RUMOR(S)CENA – MILANO – La prima domanda che il recensore si pone, di fronte all’ennesima messinscena di un classico è quale sia la ragion sufficiente di una tale operazione. Il Re Lear del Teatro dell’Elfo, costituisce un apprezzabile sforzo produttivo, quasi una scommessa, volta a celebrare i primi cinquant’anni di vita della compagnia fondata, allora, da giovanissimi. Un cinquantenario, più o meno, che ricorre anche dalla storica messinscena del Piccolo Teatro per la regia di Strehler, con Tino Carraro, Ottavia Piccolo, Gabriele Lavia, le scene e i costumi di Ezio Frigerio: uno spettacolo indimenticabile per quelli che hanno la mia età, e hanno avuto il privilegio di assistervi. Ma qualsiasi paragone sarebbe improprio. Più serio è tentare un’analisi dei pregi e dei difetti del lavoro di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, che ne firmano la regia, la traduzione, la riduzione drammaturgica, oltre alla progettazione e realizzazione delle scene e dei costumi.
Le tragedie di Shakespeare tratte da saghe medievali ai confini della leggenda, come appunto il Re Lear, pongono il problema di una scelta delle scene e dei costumi in modo ancor più arduo rispetto a quelle con una esplicita connotazione storica. La regia ha quindi giustamente evitato una improbabile ambientazione filologica, e fa muovere i personaggi in uno spazio neutro, caratterizzato solo dai fondali dipinti che hanno una loro inquietante efficacia barbarica; il trono di Lear, precariamente appoggiato su un instabile ammasso di sedie e armi (vi si scorge anche un teschio), suggerisce l’instabilità del suo potere. Meno riuscita appare la scelta dei costumi, specie maschili. Scontate e banali le camicie nere, con stivali e calzoni da cavalleria (una trasparente allusione alle uniformi del ventennio), con cinturoni e tracolle dove, sul fianco sinistro, invece della pistola d’ordinanza, è infilato solo un pugnale. E allora, visto che assistiamo anche a scontri all’arma bianca, cosa ci fa la rivoltella con la quale viene liquidato Oswald, il servo sciocco di Goneril?
I brevi, stridenti interventi sonori – spesso accompagnati o integrati dal rimbombare dei colpi ottenuti percuotendo le lastre metalliche che fanno parte della scenografia – sottolineano efficacemente i momenti più intensi della vicenda. Quanto alla recitazione, l’impostazione è tradizionale, senza guizzi di originalità, ma sostenuta dall’esperienza e dalla buona professionalità degli attori, a cominciare dal tormentato, intenso Lear di Elio De Capitani, e via via per tutti i comprimari, dal vigoroso, violento Kent di Umberto Terruso fino alle new entry, come Viola Marietti, figlia d’arte nel ruolo di Cordelia; apprezzabile la durezza della bella Elena Ghiaurov, nei panni della malvagia Gonerill; meno convincente Mauro Lamantia, nel difficile, polisemico ruolo del Fool, semplificato comicamente in un registro eccessivamente sopra le righe, che ne lascia in ombra la sotterranea saggezza.
Un lavoro più che dignitoso, che induce lo spettatore a riflettere su una serie di temi di notevole spessore etico: il rapporto fra le generazioni; la difficoltà di gestione – e la responsabilità – del potere; il rapporto fra follia e normalità; l’autenticità e la ruffianeria; e molto altro. Tutti argomenti non declamati in modo didascalico, ma sottesi alla trama. Quindi, uno spettacolo dalla forte valenza morale ed educativa. È questa una ragion sufficiente per un’ennesima messinscena di Re Lear? Certo: da antico insegnante, cioè educatore – mi qualifico tale, ogni volta arrossendo – sono sensibile alle istanze educative, tanto più ai nostri malandati giorni, che sembrano caratterizzati da un’eclissi dei valori civili e morali.
E vorrei ancora aggiungere un’apparente banalità. Senza la periodica riproposta dei classici, i testi teatrali, privi della loro necessaria mediazione sulla scena, correrebbero il rischio di ridursi a una branca della letteratura. Ad uso e consumo di spettatori in continua evoluzione generazionale – o almeno così si spera – ben vengano, quindi, le messinscene di classici, anche senza pretese di interpretazioni o letture critiche rivoluzionarie.
Visto a Milano, all’Elfo Puccini, il 26 ottobre 2023