La libertà di scrivere per la verità e la giustizia è “la libertà di ognuno di noi”. “Un morto ogni tanto” di Paolo Borrometi

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RUMORS(C)ENA – UN MORTO OGNI TANTO – PAOLO BORROMETI – Sfogliando “UN MORTO OGNI TANTO. La mia battaglia contro la mafia invisibile”  di cui è autore il giornalista e presidente dell’Associazione Articolo 21 Paolo Borrometi, una delle sue prime frasi che colpiscono dritta al cuore è: «… avevo scelto di fare il giornalista: in una democrazia il diritto a un’informazione libera, autonoma e indipendente è un diritto fondamentale al pari della libertà di espressione.». Non si tratta di una semplice affermazione  – sulla quale è basato l’articolo 21 della Costituzione -, quanto della sua testimonianza toccante e sofferta per descrivere il suo stato d’animo dopo essere stato vittima di un agguato mafioso, che li aveva procurato lesioni così gravi da essere ricoverato d’urgenza in ospedale. In quel momento capisce quanto sia difficile scegliere in Italia fare il giornalista per raccontare la verità dei fatti: scomoda perché va a minare gli interessi delle mafie in Sicilia. La sua vita cambia dal 2013 quando dopo aver rischiato di morire insieme alla sua famiglia, viene presa la decisione di tutelarlo con una scorta armata: “ i mie i angeli custodi” – come li chiama Paolo. Da cinque anni è privato della sua libertà per aver scelto di scrivere e informare quanto sia grave l’infiltrazione della mafia In Sicilia, la sua regione che descrive così: «È una terra meravigliosa, la mia. Per certi versi unica. Baciata dal sole e cullata dal mare (…) In quest’ultimo lembo d’Italia sono nati uomini di Stato, artisti e poeti tra cui Gesualdo Bufalino, Salvatore Quasimodo, il maestro Piero Guccione, Giorgio La Pira. E Giovanni Spampinato, di professione giornalista, ucciso a ventisei anni per aver scritto troppo. Del suo lavoro Giovanni aveva un’idea alta e generosa. Nobile». “Per aver scritto troppo”, così come è accaduto pochi giorni fa ad Ahmed Husein in Ghana assassinato per aver scelto di denunciare la corruzione del calcio nel suo paese. Aveva 34 anni e la sua “colpa” era quella di stare dalla parte della verità e della giustizia.

 

 

 

«Ma chi glielo ha fatto fare?» è la frase che Borrometi riporta citando chi commentava la morte di Spampinato 46 anni fa. Un delitto rimasto senza colpevoli. Anche a lui rivolgono la stessa domanda e lo consigliano di desistere. La coscienza civile ed etica collettiva di un popolo che sceglie di vivere in uno stato di diritto può dare l’unica risposta possibile. Nel capitolo del suo libro “Il mito sfatato” spiega bene come la sua amata terra non è solo quella che noi conosciamo per le sue bellezze naturali e artistiche. «Di Giovanni Spampinato, la sua terra ha sempre voluto che si sapesse poco. Si sa ancora poco. Trasmetterne la memoria sarebbe stata la prova più evidente di molte ipocrisie sulla terrababba’ – come la definisce Paoloe credo sia stata la mattina in cui seppi della sua morte che cominciai a sognare di fare il giornalista, senza smettere mai di farmi domande, proprio come lui. Con la folle idea, se non di vendicarne la morte, di ripercorrerne le orma di giornalista libero».

La libertà di scrivere è un bene prezioso che va difeso da chi cerca di impedirlo. Libertà di difendere la legalità e per farlo  va nelle scuole a spiegarlo agli studenti ribadendo che l’Italia non ha bisogno «di eroi ma di cittadini che facciano il loro dovere. La legalità non è un concetto astratto legato alla giustizia o alla morale, è un percorso fatto di costante impegno nel rispettare le regole, è acquisire dei principi». Borrometi ricorda un concetto di educazione alla legalità in grado di «educare alla bellezza come diceva Peppino Impastato. Perché la bellezza è potente. La bellezza che trabocca dalle strade, dalle piazze, dalle chiese, dai palazzi, dai musei, dalle tradizioni delle nostre città. Quella calpestata e villipesa nelle forme più selvagge e criminali a cui a volte resta solo il ricordo». È un appello accorato per non smettere mai di vigilare per ribadire che solo così si evita la «rassegnazione, la paura e l’omertà». Il libro raccoglie un’impressionante raccolta di prove e documenti comprovanti la piaga che le mafie sono riusciti a diffondere nella nostra società; le inchieste sulle agromafie capaci di estendersi a livello internazionale, fonte di guadagni illeciti e le molte connivenze con amministratori pubblici e politici locali.

