Il Poeta d’oro Giuliano Scabia a Castello Pasquini

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RUMOR(S)CENA – CASTIGLIONCELLO – Livorno – Entrare in un castello è sempre un’esperienza emozionante, specie quando sai di poter ammirare opere artistiche di chi a ragione è stato definito “Il Poeta d’oro” per essere riuscito a trasformare qualunque materia inerte e inanimata in quel suo “Teatro immaginario”. Giuliano Scabia è a Castiglioncello nel Castello Pasquini con una suntuosa esposizione, la più grande a lui dedicata curata da chi lo ha conosciuto bene e collaborato con lui: Andrea Mancini e Massimo Marino, visitabile fino al 9 ottobre. Organizzata dal Comune di Rosignano Marittimo e Fondazione Armunia, in collaborazione con la Fondazione Giuliano Scabia, il patrocinio della Regione Toscana, il sostegno della Fondazione Livorno Arte e Cultura e l’ausilio de La casa Ushǝr. Massimo Marino è saggista, critico, giornalista e ha insegnato all’Accademia di Arte Drammatica, al Dams di Bologna. Con Giuliano Scabia ha partecipato allo spettacolo Gorilla Quadrumàno e ha scritto Dire, fare, baciare (La casa Ushǝr). Andrea Mancini è operatore teatrale, regista, già editore lavora nel teatro da oltre trent’anni.

Giuliano Scabia Manifesto foto di Maurizio Conca

Scomparso nel 2021, Giuliano Scabia ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana, capace di intrecciare relazioni diverse tra di loro, dal teatro alla poesia, dalla drammaturgia alla regia, romanziere, affabulatore ed esploratore dell’immaginario. Un mondo incantato favolistico quanto reale e razionale per la sua straordinaria capacità di leggere i moti d’animo e innalzarli a visioni e suggestioni che hanno lasciato un’eredità incalcolabile. I due curatori della mostra hanno provato a classificare il lascito e catalogarlo e il risultato è ben visibile. Il loro intento è quello di aver provato (e riuscito) a “ricostruire le idee, le azioni rivoluzionarie (Scabia è stato un vero rivoluzionario della cultura italiana, nella fattispecie quella teatrale, ndr) e le suggestioni poetiche”.

Giuliano Scabia Manifesto 7, Aurelio Cupelli.. Marco Cavallo per le vie di San Miniato 15 agosto 2012

A partire dagli anni Sessanta il suo agire artistico quanto intellettuale (dimostrando sempre un’umiltà e una semplicità di pensiero unica) ha scelto di allontanarsi dalla tradizione teatrale, rompendone i canoni convenzionali, a favore di un teatro partecipativo che raggiungeva paesi di montagna, periferie urbane, luoghi marginali e non abituali per accogliere rappresentazioni teatrali. La sua era una scelta politica oltre che artistica dove il teatro andava incontro alle persone e non viceversa. La sua dedizione e passione lo porterà a rivoluzionare anche l’istituzione manicomiale aprendo i cancelli, insieme a Franco Basaglia, con la creazione di Marco Cavallo (una sua copia fedele è stata trasportata da Trieste a Castiglioncello e da il benvenuto ai visitatori) , dove al suo interno i pazienti del manicomio di San Giovanni inserirono i loro sogni e desideri , diventando il simbolo della trasformazione radicale di una psichiatria democratica esente da forme di costrizione e privazione della libertà individuale a favore di una maggiore acquisizione di diritti della persona se pur affetta da una sofferenza psichica.

Il terreno fertile che a Trieste veniva seminato permise a Scabia di lottare per gli esclusi, così come è intitolato il capitolo del saggio “Il Poeta d’oro. Il gran teatro immaginario di Giuliano Scabia (Storie dal teatro la casa USHƎR edizioni). «Scabia entra nella rivoluzione della psichiatria di Franco Basaglia, che porterà alla Legge 180 e alla chiusura dei manicomi. Costruisce con lo scultore Vittorio Basaglia e con altri artisti Marco Cavallo. Un grande pupazzo azzurro che diventa simbolo della liberazione dalla reclusione psichiatrica – scrive Massimo Marino – .Nel 1973 per due mesi anima il Laboratorio P, luogo di creazione, di ascolto, di fantasia, nel manicomio di Trieste diretto da Basaglia, con operine , burattini, giornali murali e con il Paradiso Terrestre di Marco Cavallo, foresta di pendenti, proiezioni dei desideri dei malati. Marco Cavallo il 25 febbraio del 1973 rompe letteralmente i muri dell’esclusione del manicomio, e porta i malati nella città.

