RUMOR(S)CENA – MILANO – Portare sulla scena un testo progettato e nato per la pagina scritta, è spesso un’impresa temeraria. La soluzione adottata dal regista Claudio Longhi e da Lino Guanciale, per la messinscena di Ho paura Torero, prodotta dal Piccolo Teatro di Milano, ha cercato di ovviare a questa difficoltà. I personaggi non si limitano a dire le loro battute, ma parlano di sé pure in terza persona, riportando anche brani narrativi e di commento tratti dal libro omonimo dello scrittore e attivista cileno Pedro Lemebel.
L’espediente arricchisce lo spettacolo, poiché consente al pubblico di apprezzare immagini e sfumature che con difficoltà si inserirebbero nei dialoghi. Come in uno dei classici slogan sessantottini (“il privato è politico”) queste due categorie si incrociano e sovrappongono nel corso delle circa tre ore di spettacolo, dominato dalla presenza di uno straordinario, pressoché irriconoscibile Lino Guanciale (eravamo abituati a vederlo nei panni del pensoso, introverso e problematico commissario Ricciardi). Qui – siamo nel Cile di Pinochet – Guanciale recita, danza e canta, nei panni del femminiello soprannominato la Fata dell’angolo: un personaggio in origine disinteressato alla politica, ma che si troverà invece coinvolto nella lotta al regime, ancorché per motivi sentimentali, essendosi perdutamente innamorato di un giovane rivoluzionario, Carlos.
Costui, a sua volta finirà per accettare, pur senza acquisirne una totale consapevolezza, la situazione, per lui atipica, di un rapporto omosessuale. In parallelo assistiamo a stralci di vita familiare di Pinochet e di sua moglie (una splendida – al solito – Arianna Scommegna) che ci vengono restituiti in forma decisamene ridicola, che temo non renda giustizia alla dimensione criminale del dittatore e alla tragicità della stagione storica, che traspare invece in alcuni spezzoni documentari. Ma ciò si deve alla particolare, poliedrica personalità di Pedro Lemebel, atipico oppositore del regime dittatoriale cileno, incline alla satira, pubblicamente gay e da noi ancora non molto conosciuto, che, nell’unico romanzo da lui scritto, attinge scopertamente al proprio vissuto.
La scenografia degli interni della casa del femminiello è a un tempo semplice e barocca. I costumi e certi arredi si direbbero ispirati alle suggestioni figurative di un grande artista di origine catalana naturalizzato veneziano, Mariano Fortuny, maestro nella progettazione e creazione di tessuti fantasiosi. Uno spettacolo da cui traspare un attento lavoro preparatorio e un’affettuosa cura e attenzione ai particolari, anche da parte di Guanciale, che ha contribuito alla drammaturgia, nel rispetto di un libro che si pone come romanzo di formazione su ambedue i personaggi principali: la Fata dell’angolo che, motivata dall’amore, assume a poco a poco coscienza dell’ingiustizia sociale e degli ideali rivoluzionari, fino a rendersi disponibile a rischiare, per questi, la libertà e la vita; e Carlos che, pur con minor determinazione, accoglie e accetta un amore non consono ai suoi orientamenti sessuali originari.
Un’ultima riflessione sul valore etico e sociale di questa produzione del Piccolo. Un certo ostracismo nei confronti di quella categoria che oggi si tende a definire con la sigla – a mio parere infelice – LGBTQ+, era sembrato superato negli ultimi anni. Un esempio poteva ritrovarsi nella modifica, qualche anno fa, del titolo di una interessante rassegna annuale di cinema omosessuale trasformato da “Illecite visioni” in “Lecite visioni”. Ma certi rigurgiti moralistici degli ultimi tempi, malgrado le prudenti aperture di Papa Francesco, sembrano segnalare un’inversione di tendenza. Opportuno e meritorio, quindi, che il Piccolo, nel solco della sua vocazione socioculturale (pensiamo al significato che ha avuto il Galileo negli anni sessanta), proponga uno spettacolo in cui si parla con naturalezza di un amore omosessuale. Non so se oggi ciò possa ancora dare scandalo. Ma, se ciò avvenisse, ci sarebbe di che esserne soddisfatti. Non dimentichiamo il detto evangelico: Oportet ut scandala eveniant.
Visto al teatro Paolo Grassi di Milano il 2 febbraio 2024