RUMOR(S)CENA – TRENTO – Dopo aver scritto un testo su Margherita Sarfatti, l’intellettuale e critica d’arte amante di Mussolini, portata in scena l’estate scorsa al Teatro Franco Parenti a Milano da Claudia Coli e diretta da Andrea Chiodi, Angela Demattè – vincitrice di numerosi premi, tra cui l’ultimo Le Maschere del Teatro italiano 2024 per De Gasperi – dà nuova vita alla figura di Ida Dalser, considerata la prima moglie di Mussolini e passata alla storia, tristemente, soprattutto per la sua tragica fine, che la vede reclusa in manicomio, a Pergine Valsugana, dove morì nel 1937. Una sorte toccata non solo a lei ma anche al figlio, Benito Albino, avuto proprio da Mussolini. Il testo di Angela Demattè Dalser. La Mussolina nasce dalla proposta fatta dalla regista e attrice Michela Embrìaco di scrivere una drammaturgia originale sul tema del rapporto tra fascismo e stereotipi genere. Lo spettacolo, prodotto dalla compagnia trentina MULTIVERSOteatro in collaborazione con il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento e in coproduzione con PACTA dei Teatri Salone via Dini, Milano. Lo spettacolo va in scena in prima assoluta sabato 9 novembre, al Teatro Cuminetti (ore 20.30) a Trento e poi a Milano dal 7 al 12 marzo (al PACTA dei Teatri Salone di via Dini).
Ne abbiamo parlato con l’attrice e regista Michela Embrìaco.
Chi era Ida Dalser per Mussolini?
Ida Dalser era una donna forte, colta per l’epoca, che aveva costruito la sua vita con determinazione. Non era semplicemente una delle tante amanti di Mussolini. Si può dire che a un certo punto sia stata per lui una spina nel fianco, nel senso che non ha accettato di essere lasciata in quel modo dopo che aveva sacrificato tutto per lui: ha venduto il suo salone di bellezza, i suoi vestiti, i suoi ori, i macchinari, tutto per permettere a Mussolini di aprire il nuovo giornale “Il popolo d’Italia”. Credeva nel loro progetto insieme, era convinta di poter vivere la sua vita con lui. Da una parte, quindi, una donna forte e determinata, capace di lasciare il paesino di Sopramonte per andare a Parigi e poi a Milano, per aprire un suo centro estetico, e dall’altra parte una donna che disposta a lasciare tutto, completamente, per finanziare il progetto nel quale anche lei si sentiva coinvolta. Sembrava quasi avere un ruolo manageriale: aveva una posizione attiva e ha continuato ad avere questo ruolo anche quando le è stato dato il “benservito”, quando è diventata scomoda a Mussolini. Non ha accettato di essere messa da parte, ha continuato a protestare, ha scritto lettere ai giornali, ha preteso che venisse riconosciuto il figlio che aveva avuto da Mussolini stesso.
Diventando scomoda, Mussolini che stava acquisendo sempre più potere ha potuto farla rinchiudere in un manicomio. Questa è stata la sua tragica, terribile sorte, è finita in un meccanismo terrificante che l’ha completamente schiacciata, perché è morta nel ’37 in manicomio. E la domanda che guida il nostro lavoro è “come mai una donna affermata come lei che da Sopramonte arriva ad aprire un importante centro estetico a Milano vende tutto per amore di Mussolini? Che cosa vede in quest’uomo e perché così spesso le donne sacrificano tutto per un uomo?”
Come arriva la compagnia MULTIVERSOteatro a mettersi sulle tracce di Ida Dalser?
Da diversi anni mi occupo di personaggi femminili, stereotipi di genere, che porto nei miei spettacoli a partire dal mondo antico, come Arianna o Penelope, diventati archetipi del mondo femminile. Durante il mio percorso di ricerca mi sono imbattuta in un testo particolarmente stimolante, “Mussolini ha fatto tanto per le donne” di Mirella Serri. In questo libro si ripercorre la complessa vita erotica e sentimentale di Mussolini fino alla metà degli anni ’20. Tra le varie donne che hanno accompagnato Mussolini, tra cui le famose Sarfatti e Petacci, ho incontrato Ida Dalser, donna trentina, di Sopramonte, e la sua storia mi ha profondamente colpito. Mi è sembrato che potesse essere una figura emblematica per comprendere come Mussolini sfruttava le donne. E come scrive Mirella Serri nel suo testo, Mussolini da una parte sfruttava le donne per la loro cultura, ne aveva come bisogno, e dall’altra le sfruttava e le detestava perché si rendeva conto della loro forza.
