PARMA – «Tutto quello che so del grano è uno spettacolo a forma di imbuto. Quando arrivi al collo dell’imbuto, se vuoi passare di là, devi fare i conti con quello che sei, con la materia di cui sei fatto. […] è fatto di pochi, semplici elementi. Una lettera. Una focaccia. Un uomo e una donna. La campagna e il teatro.” Così Stefano Pasquini lo descrive in scena durante l’anteprima nazionale dello spettacolo “Tutto quello che so del grano” al Teatro al Parco di Parma , e lo fa in una lettera scritta allo spettatore. In queste poche ed iniziali parole c’è tutto il senso di questo lavoro: condividere attivamente ciò che sappiamo della nostra civiltà, della coppia, del teatro. Condividere: più che un verbo che torna, espresso o sottinteso, in tutto la rappresentazione, è il suo filo conduttore. Viene chiesto al pubblico di condividere il pane, portandolo da casa, e il Teatro delle Ariette offrono (in un patto mai scritto nel teatro, ma fondante) tutto ciò che sono, uomini, donne, artisti e lavoro.
“Tu pensi che sia eccitante fare uno spettacolo. Hai ragione, ma la creazione è fatica…alla fine ti senti svuotato.” E’ la stessa fatica di chi coltiva il grano arando la terra, raccogliendolo e lo portandolo al mulino per macinarlo. Attende. Lo riporta a casa, in forma di farina, per fare il pane o una focaccia. Passaggi lenti, faticosi, ma ricchi di amore per il grano, per la propria donna, per il teatro. Offerti in video, capaci di raccontare l’inizio di un giorno qualunque nella casa di Stefano e Paola, i quali invitano le persone a lasciare fuori dalla stanza le fatiche e a fermarsi, guardando le immagini lente di azioni svolte e di paesaggi dell’anima, per ricordare ciò che eravamo e i ritmi di una società che non c’è più (ma che in qualcuno ancora resistono). Invito sottolineato successivamente tramite lo spargere delle stoppie sul pavimento del teatro per segnare uno spazio e un tempo che è diverso da quello che c’è fuori.
Paola Berselli, in uno dei suoi ricordi evidenzierà, come il tempo che si svolge sul palco (ma anche nelle poltrone di fronte) è un tempo altro, parallelo a quello ‘normale’, sacro. E’ simile a quello che ci vuole per impastare una focaccia morbida, farla lievitare ed infornare. E tra una lievitazione e l’altra – quattro, come gli atti di questo spettacolo- prendersi il tempo di scrivere una lettera e riflettere, come può accadere dopo una lite. Così Stefano, Paola e Maurizio fanno entrare con garbo il pubblico nelle loro riflessioni sulla coppia, sulla vita, ma soprattutto sul teatro. La pièce si svolge seguendo la traccia di una lettera che diventa un dialogo presente, ma che alternativamente diventa memoria (“fare i conti con la materia di cui sei fatto”), anche dolorosa. Bellissimo, carico di significato il momento in cui il brano diventa spunto di riflessione col pubblico: i due attori si passano il foglio-testimone e si rivolgono a lui come si fa quando si è in cucina seduti intorno al tavolo a bere un caffè. Una situazione apparentemente intima ma svolta con l’attenzione che è figlia della professione.
Ci sono, infatti, una drammaturgia e una regia forti, che definiscono con precisione i tempi delle azioni ma che nello stesso momento riescono ad abbattere la quarta parete, co-involgendo in modo empatico i presenti. E’ qui che davvero il teatro diventa uno dialogo in ascolto del mondo, dove dialogo è da intendersi profondamente: mettere in comune il logos che è tanto oltre che parola; è anche relazione, legame, studio, causa, ragionamento, ragione. Stefano Pasquini e Paola Berselli con il loro spettacolo dialogano, in questo senso, profondamente. L’intenzione di con-dividere un pensiero su ciò che sappiamo di noi, attraverso il passaggio inevitabile (come passare del grano attraverso l’imbuto di un mulino instabile) sul passato, si realizza pienamente. Rendono il triplice piano di lettura accessibile anche ai non addetti ai lavori, grazie ad un linguaggio semplice, ma non semplicistico, non basso. Così come non c’è nulla di semplice nel fare una focaccia: in fondo, è vero, è solo farina, acqua, sale, lievito e olio, ma se non si è bravi abbastanza nell’impastare gli ingredienti, se non si ha la pazienza di aspettare la lievitazione e se non si sa sentire il profumo che esce dal forno che dice ‘è pronta’…la focaccia-spettacolo non sarà buona come quello proposta dal Teatro delle Ariette.
In un altro passaggio della sua lettera allo spettatore, Stefano Pasquini scrive riguardo la creazione scenica: “Alla fine ti senti svuotato…pieno di dubbi, di domande. […] Questo sforzo serve a qualcosa? Forse il grano non interessa più a nessuno…e forse neanche il teatro...” E’ una resa? L’Arte (in ogni sua forma) si deve arrendere al consumismo, alla velocità, alla superficialità, alla sola estetica? Sarebbe Arte? Sarebbe mettere in forme ciò che in seno si sente, parafrasando Leopardi? Sarebbe tutto molto più facile se chi scrive, chi sale sul palco e chi è seduto di fronte ad esso si accontentassero di maschere ma tradirebbe la sua funzione: far riflettere la società su se stessa. C’è ancora chi ha intenzione di resistere, nonostante la fatica (soprattutto economica) nel portare avanti i progetti, e c’è ancora chi ha volontà di ritagliarsi uno spazio altro per riflettere attraverso l’arte. Tutto ciò che so del grano rispetta in modo professionale e profondamente umano le sue intenzioni più profonde. E questo lo spettattore lo ha compreso: molti gli occhi lucidi alla fine.
Tutto quello che so del grano
di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi e Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle Ariette
luci e audio Massimo Nardinocchi
video Stefano Massari
regia Stefano Pasquini
segreteria organizzativa Irene Bartolini
comunicazione e ufficio stampa Raffaella Ilari
produzione Teatro delle Ariette
Visto al Teatro al Parco Teatro delle Briciole di Parma il 5 novembre 2016