Paolo Borrometi con Rocco Cerone (segretario Sindacato giornalisti Trentino Alto Adige @Ufficiostampa PAT

Non lascia indifferenti per la sua straordinaria umiltà nel descrivere le tante sofferenze provate e per la perdita della libertà nel condurre una vita normale. Perché il prezzo da pagare se denunci il malaffare, la corruzione, l’agire nella illegalità, è alto e nonostante questo non bisogna desistere ma seguire l’esempio di Paolo come lui stesso spiega nelle ultime pagine quando si rivolge agli studenti: «… Lo faccio chiedendovi di continuare a sognare, anche se vi dicono che “realizzare i sogni è impossibile”. Continuate a sognare. Solo così potremo avere la speranza di farcela. Tutto ciò che faremo nella nostra vita dipenderà dal nostro essere ‘con o contro le mafie. Perché le mafie entrano nell’esistenza di ognuno di noi prepotentemente, senza chiederci il permesso. Influenzandola, fino a toglierci oltre all’orgoglio qualsiasi possibilità, lavorativa e di sviluppo. Mafia vuol dire tante cose, vuol dire opportunismo. Restare prigionieri del silenzio. Omertà. In questo modo facciamo il gioco di chi ci vorrebbe muti, da sempre e per sempre..»

Anche il presidente di Libera Don Luigi Ciotti  pochi giorni fa a Trieste lo ha ricordato nel suo discorso a Contromafiecorruzione: «Come mai da 150 anni continuiamo a parlare di mafia? Oggi il problema più grave non sono i migranti, è mettere testa sulla corruzione e sulle mafie nel nostro Paese». «La lotta alle mafie è una lotta a oltranza, loro con la forza e le minacce, noi con la cultura e l’informazione» – così si rivolge il giornalista nella conclusione del suo libro. Lui stesso confessa che nella sua vita non è stato amato, ora ancor più di prima anche per aver scritto pagine così incisive e determinanti per far conoscere cosa sia la mafia, ma questo non lo farà cambiare idea: «… ho continuato ad amare ciò che pensavo fosse utile: il giornalismo libero. Quello che non piace, che dà fastidio. Quello che scava. Quello che irrita. Quello che punge. E che soprattutto non si arrende». Oggi più che mai non bisogna arrendersi perché la volontà di togliere la libertà di pensiero è predominante da chi detiene il potere e vorrebbe zittire la stampa. L’articolo 21 della Costituzione recita: «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».

La libertà di espressione è un fondamento dell’ordinamento democratico così come lo è il diritto all’informazione entrambi valori inalienabili e in grado di determinare una pari dignità a tutti. In Italia si sta assistendo ogni giorno ad episodi di una gravità inaudita: censure preventive come il negare a Don Luigi Ciotti una sala del Comune di Oderzo, togliere la scorta al giornalista Sandro Ruotolo per poi restituirla dopo la sollevazione e l’indignazione popolare, dimostrano un grado di allarme sociale e culturale da non sottovalutare. Sostenere le voci libere come quella di Paolo Borrometi vanno difese e sostenute anche grazie alla nuova definizione di “scorta mediatica” coniata da Amnesty International Italia, Federazione Nazionale Stampa Italiana, Articolo 21 e UsigRai per non smettere di cercare la verità sulla morte di Giulio Regeni e proteggerlo attacchi e offese alla sua dignità, alla sua storia, alla sua morale. Una scorta a cui tutti anche per Paolo e tutti i giornalisti costretti a vivere sotto scorta (in Italia sono 20 e rappresentano un triste record europeo di cui non possiamo vantarci) continuano a difendere principi di giustizia e legalità. «La libertà di ognuno di noi».

 

In occasione del 28 esimo Congresso nazionale dei giornalisti italiani, FNSI mercoledì 13 febbraio alle ore 18 presso il Caffè Nazionale – piazza della Chiesa a Levico Terme, incontro con Paolo Borrometi autore di “UN MORTO OGNI TANTO. La mia battaglia contro la mafia invisibile” che sarà presentato da Beppe Giulietti, presidente nazionale FNSI. Organizzato dalla Piccola Libreria di Lisa Orlandi  Levico Terme

Il 6 febbraio scorso Paolo Borrometi ha ricevuto la cittadinanza onoraria della città di Palermo, con la motivazione: “Per avere esposto a rischio la propria incolumità per l’affermazione della verità, facendo luce con le sue inchieste su zone d’ombra del nostro Paese, denunciando episodi di corruzione, riciclaggio, traffici illeciti, affari intessuti da Cosa Nostra a carattere nazionale e internazionale, rapporti tra mafia, politica e affari. Per avere praticato e promosso un giornalismo sempre attento alla difesa della democrazia, rivestito di autorevolezza e indipendenza contro ogni tentativo di “mascariamento”, di distoglimento dalla verità, diffondendo altresì ciò che qualcuno non vuole che si sappia, raccontando ciò che è nascosto e ciò che non può mai piacere essere rivelato ai poteri forti.
Per avere creduto nel valore del giornalismo, difendendolo profondamente, lottando per la crescita sociale e culturale del proprio Paese, anche con forti denunce alle Istituzioni colluse o distratte, trasformando la paura del rischio di perdere la propria vita, nella consapevolezza di svolgere semplicemente il proprio dovere, lasciandosi ispirare dall’insegnamento familiare Mai giù, sempre su”.

 

Paolo Borrometi 

Un morto ogni tanto. La mia battaglia contro la mafia invisibile

edizioni Solferino

www.solferinolibri.it 

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