“Questa sera si recita a soggetto”: proprio sulla concezione di recita a soggetto e sulle dinamiche della recitazione all’improvviso si concentra Claudio Autelli, uno dei quattro registi guidati da Luca Ronconi nel laboratorio della Biennale Teatro di Venezia. Chiamato a confrontarsi, come i suoi colleghi, con il complicato mondo pirandelliano, il giovane regista si cimenta in un lavoro su un doppio piano.
Da un lato affronta il testo di Pirandello con approccio registico fortemente scientifico, votato all’analisi del testo e allo studio approfondito degli innesti drammaturgici, dall’altro, forse proprio in conseguenza di tale ricerca, propone agli interpreti un lavoro completamente affrancato dal tessuto testuale originario. Impostato il lavoro su una mappatura dei vettori drammaturgici, Autelli libera i suoi attori nello spazio scenico chiedendo a ciascuno di dimenticare la partitura testuale appresa, per far esplodere la propria attitudine attoriale in relazione al personaggio interpretato. Il laboratorio del giovane regista vuole mettere in gioco in primo luogo l’identità di attore, intesa come equilibrio precario ma necessario tra la natura quotidiana e la struttura narrativa in cui muoversi.
Nello specifico, il regista è alla ricerca della griglia di relazioni binarie che gli è parso di rintracciare all’interno del testo di Pirandello: nessun personaggio gode di autosufficienza, ciascuno acquista forma e valore solo in relazione all’altro, al suo doppio e contrario. Tutti sono parte di un gioco al massacro creato per smontare a vista il meccanismo teatrale.
Autelli spinge con forza sul pedale del gioco, chiedendo agli attori di addentrarsi con fiducia in una dimensione ludica. Nella sua visione i personaggi del dramma non perseguono alcun principio comune, si dimenano in una situazione assurda in cui ciascuno insegue un proprio progetto di recita a soggetto dal momento che, per paradosso, il soggetto, la trama sono proprio gli elementi che vengono a mancare nel testo. Così il melodramma immaginato dalla prima attrice inciampa e cade su l’idea di recita a soggetto del primo attore, producendo un annientamento di entrambi gli obiettivi. A interessare il regista sono proprio urti violenti di questo tipo, le interruzioni delle dinamiche in atto tra i partecipanti al gioco, l’esplosione delle relazioni. Catapultati in questo progetto di regia riconoscibile ma ancora in fase di evoluzione, i sei attori faticano non poco per restare dentro il recinto ritagliato da Autelli. Trovare una solidità scenica in cui sentirsi liberi se si lavora in direzioni ogni volta diverse non è cosa semplice: Autelli però non chiede solidità, e la sperimentazione si nutre principalmente di una condizione di spiazzamento permanente.