Andare in oca

Marco Cavallo ispirerà molte altre azioni e esperienze di liberazione dallo stigma psichiatrico, tra le quali il Drago di Montelupo, in un ospedale psichiatrico giudiziario e quello dell’Ippogrifo d’Oro a Ferrara». In poche parole è racchiusa l’anima di un Poeta capace di trasformare ideali e sogni in azioni concrete, anche provocatorie, ma sempre indirizzate verso un progetto che includesse gli ultimi, gli emarginati, uomini e donne a cui la vita ha assegnato un destino difficile. Scabia va oltre ad ogni pregiudizio, muro, apre le porte di qualunque luogo e istituzione in cui è possibile scardinare obsoleti sistemi di coercizione ed esclusione. Non cede mai a lusinghe o compromessi.

Giuliano Scabia al Teatro delle Ariette foto di Maurizio Conca

Lo fa con un compagno di utopie possibili perché – scrive Massimo Marino – «Hanno carta bianca e un intero padiglione, vuoto, “squallido” dice la cronaca del primo giorno del diario che Scabia darà alle stampe con Enaudi nel 1976 nel libro Marco Cavallo. Un’esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico (..,) con il sottotitolo “Da un’ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura”. E il suo contributo si materializza insieme a «Basagli sta spostando l’accento della psichiatria dalla malattia al malato come persona, cercando di rendergli dignità e di darli stimoli per tornare a inserirsi nel consesso sociale, rompendo, con i dovuti strumenti di assistenza, le mura del manicomio, istituzione che con la sua sola esistenza riduce la capacità delle persone, rendendole oggetti. (…) ma, con tutto il lavoro di Basaglia, chiude del tutto i manicomi, con quell’oggetto meraviglioso e difficile che è stata la Legge 180.

Giuliano Scabia Marco Cavallo Trieste

E lui, il Cavallo Azzurro, diventa il simbolo della liberazione, una star da tournée, trasformato perfino in statua di metallo a Ravenna in un parco duplicato in sedici-diciassette esemplari, quando l’originale brucia. È stato ed è ancora il simbolo della lotta alla reclusione. All’esclusione psichiatrica». (,,,) Nel 1985 con gli attori del Centro di salute mentale e del Sert di Trieste allestisce Cinghiali al limite del bosco (..) Tra gli interpreti si rivela un giovane, che viene da un ricovero psichiatrico, Claudio Misculin, attore portentoso, dal fisico imponente, con una rassomiglianza fisica con Majakowskij, acrobata che con un salto mortale e una pesante caduta fa venire il batticuore, che con l’incalzare del suo dire fa palpitare. In seguito darà vita all’Accademia della Follia, compagnia di pazienti psichiatrici e di sani, con i quali Scabia metterà in scena nel 2008 La luce di dentro. Viva Franco Basaglia, storia dello psichiatra, della sua lotta ai manicomi, della vita di chi nei manicomi c’è stato e di chi ha ancora problemi con la salute mentale…».

Marco Cavallo Castello Pasquini

Nell’allestimento visitabile fino ad oggi, domenica 9 ottobre, sono stati esposti materiali, immagini, disegni, costumi, appunti e scritti di Giuliano Scabia che attestano la produzione di un patrimonio artistico e culturale sistematizzato da Andrea Mancini e Massimo Marino in un percorso ragionato e comprensibile anche per un visitatore ignaro della storia di uno dei protagonisti eccellenti della cultura in Italia. Docente per oltre trent’anni al Dams di Bologna, Scabia operò sempre per far comprendere agli studenti la sua ricerca attraverso la conoscenza diretta e sperimentata delle sue opere, facendo sperimentare a loro la fattibilità , ascoltando le loro impressioni e suggerimenti. In aula la sua presenza così mite e carismatica permetteva l’apprendimento di un pensiero capace di andare oltre alle convenzioni teatrali. Smontava meccanismi obsoleti e stereotipati per aprire le menti ad un orizzonte senza limiti. Lo spiega lui stesso in “Scala e sentiero verso il Paradiso.

