Spettacoli — 11/01/2022 at 14:10

Il mistero dell’altro. Intrecci di amore e odio in Gomagog Teatro e Keppler 452

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RUMOR(S)CENASCANDICCI – (Firenze) e BOLOGNA – Nelle pagine centrali dell’Alcibiade I di Platone, il personaggio di Socrate formula il pensiero che è imperativo conoscere sé stessi per poter governare/prendersi cura della città. Viene anche enunciato il principio che la consapevolezza della propria identità si raggiunge attraverso il confronto con l’altro. Socrate usa in tal senso la metafora dell’incrocio di sguardi. Fissando gli occhi dell’altro, ciascuno vede riflessa la propria immagine, si contempla e si conosce quasi come se si osservasse per la prima volta in assoluto.

Va però anche riconosciuto che ci troviamo di fronte a uno specchio opaco o sporco, forse persino infranto. L’altro è di per sé un mistero incomprensibile: il buio circonda la sua figura, sicché diventa impossibile rifrangere dalle sue pupille una luce che chiarisca chi siamo. L’immagine così riflessa assume i contorni della visione di un pazzo e si esce dall’esperienza del rispecchiamento con una più intensa sensazione di ignoranza di sé.

Appena-sotto-la-superficie-delle-cose foto di Laura Castellucci

Due passioni che coinvolgono potentemente l’io che osserva gli occhi dell’altro sono l’amore e l’odio. Basti pensare al piacere con cui si guardano due innamorati e all’odio bruciante che assale chi vede anche di sfuggita una persona detestabile. Ma in che modo le due passioni si relazionano alla conoscenza di sé? Esse ottenebrano/rompono lo specchio, o al contrario lo riparano/rendono più lucido? In questa riflessione, cercherò di rispondere alla domanda a partire da due spettacoli: uno dedicato all’eros, l’altro all’odio. Spero emerga, al termine del ragionamento, una struttura quasi dialettica di queste due passioni apparentemente contrarie, ma che forse si rivelano essere due opposti-concordi.

1. Eros (Appena sotto la superficie tranquilla delle cose di GogMagog Teatro)

Con Appena sotto la superficie tranquilla delle cose, GogMagog Teatro affonda nel mistero in cui sono avviluppati l’uomo e la donna innamorati. Il repertorio a cui attingono per addentrarsi in tale nebbia sono le poesie, i romanzi e le prose brevi di Raymond Carver. Più che rappresentare una selezione o un centone di estratti dal corpus carveriano, GogMagog allestisce uno spazio che potremmo chiamare metafisico, dato che al suo interno si cerca di evocare gli spettri di una Lei (Cristina Abati) e di un Lui (Carlo Salvador). Si tratta, per essere più precisi, di due astrazioni costruite con le parole di Carver, ma che incarnano ciò che è accomuna molti lati dell’uomo innamorato e altrettanti della donna innamorata.

La scena è quasi vuota. Abbiamo un tavolo con alcuni oggetti di uso e consumo quotidiano (alcuni bicchieri, un posacenere, ecc.), posto al centro di uno spazio immerso in un buio completo. Questo è illuminato quando Lui e Lei dialogo, oppure quando sono proiettate alcune fotografie in Polaroid di William Ellington e che rimandano agli eventi che accadono fuori dallo spazio intimo della coppia. Perlopiù si tratta di immagini che concretizzano le paure inconsce dell’uomo e della donna, tra cui quella della miseria materiale e della morte, o al contrario il timore di un benessere eccessivo e di una vitalità debordante che potrebbero tramutarsi in un danno, se sfuggono al controllo.

Appena-sotto-la-superficie-delle-cose foto di Laura Castellucci

Non sussiste per il resto alcun filone narrativo e logico che lega gli episodi dello spettacolo, i quali possono andare dal corteggiamento che Lei rivolge a Lui (e viceversa) alla danza di complicità, dal litigio che sfocia nella violenza domestica alla rievocazione nostalgica dell’amore passato, che si è affievolito o è sparito. I passaggi sono repentini e a tratti bruschi, come accade nelle visioni oniriche – i sogni costituiscono, del resto, l’argomento di conversazione preferito dalla coppia per circa buona metà della rappresentazione. Dal punto di vista psicologico, inoltre, l’amore di Lei e Lui assume varie forme, perché ora è animato da tenerezza e vivacità, ora dal sadismo e persino dalla cattiveria gratuita. La coppia è pertanto il sostrato di una contraddizione vivente: l’amore non è mai appagato da nulla e ha bisogno di continuo alimento, come un fuoco che vive della stoppia che consuma e che alla fine riduce impietosamente in cenere.