Come si lega al rapporto tra fascismo e stereotipi di genere la storia di questa donna?
Ida Dalser è una figura emblematica, di come Mussolini sfruttava le donne dotate di potenzialità e se ne liberava quando in qualche modo non gli servivano più, cercava di contenerne la forza. Mussolini aveva sviluppato, secondo la Serri, un’ostilità antifemminile che declinò in leggi e divieti e sostiene addirittura che gli stereotipi di genere imposti come stile di vita nel Ventennio si siano affermati come modelli difficili a morire, destinati a condizionarci ancora oggi. Tante le leggi che sono state introdotte durante il fascismo: le donne non potevano svolgere l’insegnamento delle materie classiche nei licei o ricoprire il ruolo di dirigente. In quel periodo fu introdotta tutta una serie di lavori femminili: le donne potevano fare le shampiste, le fioriste, le parrucchiere, le telefoniste. Negli uffici pubblici era stata limitata al 10% la percentuale di presenze femminili… si crearono le basi per un maschilismo non solo a livello legislativo, ma anche nella cultura e nel costume, in maniera trasversale, anche grazie ai mass media che venivano usati per la propaganda. Ida Dalser restò come imprigionata in questa macchina infernale che stava nascendo ed ebbe la grande sfortuna di incrociare un uomo come Mussolini. Pare che le donne all’epoca, e non soltanto all’epoca, finissero in manicomio per tante ragioni, tra cui quella di essere scomode al marito. C’era la possibilità di rivolgersi a un avvocato divorzista per sbarazzarsene facendole rinchiudere in manicomio o in convento. Non è che non vi fosse patriarcato prima dell’avvento di Mussolini al potere, ma tutto questo, sostiene la Serri, penetrò in modo ancora più capillare e profondo nella cultura italiana.
Quale taglio viene dato al racconto e come viene affrontato il tutto, scenicamente?
Un altro aspetto interessante che abbiamo voluto introdurre, sia nella drammaturgia sia nella messa in scena, è il tema della fiaba, riferendoci in particolare alle fiabe dei fratelli Grimm, in cui le principesse che attendono il principe azzurro riassumono la loro vita nella ricerca e nel bisogno di trovare un uomo che le completi. C’è una sorta di parallelismo con questo. Immaginiamo una fiaba nera in cui Ida Dalser, nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1935, fugge dal manicomio di Pergine Valsugana (cosa che è accaduta davvero) per raggiungere sua sorella a Sopramonte. Proprio come in una fiaba nera attraversa un bosco e incontra la sua ombra: ripercorre la sua vita e immagina che ad attenderla a Sopramonte ci sia il suo amore Benito Mussolini che la salverà. Da un punto di vista scenico abbiamo immaginato dei microfoni, che il personaggio trasforma: diventano bosco e qualcos’altro che non posso svelare, perché non voglio anticiparvi se in qualche modo si libererà del rapporto con quest’uomo o se invece rimarrà chiusa dentro la sua immaginazione. Nello spettacolo si vede come Ida Dalser non abbia mai accettato di essere lasciata da Mussolini: da una parte lo ha condannato, tra virgolette, per quello che le ha fatto, ma non ha mai accettato fino in fondo questo abbandono nemmeno con sé stessa, continuando a pensare che lui fosse vittima di un complotto, che fossero gli altri fascisti a tenerla all’oscuro di quello che le stava succedendo. Ha sempre vissuto accompagnata da questo profondo conflitto interiore.
Il 6 febbraio del 1909 Benito Mussolini arriva a Trento per ricoprire l’incarico di segretario della Camera del Lavoro in qualità di funzionario socialista e dove diresse il suo primo quotidiano, L’avvenire del lavoratore. Dopo solo nove mesi verrà allontanato e rimosso dal suo incarico ritenendolo una persona sgradita. Mussolini in risposta al licenziamento pubblicherà un suo scritto sulla Voce di Prezzolini motivando la sua opinione a riguardo del popolo trentino che considerava incapace di essere rivoluzionario. Cesare Battisti nel 1914 chiude il Popolo e a causa della sua scelta di aderire da parte dell’Italia verrà processato e impiccato. Alcide Degasperi all’epoca era il referente del Partito Popolare e anche direttore del giornale del Trentino, costretto a pubblicare gli editti dell’impero austroungarico prese la decisione di chiudere il giornale.