non solo di fotografare la struttura “architettonica” del capo ma anche la complessità e lo stato attuale di degrado dei materiali.
Grazie ad un effetto di luce che ne mette in risalto la lucentezza dei materiali (raso, georgette, organza, chiffon, popeline o taffetà), nell’ultima sala le ventisette camice raccontano l’idea – prima del progetto – di quello che è stato definito “architetto della moda”.
Architetto perché la camicia diventa oggetto di un processo di destrutturazione e ricostruzione raffinata. Privata di elementi essenziali come la schiena, il collo e le maniche, la camicia viene poi impreziosita di accessori come ruches, volants e pizzi. Talvolta simile ad una nuvola, perché capace di lievitare con il movimento, talvolta svettante come una corolla floreale. “Letta con glamour e poesia, con libertà e slancio, la compassata e quasi immutabile camicia bianca si è rivelata dotata di mille identità, capace di infinite modulazioni. Sino a divenire un must della femminilità di oggi”.
La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferré.
1 febbraio – 29 giugno 2014
Museo del Tessuto
Via Puccetti 3 – Prato
Tel. +39 0574 611503
info@museodeltessuto.it