La logica che tiene insieme gli episodi – e per estensione l’eros che muta così frequentemente sia di andamento, sia di aspetto – va allora rintracciata altrove, in qualcosa che la ragione può solo suggerire per averla intravista, non già dimostrarla e spiegarla. Giova qui partire da un chiarimento che viene dal titolo dello spettacolo, tratto da un brano del saggio Il mestiere di scrivere di Carver che evidenzia cosa lo scrittore pensasse fosse il cuore di una short story: «Quello che crea tensione in un racconto è, in parte, il modo in cui le parole vengono concretamente collegate per formare l’azione visibile della storia. Ma creano tensione anche le cose che vengono lasciate fuori, che sono implicite, il paesaggio che è appena sotto la tranquilla (ma a volte rotta e agitata) superficie del racconto» (C. Carver, Il mestiere di scrivere. Esercizi, lezioni, saggi di scrittura creativa, a cura di W.L. Stull e R. Duranti, Torino, Einaudi, 2006, pp. 10-11). Esiste per Carver (e per GogMagog che ne segue l’intuizione), dunque, una sorta di dualismo. Da un lato, ci sono le cose espresse mediante il linguaggio, per così dire l’aspetto visibile di un’esperienza. Dall’altro, ci sono le cose che stanno paradossalmente sotto le cose: intuizioni, oggetti, sentimenti che costituiscono l’aspetto invisibile di una relazione e che restano volutamente misteriose. Forse l’amore vive soprattutto di questi silenzi, la cui materia può consistere in un mancato chiarimento su un aspetto del proprio carattere, o il tacere sul fatto che il partner è infastidito da un gesto anche molto semplice dell’altro. Ciò che tale passione brucia per alimentarsi è pertanto quel che si sedimenta sotto il linguaggio, di cui magari la coppia non ne intuisce affatto l’esistenza, al massimo la intravede a fatica.

Non è perciò un caso che gli elementi che legano gli episodi sia proprio il silenzio, e in un duplice senso. La transizione da un accadimento a un altro può avvenire quando Lui o Lei zittisce l’altra o l’altro, quindi negli attimi in cui le parole perdono di significato ed emerge con evidenza qualcosa di non-detto nel loro rapporto. Ma il cambio di episodio può anche dipendere dal sopraggiungere dall’ammissione dell’impossibilità di comunicare e capirsi, o dalla presa di consapevolezza che si ignora chi sia davvero il partner e perché amarlo sia così difficile, nonostante ci siano tutte le premesse di un buon rapporto, magari anche i segni di un’affinità elettiva. Momento rivelativo di tale seconda specie di silenzio è il punto in cui Lei abbassa una tapparella e lo spettatore vede stagliarsi sullo sfondo la frase della canzone I don’t know you, che funge da emblema e sottotesto di ogni pur minimo accadimento scenico.

Appena-sotto-la-superficie-delle-cose foto di Laura Castellucci

Tale ignoranza e il relativo senso di frustrazione che ne deriva genera, all’interno dell’amore della coppia, anche il sentimento apparentemente contrario dell’odio. Uno dei motivi psicologici per cui si può odiare qualcuno consiste, infatti, precisamente nel dolore di non poter capire, nell’impotenza in cui cade la ragione che non sa spiegare perché si ama l’altro. Se l’amore è filosofo in positivo, o si accende proporzionalmente alla comprensione, l’odio lo è in negativo, perché emerge quanto meno si riesce a comprendere. E poiché un rapporto amoroso è per sua natura opaco, o si basa su tratti che sfuggono al nostro controllo e non sappiamo spiegare, la relazione di coppia è insieme per sua essenza odiosa. Dolce e amaro, sapienza e insipienza guidano le azioni di Lei/Lui, il che se non altro giustifica il loro procedere contraddittorio e quasi onirico, o il ritmo del caos.

Appena sotto la superficie tranquilla delle cose fa emergere così lo strano nesso di consustanzialità dell’amore con l’odio. Il mistero che Lui rappresenta per Lei e quello che Lei incarna per Lui è un legno che accende un sentimento che incontra innumerevoli ostacoli nella comprensione, quindi si tramuta spesso nella reazione aggressiva per bisogno di auto-difesa. Accettare di amare qualcuno significa così aprirsi al senso di minaccia incombente, correre vicino a una rupe a picco sul vuoto. A meno di essere dèi che tutto sanno, la persona amata di più è anche l’individuo odiato con ardore.

2. Odio (Gli altri di Kepler-452)

Se Appena sotto la superficie tranquilla delle cose di GogMagog Teatro porta a comprendere che le parole d’amore possono nascondere l’odio, Gli altri di Nicola Borghesi (Kepler-452) fa l’inferenza inversa. Sotto i discorsi d’odio, è forse lecito intravedere un eros che ha preso una direzione tortuosa e, a causa di fattori in parte indipendenti dal nostro controllo, in parte da alcune false opinioni personali, si è deteriorato in una forma appunto odiosa e sgradevole.

