RUMOR(S)CENA – FRIDA KAHLO – IL CAOS DENTRO – SPAZIO EVENTI TIRSO – ROMA – Cosa stiamo cercando esattamente? Cosa è l’arte? Sembra che stia perdendo di valore la necessità di esprimere se stessi attraverso il mezzo più libero, la manifestazione più altra e alta che è, oggi, decisamente la più inquinata dalla domanda. Stiamo diventando schiavi di richieste continue in un mondo bulimico, dove niente basta, nemmeno mettere in ginocchio l’artista e pretendere da lui la sua frustrazione, non la sua libertà.
“Io chiedo a te di essere come desidero e tu devi, per forza, rispettare le mie scelte altrimenti non potrai andare avanti, altrimenti non ci sarà stabile, teatro, museo, struttura, e simili che ti permetteranno di mangiare, di sopravvivere. Ti ricorderò, è certo. Soltanto, però, come voglio io.”
Ultimamente sembra che questa sia la direzione del creare: prostituirsi al commercio, fare dell’opera d’arte un puro prodotto commerciale, come se l’artista sia in “saldo” per dare quello che il pubblico vuole. Ne consegue che il risultato non sempre appaga tutti i fruitori, anzi: il più delle volte, chi era abituato alla passione, all’amore, alla commozione provocata da un’opera, ne esce deluso e imbronciato e, se proprio deve commuoversi, lo fa per una nostalgia di un tempo che fu.
Andreij Konchalovskij ha voluto rileggere in teatro Scene da un matrimonio del 1973 del celebre regista Ingmar Bergman con leggerezza, tentando di soffocare lo spettacolo utilizzando una scenografia troppo piena di oggetti che, inevitabilmente, portano a consegnare un significato oltre al significante, senza trovarlo, quasi come a voler riempire dei vuoti palesi nel testo. Nel mentre si è distratti da una recitazione grossolana, atta ad un pubblico di abbonati. Il tutto appare come una grande eresia destinata non più a far riflettere sul senso di caducità di un rapporto – a questo era interessato il regista sceneggiatore, drammaturgo, scrittore e produttore cinematografico svedese- ma allo stravolgimento dello spettacolo teatrale come “intrattenimento”, come voyeurismo mancato da una forzatura nella gestica, chinandosi agli applausi scroscianti del pubblico del teatro Eliseo che quella sera, molto probabilmente, voleva andare a teatro e non pensare ai problemi di un ufficio o di una casa, rilassarsi al suono di due ore intere tra battute recitate male e silenzi troppo lunghi.
Ancora: Così è se vi pare, in scena al teatro Ghione. Regia a cura di Francesco Giuffrè, una rappresentazione senza midollo, senza alcuna interpretazione registica. Fedele al testo, troppo. Sicuramente un’ottima interpretazione attoriale da parte di tutti gli attori ma senza lasciare allo spettatore la possibilità di inventarsi in un testo che fa parte del D.N.A della nostra intera cultura e che riesce e continua a essere contemporaneo giocando sul senso amletico della verità. Didascalico, tecnico. Anche qui la scenografia ha eccesso perché porta a non capire la collocazione di alcuni oggetti o fondali. Eppure il pubblico applaude contento sulle comode poltrone perché ha riso e ha visto bravi attori che si sono concessi alla loro richiesta. E la domanda se si sono “riflessi” rimane aperta.
È soltanto il teatro? Non di certo. E di certo non tutto il teatro è così, per fortuna. È da mettere in evidenza, ancora, che c’è chi gioca sul voyeurismo della propria tecnica, bravura corporea e di voce usandole, enfatizzandole troppo a tal punto da soffocare il testo drammatico, e ci chiediamo “Recitare Amleto o Jelinek, dunque, sarebbe la stessa cosa per il performer in questione?” Che tanto poi l’applauso è quello che vogliamo dare, vogliamo fare.
Non è soltanto teatro, dunque. È tutto. È anche chiedersi dopo averla vista “ Se questa è una mostra”. Molti conoscono la vita di Frida, le sue opere nelle quali l’essere umano ha forse (e sottolineo forse) bisogno di riconoscersi per sentirsi meno solo nel dolore, per condividere la forza nella fragilità. Bene: la mostra sulla celebre pittrice messicana presso Spazio eventi Tirso “Il caos dentro” non restituisce se non la commercializzazione, il prodotto virtuale che la società nel tempo l’ha fatta diventare. Non un minuto di riflessione su un suo quadro, anzi sì: sull’ unico esposto in un angolo nascosto all’uscita, tra l’altro. Quasi come a voler chiedere scusa della propria esistenza. Quasi come a dire ai fruitori, da chi lo ha collocato: “tieni, ti faccio contento: ti faccio vedere un suo quadro“. Viene definita mostra “sensoriale”: cosa vuol dire? Ripercorrere tramite videoproiezioni di opere il vissuto di un artista? Possono questi due linguaggi coesistere nella visione di – nell’ordine- un letto (pare quello in cui sia morta con lenzuola nuove e stirate), una sedia a rotelle e vestiti nemmeno originali ma riprodotti? Tutto forzatamente didascalico e nemmeno ruffiano.
Inutile. Non è salutare né giusto superare la soglia del rispetto dell’arte. Forse era un modo per avvicinarsi a Frida? Come? guardando cosa? Un quadro virtuale che fa l’occhiolino? Il cervo che corre se si indossa un dispositivo virtuale? E, nel mentre, buttati lì, così per riempire uno spazio, i suoi busti del dolore /creazione? No, signori. Questo è speculare sulla delicatezza, su una ricerca che è stata di vita. Non è arte. È ridurre in prodotto ciò che è alla base di questa: la trasformazione costante e continua che sia di un ego proprio, di un’epoca, di mille e altre cose ma che sicuramente, in questa “mostra” non è arrivato. Se questa è una mostra non c’è senso di goderne proprio perché non si entra in empatia con l’autore.
Manca la riflessione da parte del fruitore/consumatore (a questo punto!). Riflessione intesa nel senso etimologico: reflecto, dunque mi piego all’indietro, porto la mente all’indietro. A cosa, esattamente ora? Viviamo in un’epoca in cui tutto va fatto di fretta, non c’è tempo di pensare intensamente, di ascoltarsi e di conseguenza di donarsi per quello che si è. Ma correre velocemente per bandi e scadenze che impongono ciò che retribuisce, meccanismo perverso comportato da chi chiede, come scritto all’inizio, senza remore. Si annulla il dialogo tra artista e fruitore. Le imposizioni aumentano. La frustrazione anche. La qualità scarseggia. Il concetto di comunione silente, guardare, cercarsi si fa sentire sempre meno mentre prende il sopravvento l’imposizione di volere una copia di quello che non si è mai stati in una dimensione che forse mai avremo.
Frida Kahlo
Il caos dentro
Spazio Eventi Tirso Roma visitabile fino al 29 marzo 2020