RUMOR(S)CENA – MILANO – Fin dall’inizio, Luca Saccoia ci introduce in quell’atmosfera quasi pagana della tradizione popolare, recuperata dai suoi ricordi d’infanzia quando – come lui confessa – assistendo alla visione della commedia in casa dei nonni paterni, gli veniva naturale identificarsi col Tommasino, ghiotto di a’ zuppa e’ latte. In questo Natale in casa Cupiello, prodotto da Teatri Associati di Napoli e Interno 5 con il sostegno di Fondazione Eduardo De Filippo e Teatro Augusteo, l’intuizione vincente della regia di Lello Serao (dall’idea dello stesso Saccoia e Vincenzo Ambrosino) e della scenografia di Tiziano Fario, consiste nell’aver creato un ambiente scenico che ha, esso stesso, le caratteristiche di un tradizionale presepe napoletano, dove lo spirituale e il sacro sconfinano nel realismo del quotidiano, con un fondale zeppo di oggetti dipinti e, in alto, brillano le stelle e la cometa.
In armonia con questa soluzione figurativa, Saccoia, che è nato e cresciuto nella patria delle guarattelle, sceglie di proporre la sua lettura della commedia di Eduardo (nella sostanziale fedeltà al testo originale) attraverso i modi del teatro di figura, declinandolo peraltro in una forma espressiva originale. Dà quindi voce, come attore solo, con opportune variazioni di registro vocale, alla quasi totalità dei personaggi della commedia, come nella migliore tradizione del teatro dei pupi napoletano, dominando la scena con una presenza autorevole, malgrado la sua figura richiami più l’immagine di un hippie degli anni ’70 che di un esponente della piccola o media borghesia degli anni ’30. Inoltre si giova di pupazzi (il cum figuris del sottotitolo), appena un po’ più piccoli del naturale, anch’essi realizzati con maestria da Tiziano Fario.
E se nel primo atto questi compaiono per lo più solo affacciati da finestrelle ritagliate sul fondale, e fungono da comprimari rispetto al Cupiello interpretato da Saccoia, nel secondo atto si muovono sulla scena, animati a vista da operatori in nero, e si ha modo di apprezzare l’accuratezza realistica della loro fattura e del loro abbigliamento. A partire dal secondo atto, fra i pupazzi compare anche Luca Cupiello; il che consente a Saccoia, che continua in presenza a dargli voce, una spiritosa gag, suggerendo al suo pupazzo alcune parole che non riesce a ricordare (un sintomo di malessere col quale Eduardo ci anticipa l’ictus che lo colpirà prima dell’ultimo atto). Nel secondo atto Saccoia assume a tratti la gestualità propria del direttore d’orchestra, quando, con un gesto imperioso, dà gli attacchi ai suoi strumentisti; o ricorda forse anche la presenza, muta ma magnetica e catalizzatrice del grande Tadeusz Kantor fra i suoi attori.
Anche se ritengo la trama della commedia sia nota al pubblico quanto la storia di Cappuccetto Rosso, rammento che, dopo la presentazione dei personaggi principali nel primo atto, nel secondo, durante una surreale, tragicomica cena familiare alla vigilia di Natale, Luca Cupiello, sconvolto dalla rivelazione del fallimento del matrimonio e dell’adulterio della figlia Ninuccia, viene colpito da un ictus che, nel terzo atto, lo farà morire.
E anche qui, mentre il protagonista giace, non del tutto in sé, sul letto di morte, Saccoia non rinuncia a un pezzo di bravura: a dispetto della incongrua barba incolta e i capelli arruffati, in una sorta di primo piano cinematografico ci restituisce con toni di verità le estreme illusioni, i ricordi, le allucinazioni di Cupiello, prima che il suo corpo esamine sia deposto amorevolmente fra le braccia di un angelo sceso per portarlo in cielo.
E il presepe, citato come un tormentone nel corso dell’intera commedia, con l’enteroclisma che ne fornisce l’acqua del laghetto? Non lo vediamo mai: neppure quando la figlia Ninuccia lo distrugge, né quando Cupiello lo mostra con orgoglio agli ospiti. Ed è giusto che così sia, perché si tratta sostanzialmente di un oggetto simbolico e mentale, di una delle tante illusioni che albergano nella mente del protagonista, come di un don Chisciotte dei giorni nostri.
Ad accompagnare il continuo passaggio dal reale contemporaneo alla dimensione tradizionale e religiosa cui è legato Cupiello, in vari momenti dello spettacolo risuona il canto natalizio Tu scendi dalle stelle, fin dall’inizio cantato da Saccoia in napoletano e arricchito da fronne (cioè, come mi spiega lui stesso, da melismi arabeggianti), con un accompagnamento di zampogne e ciaramelle; fino a un’esecuzione corale registrata che apre l’ultimo atto.
Lo spettacolo, premiato dall’ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) risulta da una confluenza di stili, generi e registri espressivi diversi ma, forse proprio grazie a ciò, attinge a momenti di grande, emozionante poesia.
Visto al Teatro Menotti di Milano il 4 novembre 2023