Il sottotitolo dello spettacolo è Indagine sui nuovissimi mostri, la cui identità è lasciata volutamente ambigua. Chi sono infatti i monstra che vengono indagati? La prima banale risposta è che i soggetti mostruosi siano gli odiatori seriali: coloro che attraverso il web o dal vivo lanciano continuamente insulti, offese, a volte minacce di morte ad “altri” diversi da noi. Nicola Borghesi – che oltre a esser l’autore dello spettacolo è anche l’unico performer presente in scena – isola il caso di un pizzaiolo di Lampedusa, oggetto a suo tempo di un’indignata campagna mediatica: Mario Lombardino, uno dei tanti accorsi all’attracco del Sea-Watch 3 per insultare e minacciare Carola Rackete, per aver infranto il divieto di non portare sulla costa 42 migranti stipati nella nave. Da portatore d’odio, l’uomo diviene a sua volta soggetto odiato dai difensori delle minoranze, della civiltà e dei diritti umani, a cui almeno dapprincipio anche Borghesi si include di diritto e di fatto.

Gli Altri Kepler 452 foto di Paolo Cortesi

Presto, tuttavia, accade uno spostamento di baricentro. Borghesi racconta di essersi reso conto di essere stato più volte a sua volta un portatore di odio, animato da livore verso persone che non meritavano questo sentimento, per esempio i vicini di tavolo di un bar. Attraverso l’introspezione, l’artista riconosce di non essere pertanto diverso da Lombardino. Entrambi volgono frettolosamente i loro odi contro degli innocenti, senza chiedersi se il loro sentimento sia fondato. Secondo il ragionamento per analogia, inoltre, Borghesi argomenta che il suo atteggiamento aggressivo passato aveva precise cause scatenanti, quindi almeno logiche ed esplicabili. Forse egli si era scagliato contro i vicini di tavolo perché era stanco, attraversava un momento difficile che rendevano il suo umore molto suscettibile, magari poteva persino aver operato un transfert inconsapevole (= odio tali persone perché si divertono con una leggerezza d’animo che non possiedo). Perché allora lo stesso non può essere accaduto nell’intimo di Lombardino? E provando con fatica a interagire con lui, prima parlandogli tramite Facebook e poi su una chiamata Skype, Borghesi scopre che l’uomo è un povero diavolo come i migranti che insultava. Il suo odio per questi ultimi e Rackete era stato in parte causato dalle sue difficoltà finanziarie, da un amore infelice, da una figlia piccola alla quale cerca di dare un futuro migliore. L’espressione esteriore negativa ha così radici positive. Il “mostro Lombardino” non ha niente di intrinsecamente mostruoso. La sua è una mostruosità derivata.

Gli Altri Kepler 452 foto di Paolo Cortesi

L’aspetto più interessante che emerge allora da Gli altri è la critica al buonismo e, per restare entro le coordinate concettuali del presente saggio, all’ingenua visione dell’amore puro. Si tratta di una prospettiva che Borghesi riprende da Odiare l’odio di Walter Veltroni (Milano, Rizzoli, 2020), che almeno da titolo sembra aprioristicamente condannare gli odiatori seriali come i soli portatori di violenza ed esclude che non possano essere a loro volta potenziali vittime dei cosiddetti “buoni” e “giusti”. Non esiste un malvagio assoluto, così come non c’è una bontà incondizionata, o che non si trova mai dalla parte del torto. Ognuno può odiare un innocente per debolezza emotiva e cognitiva, per non aver cercato di comprendere la genealogia dell’odiatore seriale. Ecco che così si arriva alla straniante conclusione che i veri “mostri” sono proprio i presunti buoni che difendono gli innocenti non per autentica convinzione, ma per senso di superiorità morale. Essi sono gli stessi che attaccano Lombardino non per sete di giustizia, bensì perché animati dal medesimo odio ingiustificato di cui è preda il padre di famiglia: un uomo che detesta i migranti per l’irrazionale paura che la loro esistenza possa influire negativamente sulla figlia che ama più di sé stesso.

Gli Altri Kepler 452 foto di Paolo Cortesi

Dalla prospettiva pratica, infine, Gli altri rappresenta uno spettacolo molto interessante che invita gli spettatori ad assumere una forma di scetticismo. Prima di condannare un odiatore ed ergersi come uomini o donne di alta rettitudine, occorre capire il primo nel suo intimo e chiedersi se ciò che proviamo è davvero moralmente diverso dall’odio rivolto contro degli innocenti. Se si sarà fino in fondo razionali, si dovrà ammettere che è facile cadere nella mostruosità che, nella nostra superbia, tendiamo sempre a vedere negli altri, quasi mai in noi stessi.