Giuliano Scabia a Castiglioncello

Trent’anni di apprendistato teatrale attraversando l’università (la casa USHƎR edizioni) dove racconta l’arrivo a Bologna e l’invito a insegnare al Dams da parte del suo fondatore, Benedetto Marzullo che lo convinse ad accettare: “Vieni qui a fare le stesse cose”. Era arrivato in città, come racconta Scabia spiegando che durante la sua azione teatrale del Teatro Vagante in Abruzzo «che chiamai Forse un drago nascerà” mentre travestito da cavaliere nel paese di Massa d’Albe, sul Monte Velino, combattevo col drago (trenta ragazzi sotto un telo centinato, la testa del drago era un boccascena per burattini) – vedo arrivare il messo comunale. “In municipio c’è una telefonata per lei” – dice”. ».

Era Luigi Squarzina che lo invitava a Bologna per insegnare al Dams. L’inizio di un’eroica carriera costellata di soddisfazioni ma anche di delusioni e rifiuti da parte di istituzioni culturali come il Teatro alla Scala di Milano, il Piccolo Teatro e la Rai. Non avrebbe mai ceduto a compromessi o rinunce ad denunciare ciò che andava contro la salvaguardia di una libertà espressiva. Subì divieti e censure a tal punto che abbandonò ciò che poteva rappresentare un pericolo per la sua autonomia intellettuale. Personalità indipendente scevra da imposizioni di natura politica, Scabia si è sempre distinto per la sua ricerca mirata ad entrare nell’anima più profonda dell’essere umano. La mostra traccia una biografia intellettuale e artistica che comprende la sua attività poetica, l’attività teatrale composta dalle opere d’avanguardia degli anni anni Sessanta. Marco Cavallo, il Gorilla Qadrumàno, la docenza universitaria, il Diavolo e il suo Angelo, il teatro nella natura (un precursore nel creare allestimenti all’aperto). I romanzi Eterno andare, Nane Oca e le sue ultime opere poetiche. Le sale del castello Pasquini sono un viaggio esplorativo denso di rimandi, dove oltre i video che raccontano la sua carriera, la visita si completa con il percorso nelle emozioni che questo straordinario, indimenticabile artista ha suscitato e consegnato ai posteri.

La sua eredità è palpabile in questa mostra ricca e preziosa, generosamente allestita grazie al Comune di Rosignano e Fondazione Armunia, dove Scabia era di casa a Castiglioncello, come ricorda Licia Montagnani vicesindaca ed assessora alla cultura, turismo e promozione del territorio di Rosignano: «Ho avuto la fortuna di conoscere Giuliano Scabia a Castiglioncello e di aver trascorso alcuni momenti con lui. Un uomo dolce, gentile con degli occhi penetranti ed intelligenti che, anche con guizzi di sorridente ironia, ti facevano capire che ti scrutava nell’anima per capirne i contenuti. Non si può rimanere indifferenti a quanto Giuliano Scabia ci ha lasciato in eredità, a quanto nella sua vita ha insegnato con garbata scansonatezza che sarebbe da sciocchi scambiare per leggerezza, a quel profondo senso di giustizia sociale che ha perseguito in modo anticonformista in un mondo ancora impreparato e legato a schemi obsoleti..».

Per chi scrive resta il ricordo indelebile e la nostalgia dell’ultimo incontro con Giuliano Scabia, in un viaggio in auto guidata da Massimo Marino, dove insieme si andava al Teatro delle Ariette, per assistere ad un loro spettacolo. Una conversazione amabile e stimolante in cui il Poeta d’oro ci regalò aneddoti preziosi della sua vita. Quella vita che ora è resa immortale per aver potuto ammirare con lo stupore che egli stesso provava, la mostra che ci auguriamo possa essere allestita anche in altre città.

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