NAPOLI – Inutile girarci intorno: Paradise Lost, lo spettacolo/coreografia di Ben Duke, andato in scena al Teatro Trianon Viviani nell’ambito del Napoli teatro Festival 2018, non ha convinto ed anzi ha comunicato il sapore sgradevole di un’occasione perduta. Deludente perché, in tutta evidenza, da una personalità di prima fila della danza internazionale (Duke è dal 2004, insieme con Raquel Meseguer, fondatore e leader della prestigiosa e pluripremiata compagnia londinese di teatro danza “Last Dog”), ci si sarebbe aspettato qualcosa di più che un’ora abbondante d’ironia monologante, per quanto divertente, leggera, sagace, elegante, e non può essere proposta quasi a vuoto per così tanto tempo. Ci si attendeva piuttosto qualcosa che davvero valga la pena di vedere/ sentire/ discutere/ condividere o meno, in grado di sollecitare seriamente la nostra attenzione di spettatori contemporanei. Quello che si è visto a Napoli invece, sia o meno uno studio, o uno spettacolo nella sua versione definitiva (ma è corretto dire che ha iniziato a girare nel 2015 nel Regno Unito), è apparso un vacuo divertissement coreografico, dimentico della ragion d’arte per cui forse è stato concepito: ovvero la volontà di confrontarsi (e sollecitare il pubblico a farlo insieme con l’artista) col grande poema epico di Milton (del 1667) e con i motivi e le riflessioni che da questo possono scaturire e possono interessare la contemporaneità. Una su tutte: la complicatissima e feconda dialettica genitoriale tra amore e libertà dei figli, nel rapporto tra chi crea e ciò che (o chi) è creato; una tematica complessa e affascinante in cui l’artista è in grado di cogliere e proporre in qualche modo (alla danza si allude appena e le immagini/situazioni che attraversano la scena appaiono abbastanza scontate), ma poi non è capace di sviluppare appieno in tutta la sua potenza., se non rievocata meglio dalla vasta selezione delle musiche piuttosto che dalla drammaturgia e coreografia.
La riscrittura scenica del poema di Milton appare complessivamente fragile, poco meditata – almeno nella sostanziale cifra di sublime solennità che avvolge tutto il poema dell’autore: dalla creazione del cosmo alla ribellione di Lucifero a Dio (una crisi di coppia dagli esiti imprevedibili…), da Adamo ed Eva a Cristo, e forse non andava rifatta mimeticamente ma attenuata con una cifra stilistica capace in qualche modo di sposare il gusto e le attese antiretoriche del pubblico attuale e sostituita con qualcosa di altrettanto importante e profondo.
Di Lost Dog, ideazione, regia e interpretazione di Ben Duke, collaborazione artistica di Raquel Meseguer, scene e luci di Jackie Shemesh. Prodotto da Emily Gorrod-Smith & Tess Howell. Co-commissioned by The Place and Battersea Arts Centre con il supporto per il servizio da ICIA Bath University; The Point, Eastleigh e South East Dance, National Lottery through Arts Council England. Ben Duke è artista residente del programma Work Place al The Place, Londra.
Musiche: Richard Strauss – Also Sprach Zarathustra; J.S Bach – #3 in D BWV 1068 – Air; Handel – Zadok the Priest; Debussy – Suite Bergamasque L75 – Clair de Lune; Arvo Part – Pari Intervallo; Nick Cave & The Bad Seeds – Into My Arms; J.S Bach – Goldberg Variations Aria Da Capo; God Speed You! Black Emperor – Moya; Philip Glass – Six Etudes for Piano: 2; Janis Joplin – Summertime; Odetta – Battle Hymn of the Republic.
Crediti fotografici: Zoe Manders. Napoli, “Napoli Teatro Festival”,
Visto al Teatro Trianon Viviani il 16 giugno 2018