Recensioni — 10/08/2020 at 09:49

Il cammino per arrivare a comprendere le “Naturae” dell’Uomo e della sua “vita mancata”.

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RUMOR(S)CENA – VOLTERRA – Pensato per festeggiare i trent’anni della Compagnia della Fortezza di Volterra,il progetto triennale doveva concludersi questa estate dentro le mura del Maschio in forma di spettacolo con gli attori detenuti diretti da Armando Punzo. A causa della pandemia non è stato possibile e si è quindi deciso di suddividere in forma di studio, Naturae-la vita mancata (primo quadro), realizzato dentro il cortile del Carcere, e La valle dell’innocenza (secondo quadro), un site specific teatrale a Saline di Volterra, ospitato nella struttura del Padiglione Nervi. Il 2020, anno particolarmente difficile, è segnato però da un evento propizio per questa Compagnia: l’inizio un’idea sognata da Punzo e finalmente realizzata con l’inizio dei lavori per la costruzione del Teatro Stabile in carcere e insieme funestato, come del resto tutto il comparto del teatro e spettacolo, dal virus planetario che ha bloccato spettacoli e produzioni in corso. L’attività in carcere è comunque stata portata avanti anche se con molte difficoltà dal regista, fino al suo esito finale dove solo 25 spettatori alla volta hanno potuto varcare il portone della Fortezza medicea.

foto di Stefano Vaja

Un clima particolare si avvertiva fin sulla salita che porta al carcere di solito affollata e vociante, mentre in questa occasione si era in pochi per la presenza di uno sparuto pubblico in possesso di posto aggiudicato per sorteggio con una lotteria. Armando Punzo fa iniziare lo spettacolo in solitaria nello spazio alberato del pre-cortile dove di consueto si svolgono le azioni. «Non avere paura. Qui c’è soltanto un uomo» è una sorta di prologo di un io narrante fra il poetico l’esistenziale e il filosofico entro un copione dove l’io parla in terza persona. Un monologo –dialogo che attiva in sinergia con gli attori detenuti e alcune presenze esterne, mantenuto per tutto il lavoro. Il passaggio testuale dal «io sono solo a lui non è solo»è incastonato dentro una metatestualità costruita su suggestioni di innumerevoli quadri, creati da azioni plastiche coreografiche fra gli attori e le musiche composte e suonate dal vivo da Andrea Salvadori.

foto di Stefano Vaja

La scena è costruita su elementi essenziali: un fondale in bianco e nero con effetto optical a spirale che richiama il labirinto ( Borges), un solo albero scheletrico rosso scarlatto (l’albero della tentazione? L’ albero della Genesi dell’umanità secondo il Libro delle religioni occidentali). Punzo è autore- narratore e cantastorie, evoca con le Parole e commenti le azioni, talvolta agendole quasi trasfigurandosi in libro-corpo sonoro e per immagini. Corre con una mela rossa, la sbocconcella, si dirige verso un catafalco che ricorda il Cristo velato. Dal lenzuolo funebre se ne esce, a sorpresa una giovane donna bionda ( Eva?), intanto entrano ed escono dallo spazio scenico figure ieratiche cariche di simbolismi. Uomini con scale rosse issate verso l’alto, uomini con caravelle, una geisha, uomini con mantelli costellati di pavoni secondo l’uso orientale, dervishi danzanti con ombrelli e mantelli rossi. «Il poema della rinascita-immagina», ripete Punzo. Appaiono altri figuranti tra cui un viaggiatore con la valigia, sacerdoti e soldati: «Voglio vedere le linee dell’infinito». Guerrieri puntano verso il pubblico seduto lungo una sola parete sulla cancellata, dei bastoni di finto bambù rossi come il colore dell’albero, poi due di essi creano una forma di sostegno a croce dove il regista e attore protagonista si sdraia sulla schiena; una sorta di Cristo o di San Sebastiano. Si conclude con il monologo di attore detenuto (che fiancheggia in doppio nel percorso testuale) : «non smetto mai di sognare. Sono in un’isola sulla spiaggia. La mia nuova terra».

In questo lavoro – studio si accavallano molteplici segni non sempre chiari anzi forse ridondanti a volte ma sono comunque frutto di un percorso che parte da Shakespeare con “Dopo la Tempestaper arrivare a Beatitudo da Borges. Narrano un viaggio ancora incompleto – causa forza maggiore dovuta alla emergenza sanitaria – di una fuga dalla realtà nel senso di cercare di vedere oltre a quanto ha contrassegnato tutta la ricerca e l’utopia del regista, giunto all’indagine sulla nostra Natura umana, anzi sulle nostre Naturae. Il fine è quello di superare l’Homo sapiens per andare incontro all’Homo felix, cioè al di là delle religioni e delle ideologie, alla ricerca hic et nunc, dell’armonia dello stupore e della bellezza. Del Paradiso in terra, quello della Vita mancata. E questo ha molto a che vedere col trentennale percorso artistico della Compagnia della Fortezza e con la realizzazione in questo difficile anno del Teatro in Carcere a Volterra.

Visto a Volterra nel Carcere della Fortezza il 29 Luglio 2020

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