3. Poche (provvisorie) conclusioni

Molte altre considerazioni potrebbero esser svolte su entrambi gli spettacoli, in particolare sul piano formale ed estetico. Preferisco tuttavia fermarmi qui e usare i pochi elementi raccolti per trarre tre generali conclusioni.

Anzitutto, è ora possibile rispondere alla domanda da cui siamo partiti: se l’amore e l’odio sono passioni che agevolano od ostacolano la conoscenza di sé. La risposta è che non c’è una soluzione semplice. L’amore e l’odio sembrano piuttosto essere due “puri neutri”. Amare può nascondere spinte distruttive e odiare può avere forti radici erotiche o costruttive. Provando a riflettere in termini più astratti, possiamo così proporre che una maggiore conoscenza di sé si raggiunge non amando o odiando gli altri simpliciter, bensì provando a capire perché li amiamo e odiamo. È la riflessione sull’amore e sull’odio a portare un aumento di sapere.

La seconda conclusione è che tali passioni sono solo apparentemente contrarie. Esse sono forse in realtà due opposti-concordi, che trovano la loro radice profonda nell’ignoranza. L’amore per un uomo o una donna è anche una forma di odio dei suoi tratti o gesti che non capiamo. L’odio rivolto a un nemico reale o apparente nasce da un segreto amore per sé stessi e/o per qualcun altro. Viene così confermato che l’altro è un enigma da decifrare e che solo cercando di capire perché troviamo amorevoli od odiosi degli aspetti di lui o di lei che apprendiamo qualcosa di più sui nostri moventi psichici, più semplicemente sul perché agiamo e pensiamo in questo modo preciso.

Terza e ultima conclusione è che sia l’amore che l’odio hanno una struttura dialettica e che sarebbe vano considerare l’uno come la passione da coltivare, l’altro come quella da condannare. L’impresa difficile è studiare con attenzione entrambi e capire da vicino i processi, le cause, i fondamenti del loro reciproco trasformarsi e influenzarsi. I due lavori teatrali che si è avuto modo di analizzare sono pertanto un primo punto di partenza per avviare una ricerca ancora più complessa.

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Appena sotto la superficie tranquilla delle cose

liberamente ispirato ai racconti e alle poesie di Raymond Carver

regia e testo: Cristina Abati

con: Cristina Abati e Carlo Salvador

collaborazione al progetto: Tommaso Taddei

tecnica: Antonella Colella

immagini e video: Ines Cattabriga

scene: Eva Sgrò

produzione: Gogmagog, con il sostegno di Regione Toscana/Sistema Regionale dello Spettacolo

residenze presso: Giallo Mare Minimal Teatro, Il Vivaio del Malcantone.

Visto al Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, il 21 novembre 2022

Gli altri

un’indagine teatrale di Kepler-452

regia Nicola Borghesi

drammaturgia Riccardo Tabilio

ideazione tecnica Andrea Bovaia

coordinamento Michela Buscema

con Nicola Borghesi

con il contributo di Emilia Romagna Teatro Fondazione

con il sostegno di L’Arboreto Teatro Dimora |La Corte Ospitale Centro di Residenza Emilia-Romagna

con il sostegno di Agorà/Unione Reno Galliera

Visto all’Arena Orfeonica di Bologna, il 15 giugno 2021

Breve post-scriptum (non richiesto?)

La riflessione su Gli altri visto a Epica Festival è stata scritta quasi un anno dopo la visione dello stesso spettacolo. Ha senso pubblicare e persino scrivere con tanto ritardo? Un pezzo del genere sembra essere vecchio, quasi l’eco di un esperimento estetico già sostituito da nuovi. Ma lo studioso obbedisce a una logica molto peculiare del tempo: quella secondo cui il pensiero emerge quando è pronto, trova la sua maturazione e, in circostanze fortunate, instaura persino un legame fluido/lucido con lavori nati a grande distanza temporale, come è appunto il caso di Appena sotto la superficie tranquilla delle cose di GogMagog Teatro. A volte la velocità di scrittura può essere più rapida dei presunti sei giorni della creazione divina, altre volte di una lentezza cronica, molto raramente può non maturare mai e finire in un aborto. Lo studioso non può così promettere di riuscire a scrivere sempre presto e bene. Forzare i tempi significa rischiare di instaurare con l’altro un rapporto non-intellettuale, di produrre un altro genere di scrittura: forse più utile, di certo meno sincero.

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