“Uno spazio privato voluto da una famiglia che andrebbe premiata per la lungimiranza con la quale ha investito in uno spazio vuoto, senza finanziamenti pubblici, per dare spazio alla formazione e alla promozione dello spettacolo in Sicilia. È stato difficile – prosegue Corrado Russo, direttore artistico, organizzatore e produttore teatrale che ha moderato l’intervento di Delbono e Francesca Motta con il pubblico intervenuto nei Viagrande Studios della provincia catanese – raggiungere un accordo per avere qui finalmente Pippo Delbono “nomade del mondo” oramai.” Si apre affrontando il problema attualissimo della carenza di spazi dedicati alle manifestazioni artistiche e alla loro diffusione la serata dedicata a Pippo Delbono e alla presentazione in forma di dialogo del suo ultimo film.
Un pubblico di operatori, attori, giornalisti, critici e curiosi, è intervenuto per lasciarsi raccontare di Sangue ultimo film girato da Delbono con un cellulare come il precedente Amore e Carne, un viaggio nella malattia, quest’ultimo descrive la morte invece della madre, attraverso immagini filmate durante gli ultimi attimi di vita. Il film ha destato varie polemiche anche per la partecipazione dell’ex brigatista Giovanni Senzani. La pellicola, unica italiana in concorso al 66° Festival di Locarno è stata premiata con il “Don Chisciotte” e sarà prossimamente proiettata a Le vie del cinema 2013 di Milano; dopo essere stata vista a Roma lo scorso 1 settembre, alla presenza dell’intellettuale gesuita e critico cinematografico Virgilio Fantuzzi, più volte citato nel corso dell’incontro catanese del 7 settembre, per il quale Delbono ha dichiarato di nutrire profonda stima. Per “motivi di distribuzione” il film non sarà fruibile in tempi brevi nelle sale italiane, non sarà neanche acquistabile in formati che ne supportino la visione privata.
L’incontro siciliano è stato scandito dalla visione di due video sulla poetica del performer che hanno fatto da cornice all’instancabile racconto di vita di Delbono, in cui si sono distinti gli interventi introduttivi di Francesca Motta, giornalista “domatrice” e fan dell’attore e regista, che lo ha definito “artista globale” la cui ricerca teatrale si configurerebbe come “gesto d’amore” di chi reciti “con le braccia, con la testa e con le viscere”. Tante sono state le domande del pubblico a cui il regista ha generosamente risposto e con cui si è poi trattenuto dopo l’incontro, anche solo per un saluto o un autografo. “Provare a cercare una verità – dichiara Delbono – poi magari non ci arrivi mai però penso che questo sia sempre di più il senso del fare l’artista […] è come un viaggio verso l’interno, verso di me innanzitutto perché non sarei capace, come diceva Artaud, di fare uno spettacolo se non fosse contaminato dalla mia vita.”
La discussione prosegue con molta ironia, Delbono spazia dai problemi dell’informazione giornalistica in Italia alla “passione” di cui sono intrise terre come la Sicilia alla questione nazionale che si configura oggi nella necessità di “scavalcare i percorsi”, perché anche la cultura, che dovrebbe apparentemente essere un luogo privilegiato, al contrario “è malata, contorta e clientelare”. Oggi pertanto ha senso “fare arte” se questo significhi “fare una rivoluzione, cambiare i punti di vista” così da riuscire a vedere “forse meglio la verità.” La volontà di abitare diversi linguaggi è ciò che fa la diversità nel contemporaneo ed è ciò attraverso cui è però ancora possibile dire le medesime cose “vita, perdita della vita, amore, potere”, come già nella tragedia o in Shakespeare. Le tante domande che vengono rivolte a Delbono sembrano delle analisi della sua poetica che chiedano una verifica all’autore, inusuale prassi analitica che diverte l’artista e che lui usa per raccontare degli ultimi lavori, come il recentissimo Orchidee, che traspone in teatro le emozioni visibili in Sangue, dall’8 ottobre in scena al Teatro Strehler di Milano, dopo il debutto modenese al VIE festival.